GLI AMORI DEL GIOVANE Joyce

dell'università di Trieste Gli anni italiani rivisti al microscopio: il lungo lavoro dell'università di Trieste GLI AMORI tDEL GIOVANE Jote AMES Joyce, ramingo per osterie, canta a gran voce canzoni triestine. Se c'è un temporale, l'uomo che ha segnato di sé la letteratura del secolo si getta sotto i letti di casa, impauritissimo. A quell'epoca, siamo negli anni tra il 1904 e il ' 14, i letti erano molto alti rispetto al pavimento. Ci stava sotto anche un grande scrittore. E poi Joyce che almanacca affari sbagliati, cerca di diventare imprenditore cinematografico con capitali triestini nella natia Dublino, tenta addirittura di prender in moglie una giovane del ricco ambiente borghese cittadino dove è ben introdotto come professore d'inglese ma al di là della cortesia (e dei prestiti che regolarmente riesce a scroccare) viene considerato come un estraneo, oltreché spiantato, oltreché urbiacone. Certo, è difficile andare oltre la classica biografia di Richard Eliman, ma sembra davvero che la vita dello scrittore sia inesauribile almeno quanto il suo Ulisse. E la grande parentesi triestina, dove sono nati i suoi capolavori, continua a riservare sorprese. Queste che abbiamo appena elencato provengono da una vasta ricerca coordinata dal professor Renzo Crivelli, che ha passato al setaccio la città ricostruendo minuziosamente tutte le abitazioni, e sono tante, dei Joyce a Trieste, sondando e incrociando le ultime testimonianze, inseguendo documenti dimenticati. Ne sono nati un libro (in italiano e in inglese) James Joyce, Itinerari triestini edito dalla Mgs Press e una pagina a cura dell'Università di Trieste su Internet (l'indirizzo è http://www.univ.trieste.it / " nirdange/netjoyce/hp.html) che rappresentano una biografia ragionata «per luoghi» ma anche una mappa con tanto di itinerari, percorsi, e naturalmente indirizzi: per ricostruire non solo gli anni di Joyce a Trieste, ma la città di Joyce, dove a ogni casa, a ogni «stazione» sono associati i nomi essenziali, i riferimenti nella corrispondenza, nelle opere, nelle testimonianze. Il racconto «topografico» si snoda attraverso nove abitazioni, di cui otto occupate dal 1° maggio 1905 al 28 giugno 1915, quando lo scrittore, per sfuggire alla guerra e al rischio di essere internato (come accadde al fratello Stanislaus, anche lui professore a Trieste), si trasferì a Zurigo; e la nona da metà ottobre del '19 all'inizio luglio del '20, per l'ultimo deludente soggiorno quando lo scrittore irlandese, di ritorno da Zurigo, capì che la città non era più quella cosmopolita che aveva lasciato cinque anni prima. Così, grazie soprattutto alle insistenze di Ezra Pound, decise di giocare la carta parigina, andando in Francia a raccogliere finalmente un po' di gloria. Joyce era piombato a Trieste con l'incoscienza del fuggiasco, lasciando Nora, la sua compagna già incinta, su una panchina della stazione, e andando subito a farsi arrestare infilandosi in un'osteria mentre gironzolava in cerca di un tetto; e dopo una breve parentesi a Pola (perché la Berlitz School in quel momento non aveva lavoro da offrirgli) mise radici in città fino al punto di convincere a trasferirvisi anche il fratello, destinato a diventare a tutti gli effetti triestino. Stanislaus trascorse lì tutta la vita fine al 16 giugno 1956, quando morì, manco a dirlo, nel «Bloomsday», il giorno in cui è ambientato l'Ulisse e in cui lo scrittore incontrò Nora Barnacle. Joyce aveva abbandonato Trieste, la città dove pure sostenne di essersi «mangiato il fegato», con molti dubbi, seguendo recalcitrante il suo destino. Ma la Trieste degli anni di formazione, quella dell'amicizia di Svevo, non venne mai dimenticata: al punto che in casa Joyce, anche a Parigi, si continuò a parlare in dialetto. E fu adombrata, come è stato notato, in molti personaggi dell'Ulisse, oltre che nel poema in prosa Giacomo Joyce: dove, fra l'altro, si fa un riferimento amoroso che generazioni di studiosi non sono mai riusciti a dipanare completamente. Chi era la figura femminile descritta in quelle pagine per la quale Joyce tradì Nora, o pensò seriamente di tradirla, anzi pensò addirittura (i due non erano ancora sposati) di abbandonarla? La congettura di Ellman, che venne largamente accettata, era che si trattasse di Amalia Popper, un'allieva, figlia di un ricco imprenditore ebreo, nella cui casa Joyce arrivò come insegnante d'inglese nel 1908. Ma da qualche tempo quest'ipotesi è revocata in dubbio. Ad esempio è da poco scito (dall'editore Lint) un libro di Roberto Curci, Tutto è sciolto, che propone una nuova soluzione: l'amata non sarebbe stata la Popper, che pure risentì del prepotente fascino di Joyce e nel '35 pubblicò in traduzione cinque racconti da Gente di Dublino, col curioso titolo Arabi, ma Emma Cuzzi, un'altra allieva della buona borghesia triestina, incontrata a partire dal 1912, e che rimase in corrispondenza con lui negli anni di Zurigo. Crivelli invece, nella ricerca