Diecimila patenti false

Centomila lire per superare l'esame, anche col braccio ingessato Centomila lire per superare l'esame, anche col braccio ingessato Diecimila patenti false Mazzette ad Agrigento, 15 in cella AGRIGENTO. La Guardia di Finanza ha arrestato 15 persone per mazzette pagate per migliaia di patenti di guida «facili»: 100 o 200 mila lire per consentire a minorati psichici, paralitici, gente con braccia ingessate, di superare gli esami senza troppi ostacoli. Nell'operazione Patentopoli, come l'hanno chiamata gli inquirenti, è finito in prigione anche l'ingegnere Francesco Zanca, 49 anni, direttore da tre mesi dell'Ispettorato Motorizzazione Civile di Palermo dopo essere stato trasferito dall'ufficio provinciale di Agrigento. Sono sette i titolari di scuola guida arrestati: Michele Traina, di 30 anni, Pasquale Patti, di 48, Michele Barbera, di 55, Vittorio Russo e la moglie Barbara Li Calzi, di 66 e 61, Salvatore Tuttolomondo, di 60, e Cinzia Alongi di 30. Cinque titolari di autoscuole sono stati denunciati in libertà e per cinque scuole è già scattata la sospensione dall'attività. L'indagine è durata alcuni mesi e ha consentito alla Finanza di acquisire una voluminosa documentazione su più di 10 mila patenti rilasciate negli ultimi tempi dall'ufficio della Motorizzazione agrigentino. Cosi il giudice Birritteri ha firmato le 15 ordinanze di custodia dopo aver vagliato i fascicoli portati a dai finanzieri che ieri hanno parlato di «un diffuso e capillare sistema di corruzione». Per dieci degli arrestati è stata LE VORAGINI DI NAPOLI La voragine che si è aperta l'altro ieri a Napoli. Lo stesso incidente si era verificato I I mesi fa VNAPOLI 1NCENZO Bellone si sveglia ogni mattina con lo stesso pensiero, da undici mesi: «Oggi forse è un buon giorno. Oggi può darsi che rivedi Stefania», dice a se stesso mentre si chiude alle spalle la porta di casa, rione Don Guanella, a due passi dall'aeroporto. Ma la speranza puntualmente si infrange quando si ferma sull'orlo di un'immensa buca che da quasi un anno è la tomba di sua figlia. Stefania aveva 26 anni quando precipitò con altre dieci persone in una voragine provocata dall'esplosione di una sacca di gas nel sottosuolo del Ouadrivio di Arzano. «Passava di li per caso, in motorino. Accompagnava a casa Serena, una ragazzina di 13 anni amica di una mia nipote: è morta anche lei», racconta Vincenzo, e mentre parla la voce gli si spezza. Signor Bellone, l'altro ieri, in via Miano, a poche centinaia di metri dal luogo in cui è ancora sepolta sua figlia, si è aperta di nuovo una voragine che ha ucciso due persone. Che cos'ha pensato quando ha avuto la notizia? «Che morti come quelle di mia figlia e di tutti quegli altri poveri disgraziati sono da attribuire alla volontà degli uomini». Può spiegarsi meglio? «Mi risulta che gli uffici comunali erano da tempo al corrente del l'atto che in via Miano si sarebbero potuti verificare dissesti gravi. Perché nessuno ha fatto nulla? Ci volevano due morti perché qualcosa si muovesse? Eppure la tragedia costata la vita a mia figlia avrebbe dovuto insegnare qualcosa». Perché non hanno ancora recuperato il corpo di Stefania? «In parte per cinica indifferenza, ma anche a causa delle oggettive condizioni di alto rischio dei lavori di scavo. Mi creda, sono undici mesi che aspetto la notizia del ritrovamento di mia figlia: l'attesa mi sta logorando giorno dopo giorno... Ma sia ben chiaro che non mi arrendo: ogni mattina, con la pioggia o con il sole, vado al Quadrivio di Arzano per sapere cosa succede». Ha anche protestato in modo clamoroso. «Si. C'è stato un momento in cui mi sono sentito solo e disperato. Sono andato a Roma, al ministero di Grazia e Giustizia, poi mi sono rivolto al prefetto e all'arcivescovo. Siccome non accadeva nulla, un giorno mi sono procurato una pala per andare a scavare fra le macerie. Se non ci pensano loro, mi sono detto, allora è meglio che faccia da me». decisa l'imputazione di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione oltre a quelle, elevate pure agli altri cinque, di concussione e falso in atti pubblici. Gli inquisiti sono stati prelevati nei loro alloggi tra la notte e l'alba e, esaurite le formalità di rito, sono slati accompagnati in carcere. Sembra che il principale indizio a carico di alcuni accusati sia la consistenza dei loro conti bancari, del tutto sproporzionata alla modestia degh stipendi percepiti, per esempio, dai sette impiegati dell'ufficio della Motorizzazione agrigentino: Maria Albano, 38 anni; Francesca Calabro, 37; Giuseppina Librici, 43, agli arresti domiciliari; e i loro colleghi finiti in car- cere, Elvira Spazzani, 44 anni; Pasquale Tuttolomondo, 41, Umberto Cinquemani, 52, e il capo del personale Antonio Fregapane, 40 anni. «Ci sono le tasse da pagare», sarebbe stata la formula con cui i titolari dell'autoscuola avrebbero chiesto ai candidati agli esami i soldi da versare poi agli esaminatori e al loro capo. I finanzieri avrebbero accertato che chi si ostinava a non pagare la «tassa regionale», alias bustarella, aveva ben poche possibilità di superare la prova. Non a caso le 100 o 200 mila lire venivano fatte pagare il giorno stesso della prova d'esame. Ma somme maggiori sarebbero state chieste e versate nei casi più difficili, come quelli di disturbi neurologici o infermità motoria. C'era anche un'affluenza da altre province, i candidati sarebbero stati esaminati in forza di false dichiarazioni di notorietà. Per evitare i quiz, trappole per i meno ferrati, molti dichiaravano falsamente di non possedere il titolo di scuola media inferiore. La verifica delle schede d'esame avrebbe anche permesso agli investigatori di accertare che non era stato tenuto conto di errori palesi e che spesso non erano state usate matite o penne con inchiostro indelebile, per consentire correzioni irregolari. Antonio Ravidà

Luoghi citati: Agrigento, Arzano, Napoli, Roma