Di Pietro perquisito nella notte

«L'Unità scavalca D'Alema in demagogia» Pi Pietro perquisito nella notte 7/procuratore Borrelli interrogato per 2 ore HI"" ' MANI PULITE SOTTO INCHIESTA BRESCIA. Ancora una perquisizione per Antonio Di Pietro, dopo quelle di Curno e Montenero di Bisaccia. Nella notte di ieri, i Gico della Guardia di Finanza si sono presentati all'Università di Castellanza, dove l'ex ministro tiene alcuni corsi, e hanno setacciato il suo ufficio. Secondo quanto si è appreso, i magistrati di Brescia avrebbero ordinato l'operazione nell'ambito degli accertamenti che fanno seguito alle perquisizioni di quindici giorni fa. L'operazione è avvenuta di sorpresa: «Non ne so nulla, sto per andare a letto», ha detto Massimo Di Noia, il legale di Di Pietro, raggiunto dai giornalisti dopo la mezzanotte di ieri. La giornata, sul fronte giudiziario bresciano, era cominciata nel tardo pomeriggio, con la deposizione di Francesco Saverio Borrelli, pure lui indagato di falso ideologico per i verbali di Mani pulite compilati, forse, non del tutto a regola d'arte. Erano le 17 e 5, quando Borrelli è entrato nella caserma Masotti dei carabinieri sulla Croma blu d'ordinanza blindata, con i vetri fumé. Dentro lo attendevano il suo difensore, l'avvocato bresciano Vanni Barzellotti, il procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini e il pm Roberto Di Martino, che dalla primavera del '95 cerca di venire a capo di questa vicenda che ha visto l'iscrizione nel registro degli indagati di Di Pietro prima, di cinque suoi collaboratori poi. E infine di Borrelli, tirato in ballo proprio dall'ex magistrato simbolo della procura. Dura due ore l'interrogatorio del numero uno del pool di Milano. Fino alle 19, quando la Croma scivola via dalla caserma e Borrelli, seduto dietro, sorride a telecamere e fotografi ma non dice nemmeno una parola, neanche una virgola da aggiungere a questa storia pasticciata nata dalla denuncia di un avvocato. Che ai tempi d'oro di Mani pulite si era trovata sul verbale di un suo cliente la firma di Di Pietro. Mai visto né sentito, pare, in quell'interrogatorio. Alla sua erano seguite altre denunce. Anche quella di Sergio Bonelli, il disegnatore di «Tex Willer», condannato a Brescia per corruzione di ufficiali delle fiamme gialle. Confessione apparentemente raccolta da Antonio Di Pietro, almeno stando al verbale di un interrogatorio. Che l'ex magistrato simbolo ha in realtà solo firmato. Ed è lui stesso il primo ad ammetterlo. «Sì, ma lo sapeva anche Borrelli», fa mettere nero su bianco davanti al pm Di Martino l'ex pubblico ministero di Mani pulite, quando non ancora ministro. Poi tira in ballo il procuratore capo, ma alleggerisce la posizione dei suoi collaboratori di un tempo, pure loro indagati, passati uno a uno nel palazzo di giustizia verdolino che ha sede in via Moretto. Cosa abbia detto Francesco Saverio Borrelli nelle due ore di interrogatorio non si sa (al termine, Borrelli, a bordo di un' auto di servizio, con anche un'auto della scorta dei carabi¬ nieri, ha lasciato la caserma senza fermarsi per rilasciare alcuna dichiarazione ai giornalisti in attesa). Ma è facile immaginarlo. Due settimane fa, in un'intervista al Corriere della sera, aveva respinto la chiamata in «correità» del suo sostituto. Dicendo: «Mica andavo da lui a vedere come faceva gli interrogatori... Io non ho mai autorizzato falsi ideologici... Ingiusto metterci tutti in un unico calderone...». Frasi che sono state ripetute, più o meno testuali, nelle due ore di ieri pomeriggio al primo piano della palazzina beige di via Alberto Mario, sede dell'in- terrogatorio che doveva rimanere segreto - come i tanti interrogatori di Mani pulite sparsi per caserme e questure - e invece no. Roberto Di Martino promette di tirare le fila della sua inchiesta entro qualche mese, senza chiedere altre proroghe di indagine: «I fatti suro certi. Si tratta di verificare ne da quel falso ideologico e scaturito un danno per qualcuno,). Il magistrato bresciano deve naturalmente tenere conto pure della difesa di Antonio Di Pietro. Che ammette di aver firmato verbali a go-go ai tempi dell'inchiesta su Tangentopoli. Quando molti confessavano, parecchi si presentavano in procura. E tutti o quasi chiedavano di essere sentiti da lui in persona. «Era una prassi normale, le indagini allora si facevano così», si giustifica Di Pietro, ricordando quando aveva la benzina nelle vene tanto correva l'inchiesta nata dall'arresto di «Mariuolo» Chiesa. Di quei 50 verbali firmati in un giorno ha una sola giustificazione: «Lo sapeva anche Borrelli». [f. poi.] Il procuratore Borrelli mentre esce dalla caserma dei carabinieri di Brescia Nella foto sotto Di Pietro

Luoghi citati: Brescia, Curno, Milano, Montenero Di Bisaccia