Il «manifesto» di Bruno Zevi di Vittorio Foa
Due secoli di architettura Due secoli di architettura Il «manifesto» di Bruno Zevi BRUNO Zevi appartiene a quel gruppo di testimoni del nostro tempo capaci di invecchiare «caricando di 1 nuova luce l'intelligenza del passato» (dice Vittorio Foa) anziché cedere alle tentazioni del pessimismo. Per Zevi l'architettura moderna non è affatto morta, come aveva sentenziato Philip Johnson seguito da un coro di critici e accademici. Zevi è convinto che, dopo decenni di oscillazioni tra neoespressionismo e neorazionalismo, tra international style e high tech, siano segni di vitalità persino i deliri di alcuni decostruttivisti, vedi le case che pendono da una parte con finestre sghembe, le murature artificialmente diroccate. Non lo spaventa il cheapscape di Frank 0. Gehry, («paesaggio derelitto di ètimi fracassati nella polvere») l'architetto col quale conclude la Nuova Storia dell'Architettura Moderna. Pubblicata da Einaudi con lo stesso titolo di quella che fu per generazioni uno strumento fondamentale, è molto più di un aggiornamento. I due volumi sono un manifesto per il futuro e un'enciclopedia, flutto di una revisione critica e filologica delle vicende che hanno segnato l'architettura, nella teoria e nella pratica costruttiva, dall'800 a oggi, con speciale interesse per gli Anni 50-90. L'analisi di questo periodo prende l'avvio dalla crisi del movimento moderno incarnata dai protagonisti. Primo Le Corbusier: «Abdica all'impegno dottrinario e didattico, con la cappella di Ronchamp inaugura una stagione efferatamente inventiva quanto incomunicabile». Scompaiono e allentano la presa i vecchi Maestri: Mendelsohn, Gropius, Mies Van Der Rohe. Il boom edilizio fa prevalere la routine nelle città europee e in quelle americane, sempre più irte di grattacieli di maniera. «D moviménto moderno, senza un saldo ormeggio linguistico paragonabile alla dodecafonia schònbergbiana, subì numerosi sbandamenti». In questo riferimento a Schònberg è una delle chiavidel pensiero di Zevi, critico e interprete della architettura. Gli ultimi cinquantanni sono ripercorsi con speciale attenzione per gli Stati Uniti (Zevi si laureò a Harward nella scuola di Walter Gropius, dal dopoguerra è l'apostolo italiano dell'architettura organica e dell'insegnamento di Frank Lloyd Wright, «il genio la cui statura sfugge alle leggi del tempo»). Pagine densissime di citazioni, disegni e fotografie, giudizi rivelatori. La corrente neoespressionista, e ecco il Twa "Ruminai di Eero Saarinen all'aeroporto di New York: «Sull'orlo del virtuosismo, immagine travolgente e incantevole». Il racconto critico si allarga in tutto il mondo, da Brasilia «kafkiana e surreale», al clamoroso teatro di Jòr Utzon sulla baia di Sydney. Poi il neorazionalismo americano e europeo, la corrente brutalista, quella neostoricista, protagonista Louis Khan «mitizzato irresponsabilmente». Gli utopisti e i futuribili, vedi il torinese Paolo Soleri in Arizona con la sua Comunità di Arcosanti e il folle progetto di Babel Noah. La corrente eclettica impersonata da Philip Johnson, già collaboratore di Mies. Zevi non perdona: «Cinica abdicazione, evasione di comodo, accademico a un grado nauseabondo». Infine: «Naufraga nel ridicolo la spuria moda del famigerato post-modern». L'architettura italiana rimane in penombra, con vistose omissioni; i suoi esponenti che hanno fama e successo all'estero meritano poche righe o sono addirittura ignorati, sia nella narrazione critica che nelle ricche tavole cronologiche estese dal '700 al 1995. Circolano in tutta l'opera gli umori personali di Zevi, anche la sua preferenza per il lavoro teorico-dottrinale (le sette invarianti del codice moderno, cosa non si deve fare per essere moderni) trattando i pezzi d'autore indipendentemente dai loro effetti, a volte disastrosi, sulla realtà urbana e soprattutto sulla condizione umana. Al cittadino-utente è lecito dubitare che gli eccitanti intrecci di piani sfalsati e di spigoli acuti, i cilindri enigmatici, le contaminazioni kitsch, le nuove torri di babele, le megastrutture residenziali, infondano tanta fiducia nell'awerarsi della «profezia wrightiana di un habitat umano, antiautoritario e gioioso». Mario Fazio
Luoghi citati: Arizona, Brasilia, New York, Stati Uniti, Sydney
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