Bangkok, leggenda italiana di capolavori e champagne

Sulla scia di Galileo Chini, arte e affari alla corte del Siam Sulla scia di Galileo Chini, arte e affari alla corte del Siam Bangkok, leggenda italiana di capolavori e champagne PRIMA della grande mostra di Galileo Chini che si è tenuta a Bangkok un paio di anni fa, la vicenda degli ita lliani che arrivarono nel Siam dalla metà dell'800 come artisti di corte, aveva i contorni di una leggenda un po' sbiadita. «Se ne parlava in toni vaghi e sommessi ricorda l'ambasciatore Leopoldo Ferri de Lazara -, come qualcosa che c'era stato, ma che s'era poi perduto, simile a un prezioso volume reso illeggibile dalle termiti dei Paesi caldi». Poi, grazie a quell'elegante artista toscano amato da Puccini e da Luchino Visconti, s'è accesa una scintilla d'interesse anche per gli altri, gli architetti, i decoratori, gli ingegneri, gli scultori e gli imprenditori che nel Siam di un sovrano illuminato come Rama V e dei suoi successori trovarono lavoro, fortuna, mogli bellissime, onorificenze e anche malaria, tifo, e in qualche caso la morte. Strano destino per degli italiani, quello di finire in un luogo così remoto, a formare il primo nucleo di cervelli che avrebbero portato il Paese nel XX Secolo. Rama V li aveva scelti per squisite ragioni geopolitiche, considerando l'Italia dell'epoca umbertina più sicura di altri Paesi più aggressivi. Come la raccontano Ferri de Lazara e Paolo Piazzardi, attaché culturale all'ambasciata italiana a Bangkok, nel libro Italiani alla corte del Siam, pubblicato dalla Amaring Printing and Publishing di Bangkok e dal Touring Club, quella del colonnello Gerini, di Annibale Rigotti, di Ercole Manfredi, per non parlare di Carlo Rigoli e Corrado Feroci (un nome, una faccia: avrebbe potuto recitare in un film di Renoir o di Carnè), è una vicenda di grandi sfide creative che somiglia a certe malinconiche memorie degli imperi coloniali. Si sa che tornato in Toscana, Chini fece tesoro della sua esperienza siamese per almeno un ventennio, come testimoniano le sue scenografie per la Turandot dell'amico Puccini. Ma gli anni che effettivamente passò sul grande fiume con le acque gialle, circondato da canne da zucchero, palme, banani, piantagioni di papavero e templi dalle porte dorate e finestre in mosaico e madreperla, furono soltanto tre, dal 1911 al 1914. Prima di lui l'ondata di italiani che ne portò 35 nei ministeri siamesi, era iniziata con l'erudito Girolamo Emilio Gerini, ligure, colonnello, fondatore della prima scuola militare del Siam sul modello di quella italiana, con pince-nez, baffi umbertini, e una passione per la cultura classica e l'antropologia testimoniata da una bibliografia vastissima. Grande amico di Carlo Allegri, tra l'altro: l'ingegnere e architetto di Varese sbarcato dal piroscafo Melbourne nell'89 con un dizionario Hoepli in tasca, che nel '93 è già ingegnere capo del regno, e sposa una bellissima thai con cui è costretto dagli usi locai' a vivere due vite parallele. E di Cesare Ferro: pittore di corte con una passione per il rosso, che parla le lingue ma preferisce il piemontese. La dinastia Chakri che si fa ritrarre da Ferro contornata da putti michelangioleschi, da Cluni immersa nelle allegorie rinascimentali della Sala del Trono, e da Carlo Rigoli, fiorentino destinato per nascita alla carriera ecclesiastica che s'innamora invece degli dei della cosmogonia thailandese, ammira sopra ogni cosa Mantegna, Giulio Romano e Guerrino. Quanto alla necessità di fare dell'architettura l'espressione di un potere solenne, sappiamo che offrì al torinese Annibale Rigotti, amico di Pellizza da Volpedo e De Amicis, l'occasione di disegnare una pianta a croce latina per U sontuoso Anantasama-khom. E che salvò la vita all'ingegner Allegri, perduto ormai nell'oppio dopo la morte di due bambini e della moglie, che recupera invece le forze per buttarsi nel lavoro e ordinare tonnellate di marmo di Carrara, destinate alla Sala del Trono, pronta nel 1916, sotto Rama VI. Su tutti, nella Thailandia di oggi, la memoria di Carlo Feroci, scultore toscano di tradizione anarchica che nel 1934 fondò la scuola d'arte di Silpakorn dove ogni anno, il giorno della sua nascita, gli studenti gli tributano l'apoteosi. Bello e narciso, piglio da Amedeo Nazzari, prese il nome di battaglia di Silpa Bhirasri. Sono storie antiche, quelle di questo volume in cui dominano le tinte del rosso, evidentemente il colore di corte: uomini in posa come il Montesquieu di Boldini, scultori dal profilo eroico, Isotte Fraschini e donne che si chiamano Lina, Ada, Andreina. Storie che si concludono con una punta d'ironia, come quella di Ercole Manfredi alias «Ekarit», architetto torinese, che a 70 anni passati vende una delle più belle raccolte d'arte siamese del mondo, per comprarsi una barca a vela e vivere sull'acqua nella rada di Patta¬ va. La figlia con gli occhi a mandorla Maly racconta che durante l'estrema unzione il prete venuto a benedirlo sentì la mano di Manfredi fargli il solletico sotto la gonna. Quanto agli altri, eccetto Rigoli, Feroci, e il direttore della banda dell'esercito Alberto Nazzari, vittima del tifo a 32 anni, tornarono tutti a morire in patria. Gerini con la febbre gialla contratta nelle foreste che erano state mete della sua indagine speculativa, Ferro alla guida di una Balilla che esce di strada nel 1934, Allegri a Varese, vegliato dalla figlia eurasiatica Lina. Dice la figlia di lei Marika, che oggi vive sul lago di Lugano in una villa degna di Fogazzaro, che il nonno si era ostinato a curare la polmonite con lo champagne. Perché a Bangkok, ai tempi d'oro, si usava così. Livia Matterà Un libro ricostruisce la grande sfida di ingegneri, imprenditori e scultori che trovarono fortuna e bellissime spose thai ma anche tifo e malaria •tà SuBd Il ministero della difesa a Bangkok, dove lavorò G. Gerini, fondatore della prima scuola militare in Siam. A destra, Galileo Chini. A sinistra, una sua opera