«Le perquisizioni non erano legittime» al tribunale delle libertà
«Leperquisizioni non erano legittime» «Leperquisizioni non erano legittime» BRESCIA. E' già guerra tra Antonio Di Pietro, Giuseppe Lucibello, Antonio D'Adamo e il pool dei magistrati bresciani dell'inchiesta «Di Pietro 2». Gli avvocati degli indagati per concussione hanno fatto ricorso al Tribunale della libertà di Brescia, sostenendo che il decreto di perquisizione del 6 dicembre non era sufficientemente motivato. I legali chiedono inoltre la restituzione di tutte le carte sequestrate. Dal pool nessuna risposta, in attesa che si esprima il Tribunale del riesame convocato per lunedì prossimo davanti al giudice Roberto Pallini, lo stesso del processo bresciano contro il generale Cerciello delle Fiamme gialle. Per quella data il pool guidato dal procuratore capo Giancarlo Tarquini presenterà una memoria scritta, con le motivazioni giuridiche che hanno portato alle clamorose perquisizioni nelle abitazioni dell'ex pm. In più depositerà il rapporto 470 del Gico di Firenze - quello che è alla base di tutta la indagine - coperto però da un lungo e rigoroso elenco di omissis. [f. poi.] chiamate, numero di telefono di chi chiama e naturalmente di chi riceve. La richiesta dei pm spezzini risale alla primavera '96. Cardino e Franz vogliono sapere chi abbia telefonato a chi, anche negli anni precedenti alla loro indagine. I tabulati di Antonio Di Pietro registrano i numeri di tutte le telefonate dalla e per la sua utenza dalla fine del '92, quando era ancora magistrato, quando entra in scena nell'inchie¬ sta Mani pulite il filone Eni e poi «Chicchi» Pacini. I tabulati vanno dalla fine del '92 alla primavera del '96, quando vengono richiesti dalla procura spezzina. Che vuole essere anche informata di tutte le telefonate in partenza e in arrivo, compiute dagli oltre 40 controllati. Una montagna di elenchi che spetta ora decifrare al pool bresciano. Che cerca le connessioni «affaristiche» tra tutti i personaggi coin¬ volti nell'inchiesta. Quelli perquisiti il 6 dicembre scorso, quelli che ruotano attorno alla figura del banchiere «Chicchi» Pacini. Che ai primi di gennaio, ascoltato dagli uomini del Gico, aveva detto al suo amico romano Marcello Petrelli: «Quei due mi hanno sbancato». «Quei due» erano Di Pietro e il suo amico Lucibello, l'ex magistrato passato alla politica e il difensore improvvisamente arrivato al top. L'ex ministro Antonio Di Pietro Tra quel mare di tabulati controllati i pm spezzini prima, quelli bresciani poi, cercano riscontri, contatti diretti, a quella frase al centro di montagne di polemiche, punto di partenza dell'intera inchiesta nata a La Spezia ed ereditata a Brescia. Un lavoro immane, che deve tener conto anche di mille altre telefonate, che nulla c'entrano con la vicenda. Sono le chiamate private di Di Pietro, più quelle politiche, quando sognava di fare il ministro e realizzava poi il suo sogno. Infranto il giorno della nuova iscrizione nel registro degli indagati di Brescia. Si tratta di telefonate in microscopica parte conosciute già dai magistrati di Brescia nella loro prima inchiesta, quella di Salamone e Bonfigli poi finita nel nulla. Che per 20 giorni misero sotto controllo il telefonino del loro indagato, poi due volte prosciolto. Allora erano intercettazioni, oggi sono tabulati. Che non rivelano il contenuto delle telefonate e rendono più difficile il lavoro dei pm, coordinati dal procuratore capo Giancarlo Tarquini. Un lavoro doppiamente difficile anche perché - avendo solo i numeri-la paternità delle chiamate non è possibile stabilirla con certezza. Si sa, ad esempio, che per un certo periodo di tempo Di Pietro utilizzò un telefonino intestato ad Antonio D'Adamo, l'imprenditore edile amico dell'ex magistrato. E in affari con Pacini, per quella storia dei 15 miliardi ricevuti dal banchiere e per quei 5 miliardi improvvisamente restituiti. Fabio Potetti PERCHE' I GIUDICI CONDANNARONO DELL'UTRI TORINO TORINO I L responsabile marketing della I Zambeletti, la terza casa farmaceutica sul mercato italiano, veniva retribuito «in nero» da Publitalia. I giudici che hanno condannato a tre anni Marcello Dell'Utri spiegano perché: «Il funzionario privilegiava Publitalia nell'impiego delle somme destinate dalla sua società alla pubblicità: 6-7 miliardi l'anno alla concessionaria Fininvest, niente alla Rai». Dalle 212 pagine di motivazione della sentenza escono nuove accuse contro la gestione del colosso creato dall'uomo che un coimputato ha definito «quasi un dio in Publitalia». Accuse di concorrenza sleale. E anche qualcosa di piìi: sulla gestione della pubblicità televisiva del tabacco è stata aperta una nuova inchiesta. Costanzo Malchiodi, l'estensore della sentenza e presidente del collegio giudicante, ripesca quest'altra storia: la Philip Morris sponsorizzava, via Publitalia, alcuni bolidi dell'offshore con i marchi Chesterfield, Marlboro e Merit. Nel 1993 la multinazionale delle sigarette «dichiara di non essere più interessata alla pubblicità attraverso lo sport motonautico. Per convincerla a tornare sulle sue decisioni un funzio- Trecentoquarantuno pagine di relazione, più una montagna di allegati. Nell'ultimo rapporto dei Gico, quello del 30 ottobre ancora firmato da Giuseppe Autuori, c'è di tutto: anche i tabulati delle telefonate sulle utenze di Antonio Di Pietro. Più quelli di telefoni e telefonini di «Chicchi» Pacini Battaglia, Giuseppe Lucibello, Antonio D'Adamo ed altri ancora, oltre quaranta persone passate ai raggi «X». I tabulati, chiesti dai pm spezzini Alberto Cardino e Silvio Franz, materialmente acquisiti alla Telecom dai Gico della guardia di Finanza, sono il mosaico dell'inchiesta nata a La Spezia e passata poi per competenza a Brescia. Che ha ricevuto l'iscrizione nel registro degli indagati per concussione di Di Pietro, Lucibello, D'Adamo e il rapporto 470 del Gico. Più gli allegati, tabulati Telecom compresi. Non si tratta di intercettazioni telefoniche. Gli inquirenti non sanno chi sia all'apparecchio, né il contenuto delle conversazioni. Conoscono solo data, ora e durata delle
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