sugli itinerari triestini, ha preferito fermarsi su un terzo nome: Anna Maria Schleimer, figlia di un commerciante d'agrumi, allieva di Joyce fra il 1905 e il 1906. In quel periodo lo scrittore sta vivendo giorni difficili: litiga con Nora e con il fratello Stanislaus, eternamente costretto a pagare i suoi debiti, e ha un bisogno disperato di denaro. Il matrimonio con l'allieva, peraltro amata davvero, diventa la chiave per risolvere tuttoma naturalmente il brillante professore d'inglese, affascinante ma insopportabile, e soprattutto spiantato, ha fatto male i suoi conti. Il progetto di nozze viene bloccato da una sentenza inappellabile del padre di Anna Maria. «Mai con quel maestrucolo d'inglese». Restano una breve delusione, una lunga amicizia epistolare, e alcuni passi memorabili nel Giacomo Joyce, primo fra tutti catello del bacio trasfigurato in un linguaggio sognante come un giovane Ortis e rapido come un gatto: «Al premer lieve della sue labbra, sospiroso esce il soffio del suo fiato. Baciata!» Joyce sapeva far innamorare le allieve. Ma nello stesso tempo era condannato ad allontanarle da sé. C'era naturalmente un pregiudizio sociale: seppure spesso eleganti, e frequentatori strenui di ristoranti, perché Nora non voleva cucinare, i Joyce davano di sé un'immagine di notevole bohème. I collaboratori di Crivelli hanno «stanato» un'ultima testimonianza, quella di Maria Tiziani, intervistata tre anni fa, quattordicenne vicina di casa nell'anno che precedette la guerra e la partenza per Zurigo. Com'erano, quegli inglesi? «Poveri, e neanche tanto puliti». E Lucia, la figlia secondogenita, amica della Tiziani, andava spesso nel loro appartamento dove veni¬ va pettinata con un commento affettuoso ma anche piuttosto definitivo: «Quanti ovi che te ga in testa». Uova: di pidocchi. In una situazione come questa, la distanza con i ricchi allievi d'inglese era incolmabile. Non quella con Italo Svevo, beninteso. Né quella con un personaggio di grande rilievo, Renato Prezioso, direttore del Piccolo, che non solo fece scrivere Joyce sul quotidiano triestino, ma ebbe una fugace relazione con Nora. L'ebbe, o desiderò d'averla: tanto bastò per scatenare le furie dello scrittore e immettere nell'Ulisse anche il nome di Prezioso, nascosto in un gioco di parole nel fondo del quartiere delle prostitute. Ma Joyce era supremamente ;ibile a far innamorare di sé. Accadde certamente con Amalia Popper, se pure detronizzata dal soglio di musa ispiratrice nel Giacomo Joyce, e accadde con altre, come l'anonima ricordata da Vitaliano Brancati in un articolo del '48, sulla base della testimonianza d'una signorina dell'alta borghesia. Aveva un'amica, costei, pazza del professore d'inglese. Così una sera che in casa della «testimone» Joyce non riuscì a finire una lezione perché troppo ubriaco cadde riverso al suolo, la madre dell'innamorata mandò a prendere la figlia a due chilometri di distanza, «con un tassì» scrive Brancati, impedendo a tutti di risollevare l'inebetito docente. Giunse l'innamorata, si precipitò col fazzoletto a pulire il pavimento intorno a tanto caduto; e le bastò uno sguardo alla bocca semiaperta e vagamente rantolante perché l'amore fuggisse. Ma non è un Joyce-macchietta quello che emerge dalla mappa della sua città d'adozione. Semmai un Joyce tragico, e pure supremamente ironico. E indifeso: «L'ho proprio visto io quel tipo lungo e secco sotto il letto, a quel tempo i letti erano alti, e noi bambini ridevamo come matti; e io dicevo: Lucia, vedi tuo papà che ha paura dei temporali», raccontava ancora Maria Tiziani detta «Uci», l'ultima testimone. Quell'uomo nascosto sotto il letto aveva già scritto i capitoli fondamentali dell'Ulisse, l'opera che avrebbe cambiato la letteratura del secolo. Mario Baudino Ricostruiti i «luoghi» joyciani. Mappe e percorsi: e si scopre anche che durante i temporali lo scrittore si nascondeva sotto il letto E DOMscito (dall'editdi Roberto Curche propone unl'amata non sarper, che pure riste fascino di Joblicò in traduzioti da Gente di Dtitolo Arabi, mun'altra allievaghesia triestinatire dal 1912, e rispondenza coZurigo. Crivelli invecgli itinerari triefermarsi su un Maria Schleimemerciante d'agryce fra il 1905 periodo lo scrgiorni difficili: con il fratello mente costrettobiti, e ha un bdenaro. Il matva, peraltro aventa la chiavema naturalmenfessore d'inglesinsopportabile,prattutto spiha fatto male conti. Il progenozze viene bda una sentenzpellabile del paAnna Maria. «Mquel maestd'inglese». Runa breve deluna lunga amepistolare, e passi memorabGiacomo Joycefra tutti catello cio trasfiguratolinguaggio socome un giovanme un gatto: «Ala sue labbra, sfio del suo fiatoJoyce sapevaallieve. Ma nelcondannato adC'era naturalmzio sociale: seppti, e frequentatranti, perché Ncinare, i Joyce dmagine di notelaboratori di «stanato» un'uza, quella di Mvistata tre annivicina di casa ndette la guerraZurigo. Com'er«Poveri, e neanLucia, la figamica della Tiznel loro appart dyutrimt