Pi Pietro l'ora della verità

L'ex simbolo del pool oggi interrogato in tribunale a Brescia L'ex simbolo del pool oggi interrogato in tribunale a Brescia Pi Pietro, Poro della verità Dovrà chiarire perché si è dimesso MILANO. «Giuri di dire la verità, tutta la verità», inizierà il giudice Francesco Maddalo. E poi la domanda decisiva per Antonio Di Pietro, ex magistrato, ex ministro, a Brescia parte lesa per il presunto «complotto». Quando il giudice Maddalo gli chiederà: «Scusi, ci può spiegare perché si è dimesso dalla magistratura?». Gira tutto attorno a questa risposta, l'udienza di questa mattina nell'aula al primo piano di palazzo Martinengo. Dove Di Pietro è già stato prosciolto due volte. Dove, adesso, si trova nella parte di vittima di manovre, pressioni e ricatti per fargli dire basta, il 6 dicembre '94. «Ma lui si voleva già dimettere a primavera», aveva raccontato in quest'aula il gip Italo Ghitti, quello di Mani pulite da «Mariuolo» Chiesa in avanti. «Sì, voleva andare in Sicilia a combattere la mafia», aveva precisato sempre qui Giuseppe Lucibello, l'avvocato amico e adesso pure compagno di sventure giudiziarie. Per le storie di «Chicchi» Pacini Battaglia che in questo processo non passano nemmeno di striscio. Qui, al centro di tutto, c'è Giancarlo Gorrini della Maa. Quello che a Di Pietro aveva dato 100 milioni per rimettere a posto la villetta di Curno e la Mercedes. E pure l'aiuto a nove zeri per Eleuterio Rea, l'amico con la passione per i cavalli. E' Gorrini che parla con Paolo Berlusconi, si confida con Cesare Previti che questa mattina per la prima volta sarà in aula, spiffera tutto agli ispettori del ministero Ugo Dinacci e Domenico De Biase. In un soffio, dal 23 novembre al 7 dicembre '94. Quando l'ispezione ministeriale segreta si ferma e Di Pietro è già ex. «Me ne vado perché tutti mi tirano per la giacchetta», scriveva quel giorno nella sua lettera d'addio l'allora magistrato simbolo di Mani pulite. «Me ne vado perché ho 137 motivi per farlo», ripeteva l'anno scorso, verbale chilometrico davanti a Fabio Salamone e Silvio Bonfigli, i pm che aprirono le indagini e che sono stati messi in un angolo per «inimicizia grave». Al loro posto c'è Raimondo Giustozzi, sostituto procuratore generale, venti giorni di tempo per leggere ventimila pagine di atti e allora le domande sono così così. Meglio di lui il giudice Francesco Maddalo, che ha fatto il pm e che cerca di capire fino alla virgola cosa è successo in quei giorni di dicembre di due anni fa. Giorni convulsi, con l'avviso di garanzia per Silvio Berlusconi al¬ le porte, con il pool Mani pulite all'attacco per svelare storie e fondi neri della Fininvest dell'allora presidente del Consiglio. «Sì, ma era Di Pietro che insisteva a mandargli l'avviso di garanzia. Era lui che diceva: "Io a Berlusconi lo sfascio"», aveva sibilato in aula il procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli. Rendendo tutto più complicato: perché non si capisce cosa sia successo all'inarrestabile magistrato numero uno, che un giorno voleva «sfasciare» e che il giorno dopo spegne i computer, si toghe la toga e si mette a fare il libero cittadino. E poi il docente universitario, il ministro, il conferenziere, l'in¬ quisito - due volte e poi prosciolto - e adesso ancora l'indagato con la doppia patente di ex, dalla magistratura e dalla politica. Carriera ultima iniziata con la famosa lettera a Prodi: «Caro Romano, accetto la tua proposta per il nostro programma dell'Ulivo». Ce l'aveva già in testa, la politica? «Sì», «no», «forse», sono le risposte degli amici, di chi gli stava vicino e dì chi gli è accanto ancora adesso. Risposte che non possono accontentare il giudice Maddalo, che questa mattina dalla viva voce di Antonio Di Pietro vorrà sapere: «Può spiegare perché si è dimesso?». Fabio Potetti ia L'ex pm ed ex ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro L'ex pm ed ex ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro

Luoghi citati: Brescia, Curno, Milano, Sicilia