Don Milani amici corsari di Marco Neirotti
Don Milani, amici corsari Don Milani, amici corsari // tormento segreto che lo avvicinò a Pasolini E quel gesto, quella confidenza paterna e comunque di uomo trascina alla tragedia, alla penitenza probabilmente immeritata della chiusa: «Il ragazzo alza gli occhi. / Ogni lacrima si riasciuga nei suoi / come succhiata dall'aridità della pelle. / La risposta sale dal cuore / verso le labbra. / Non le passa, / resta lì, / chiusa / dietro un sorriso, / ignota al prete, / ancora più tragica: / "Finocchio"». «Finocchio». Eccolo, il tormento, ancora più assassino se addosso a un innocente. La tesi di laurea di José Luis Corzo Toral e l'articolo su Liberal non nascono per allestire una camera di consiglio che decida e determini tendenze, colpe e virtù di don Milani. Testimoniano, invece, un tormento interiore che, come trascinato da una corrente insieme culturale e psicologica, avvicina il sacerdote ribelle allo scrittore, poeta e regista poi finito ucciso all'interno del mondo e dal mondo - che aveva, comunque, amato. «Con preghiera di passarla an- Così il prete ribelle affrontava i sospetti di omosessualità che a Pasolini, di cui non ho l'indirizzo. Con affetto, Lorenzo». Così don Milani scriveva a un amico. Era la fine, mai colta per tempo, di un'amicizia intellettuale. Delle Lettere a una professoressa, scriveva il poeta e regista: «E' l'unico caso in Italia, che almeno mi sia capitato sotto gli occhi, in cui trovi un punto di calore, a un livello, che al mondo non si ha, per esempio, nella nuova sinistra americana e specificamente newyorchese, o, dall'altra parte dell'orbe terracqueo, nella rivoluzione cinese: la stessa forza ideale assoluta, totale, senza compromessi; ed è questo che nel Paese del qualunquismo mi ha riempito di gioia». Con lo scrittore-regista un dialogo a distanza e un'intesa culturale Questo, il 17 ottobre 1967, quando don Milani era già morto da pochi mesi, a quarantaquattro anni, per un tumore. Questo, due anni dopo il processo contro Milani e il direttore di Rinascita per la pubblicazione della «lettera aperta ai cappellani militari». Per il sacerdote era scattata fin dal '65 la minaccia di una sospensione a divinis se i suoi scritti non fossero stati sempre sottoposti a una preventiva lettura dell'arcivescovo di Firenze, Florit. Li leggeva, invece, a distanza, con un'amicizia mai risolta in dialogo diretto, Pier Paolo Pasolini. Un rapporto intenso seppure non diretto, una sorta di pon¬ te gettato al buio, un ponte di parole per un'intesa culturale, sociale, perfino religiosa. Poesie informa di rosa, di Pasolini, don Milani lo ricevette in dono da un amico, Mario Cartoni, cronista della Nazione di Firenze. E ne fece motivo di dibattito sulla confessione, salvo contestare il poeta: «Bisognerebbe dirgli che non è così che si scrivono le poesie. Anzi, mi piacerebbe quasi averlo qui per fargli una lezione». Un invito rimasto sospeso, nonostante un tormento che, in qualche modo, faceva sentire i due artisti vicini. Al di là di qualsiasi giudizio e pregiudizio. Scriveva alla madre U sacerdote: «Non ho nessuna vergogna a passare dal Donnini (frazione di Calenzano, ndr). Non ne son venuto via né per ladro né per finocchio». Un senso di persecuzione infamante, un tormento che riporta a quei versi: «Ancora più tragica: / "Finocchio"». Marco Neirotti
Persone citate: Don Milani, Donnini, Florit, José Luis Corzo Toral, Mario Cartoni, Milani, Pasolini, Pier Paolo Pasolini
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