IN LETARGO PER NON SOFFRIRE

IN LETARGO PER NON SOFFRIRE IN LETARGO PER NON SOFFRIRE FMOSCA ACCI una dormita sopra e ti passa tutto. Un consiglio antico che nessuno probabilmente ha mai seguito alla lettera come Praskovja Kaliniceva che l'ha trasformato in una regola di vita e di sopravvivenza. Da ben mezzo secolo reagisce a tutti i tormenti della sua vita sprofondando in un sonno che dura parecchie settimane. Praskovja, o babà Pasha, nonna Pasha come la chiamano affettuosamente a Mullovka, il suo paese sulle rive del Volga, è una babnshka, una di quelle vere, con il vestitino di cotone stampato a fiorellini e foulard bianco sulla testa, tozza, robusta, con la faccia rotonda da contadina e grosse mani che hanno addosso mezzo secolo di fatica. E ha alle spalle settantanni di vita dura e disperata, una vita sopra la quale sono passati come un bulldozer tutti i disastri della Russia e che lei ha sopportato con rassegnazione e pazienza, come tutto il suo popolo. Ma quando il dolore sembrava insopportabile, quando non le rimanevano più le forze, sopravveniva il sonno a salvarla. La prima volta che è caduta in letargo è stato in un lager della Kolyma, il gelido paese dell'Arcipelago Gulag. Ci era finita con una condanna di dieci anni per un aborto clandestino. Ma cosa avrebbe dovuto fare, era bella ed era rimasta sola dopo che anche suo marito era stato inghiottito dalla voragine del Gulag qualche anno prima. La colpa del suo uomo era infinitamente più grave: insieme ad alcuni amici aveva strappato dal muro e fatto a pezzi un ritratto di Stalin appeso al club del kolkhoz. Pasha non lo rivide mai più. Era crollata addormentata in miniera, mentre insieme ad altre detenute stava scavando un tunnel. Un secondino aveva alzato il pugno per picchiarla e lei era caduta a terra come fulminata, come un animaletto che si finge morto per sfuggire al predatore. Stavano per buttarla nella fossa comune - la morte era l'evento più ordinario in quell'inferno di ghiaccio - ma qualcuno ha chiamato un medico che stupefatto ha dichiarato: «E' viva, ma dorme». Da allora il sonno è diventato la difesa di babà Pasha, la sua àncora di salvezza, il suo biglietto per evadere da un mondo spesso invivibile. La prima volta ha dormito dieci giorni di fila. Da allora la durata dei suoi periodi di letargo si è prolungata fino a raggiungere alcune settimane. Il sonno è la reazione di questa vecchia umile e forte, che potrebbe essere un personaggio di Solzenicyn per la sua vita terribile e ordinaria, alla paura. A una paura che viene dal passato o dal presente, un terrore che ha assorbito per sempre. Ha dormito nel lager, durante la guerra, l'invasione sovietica dell'Afghanistan, la perestrojka. E' crollata a letto quando Eltsin ha cominciato a bombardare il Parlamento. Cade addormentata all'improvviso, come se avesse addentato una mela avvelenata invisibile agli altri, come se dovesse anticipare un'esplorione di ricordi laceranti. Non sogna, non ha incubi, è come una piccola morte. Che le ha permesso di sopravvivere. AnnaZafesova

Persone citate: Eltsin, Pasha, Solzenicyn, Stalin

Luoghi citati: Afghanistan, Russia