Una vita di ricerca di Giovanni Trovati
Una vita di ricerca Attento alle vicende del mondo ma in contemplazione Una vita di ricerca AGiuseppe Dossetti, che gli esprimeva la decisione di farsi monaco, il card. Lercaro rispose: «Ho capito, sei stanco di fare la rivoluzione nello Stato e vuoi farla nella Chiesa». Era la primavera del 1953. Dossetti lasciava la politica, perché considerava esaurito il suo tentativo di costruire un modello di società e di Stato alternativo a quello liberale e contrapposto a quello marxista, e si rifugiava nella preghiera per un bisogno di riflessione teologica e ecclesiale. Cercava di coniugare l'attenzione per le vicende del mondo con la contemplazione: contingenza e eternità. Il sacerdozio era lo sbocco di una vita, come lui stesso disse, una vita di ricerca e di studio orientata «a diffondere tra i laici cristiani una formazione e un pensiero che stessero a monte dello stesso pensiero socio-politico». Aveva 40 anni e ricominciava da zero muovendo da fondamentali convinzioni: «La catastroficità della situazione civile e la criticità del mondo ecclesiale e la convinzione che esistano dei rapporti tra i due termini». Temeva un cristianesimo ((troppo attivistico e se impelagi ano», ossia un cristianesimo che non sentisse il continuo bisogno di cercare Dio. «Se se- paro l'evangelizzazione dalla santificazione, l'evangelizzazione tende a diventare un fatto puramente intellettuale». Per Dossetti il cristiano che non è missionario è in contraddizione con se stesso: «L'errore di Israele è stato quello di impossessarsi della chiamata come se fosse sua, non per gli altri». L'essere cristiani significava prima di tutto possedere una tensione ecumenica per recuperare l'unità anche visibile della Chiesa di Cristo. Giudicava errato considerare la Chiesa come una «polis», una «societas perfecta» con un ordinamento giuridico pubblicistico gerarchico, dotata di triplice potestà legislativa, giudiziaria, esecutiva, una Chiesa che imposta tutti i problemi in analogia con i problemi della società politica. «La cristianità è finita» ammoniva. «Il disegno dello storico Eusebio di Cesarea, che ha idealizzato Costantino e la sua opera (...) che ha dato le prime grandi linee di una struttura cristiana dell'impero è finito, irrimediabilmente finito». Lo stesso Concilio Vaticano n a suo giudizio ha in parte ancora inquadrato i rapporti con il mondo «in una supposizione, non più vera, che il regime globale, sociale, culturale, politico fosse più o meno quello ereditato dal vecchio regime cristiano». E quindi «si è trovato a scontrarsi con una situazione nuova non facilmente amalgamabile». Lo ha constatato presto Paolo VI e più ancora Giovanni Paolo n. Ai cristiani in politica Dossetti chiedeva il coraggio della chiarezza. Mentre la de lanciava l'interclassismo, egli giudicava storicamente fallito l'interclassismo tra coloro che valutano quello che «ogni uomo è e fan e coloro che pensano a conservare privilegi e situazioni «cioè quello che ogni uomo ha». Voler ammantare un simile interclassismo di cristianesimo «è esporre il cristianesimo a fallire la sua missione e il suo compito rispetto al secolo presente». Dossetti ha avuto estimatori e critici, dentro e fuori la Chiesa. I critici forse sono più numerosi nella Chiesa, per le sue parole impietose. «Il clero, scriveva, pur avendo individualmente dato esempi huninosi nelle varie fasi della dittatura, della Resistenza, della nuova democrazia, è mancato come forza lievitatrice della realtà italiana, è mancato nella funzione di magistero e di governo dell'Alta Gerarchia, è mancato nell'analisi dei fenomeni sociali e degli eventi plitici». E è mancato il laicato cristiano, perché l'ecclesiologia dominante aveva isterilito (da sua creatività spirituale nell'affrontare in modo responsabile l'impegno sociale e politico». Era preoccupato per 2 disimpegno dei giovani, e già nel 1946 temeva «il pericolo che ci si trasformi in un Paese levantino: decadimento dei costumi, tutto si compera, lo Stato grande greppia, quindi numerosissimi gli impiegati che continuamente aumentano (sì che l'organo crea la funzione)». «L'arrangiarsi è legge generale». Sono passati cinquant'anni, aveva visto giusto. Giovanni Trovati
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