De Chirico «gioca» a Aosta Miti dei eroi tutti a cavallo

De Chirico «gioca» a Aosta De Chirico «gioca» a Aosta Miti, dei, eroi tutti a cavallo SAOSTA ELLA Parigi della seconda metà degli Anni 20, in cui entrambi erano protagonisti nella società culturale intinta di surrealtà, Jean Cocteau scriveva dei cavalli «antichi» di de Chirico che avevano cominciato a calpestare sabbie egee cosparse da rocchi di colonne spezzate: «De Chirico, nato in Grecia, non ha più bisogno di dipingere Pegaso. Un cavallo davanti al mare, grazie al suo colore, ai suoi occhi, alla sua bocca, attinge all'importanza del mito». Il cavallo, monumento di gesso accoppiato al gemello color cioccolato, l'uno e l'altro pronti ad accogliere in groppa Dioscuri da melodramma settecentesco, nella versione originaria, ma poi trasformato negli Anni 30 in discendenti dei destrieri berberi romantici e focosi di Géricault e di Delacroix, è protagonista assieme a dei, semidei ed eroi della mostra Giorgio de Chirico e il Mito. Organizzata dalla Regione e dalla Fondazione Isa e Giorgio de Chirico al Centro Saint-Bénin, fino al 15 marzo, essa comprende 42 dipinti, 2 terrecotte, 11 bronzi nelle fusioni del 1968-70 della GI.BLESSE di verona, catalogo Giorgio Mondadori con saggi di Marisa Vescovo, Mario Ursino e Paolo Levi. La scenografia d'ingresso è molto esplicita. Dietro a tende di velluto rosso affiorano le sommità delle teste di due calchi di statue classiche, che teatralizzano il prototipo dei miti metafisici, L'enigma dell'oracolo del 1910. In mostra, grazie al tipico principio - e metodo - di de Chirico di una continua «circolarità» nel tempo e nello spazio metafisici delle sue forme, ritroviamo anche la memoria dell'altro parallelo prototipo, L'enigma di un pomeriggio d'autunno nella piazza di Santa Croce a Firenze («Ora, ogni volta che guardo questo quadro, rivedo ancora quel momento. Nondimeno il momento è un enigma per me, in quanto esso è inesplicabile. Mi piace anche chiamare enigma l'opera da esso derivata»). Il tempietto classico, metamorfosi «enigmatica» della facciata di Santa Croce - così come il monumento di Dante diventa nel quadro una statua classica acefala -, ricompare nelle due versioni 1947 e 1971 «neometafisiche» di Termopili, un'immagine fra le più autenticamente ludiche di quello, fra i due fratelli de Chirico e Savinio, in realtà meno dotato di levità di spirito ironizzante e fantasioso. In queste replicate Termopili, con il loro teatrino di tempietti-giocattoli e le loro bandierine, tale levità ironica è realizzata e il ringhioso antimodernista diventa compagno di giochi di Atanasio Soldati e profeta di Del Pezzo. Questo sconfinamento del mito nel gioco è in comune con altre opere dell'ultima fase «neometafisica» degli Anni 60 e 70, caratterizzata dall'abbandono delle repliche-varianti degù originari modelli degli Anni 10 per nuove e «misteriose» invenzioni sugli stessi temi del mito classico e da un alleggerimento della materia e della tavolozza fino a sfiorare una sorta di grafica colorata: esempi massimi Edipo e la sfinge, ripresa al limite del fumetto di un capolavoro del 1920, e l'ancor più fumettoso Ritorno di Ulisse del 1973, con il mare nella stanza. La levità di questi giochi finali dell'ottantenne «magister optimus» accentua il contrasto con il nucleo prevalente della mostra, dominato dalla ridondanza barocco-romantica dagli Anni 30 ai 60, con l'opulenza teatrale in rosso-bruno e verde smeraldo di cieli e di mari, fra la variante 1935 dell'Ettore e Andromaca del 1923 o '24 della Galleria d'Arte Moderna di Roma (a sua volta variazione «barocca» della coppia di maniclùni metafisici del 1917) e 1' omaggio a Delacroix del Centauro con amorino del 1968. Di mezzo, spiccano i d'aprés da Rubens, programmaticamente e orgogliosamente attestati per scritto sulla tela, e l'ostentato tizianismo del Mattino della ninfa del 1948, bozzone per Bagnanti nel bosco, esposto a Lerici nel 1988, in cui - il mutamento di titolo è significativo - il mito cinquecentesco si addensa in realismo courbettiano. Al centro della mostra, tre grandi tele, Achille alle fonti del Peneo, Lo sbarco di Alessandro, Ippolito e i suoi compagni, fra 1961 e 1963, rievocano, in nome della «circolarità», le due grandi tele esposte alla Biennale del 1924 che segnano l'inizio della prima stagione romantico-barocca: l'Ottobrata e I Duelli a morte. La vocazione teatrale che è il volto non enigmatico della metafisica dechirichiana fa sì che l'armamentario e la sartoria neocinquecenteschi delle tele del 1924 subiscano una metamorfosi eroica classica in quelle degli Anni 70. Marco Rosei d'Arte Modeta variazionpia di ma1917) e 1' oCentauro coDi mezzoRubens, porgogliosamto sulla telsmo del M1948, bozzosco, esposto- il mutametivo - il mitdensa in reaAlgrandel Psandcomprievogmatico de Uno degli 11 bronzi di Giorgio de Chirico esposti ad Aosta, insieme con 42 dipinti e 2 terrecotte, fino al 15 marzo

Luoghi citati: Aosta, Firenze, Grecia, Lerici, Parigi, Roma