«Momento tragico, ritrovare la fiducia»
«Momento tragico, ritrovare la fiducia» «Momento tragico, ritrovare la fiducia» Romiti: colpa di una classe dirigente inadeguata BMILANO L momento tragico che oggi vive il nostro Paese, e non ho paura a usare l'aggettivo "tragico", è dovuto al disorientamento». Così Cesare Romiti in un discorso a braccio davanti agli studenti dell'Università Bocconi. Si discuteva di un libro, «Intervista sulla borghesia in Italia», che Giuseppe De Rita, l'immaginifico sociologo fondatore del Censis e presidente del Cnel, ha appena pubblicato da Laterza. C'era Montanelli, c'era l'economista De Matte, c'era lo storico Cattini, c'era il curatore del libro-intervista, Antonio Galdo. Un confronto iniziato fra sorrisi e frecciatine, ma alla fine è diventato uno scontro vero e proprio fra due culture, due mentalità, quella liberale di Romiti e Montanelli, contraria all'invadenza dello Stato nell'economia, alle sue ambizioni e visioni programmatorie, e quella dello stesso De Rita, che invece rivendica la bontà di tante iniziative avviate dallo Stato nel dopoguerra. Perché c'è oggi nel Paese questa tragicità, questo disorientamento? Perché «non c'è un briciolo di fiducia, di speranza». Romiti ricorda il rapporto del Censis, cita lo studio diffuso ieri dalla Banca Nazionale del Lavoro: gli italiani sono preoccupati, «non vedono fiammelle», non riescono più a risparmiare. Altrove, nel mondo anglosassone, si parla addirittura di «strategia della fiducia come collante sociale». Da noi no. Gli italiani vedono che il loro futuro è gestito da «una classe politica, da una classe dirigente così povera di individualità e così incerta nelle proprie basi culturali e di comportamento che lascia completamente disarmati». L'abbiamo persa, la fiducia. «Dobbiamo tornare ad averla». Ed ecco la critica a De Rita: non c'è solo la de a non aver creato una borghesia, la cui mancanza pesa sul presente; c'è anche il pei. «Tutt'e due queste chiese hanno cooperato». Esse «hanno controllato la selezione della classe politica» pensando di poterla allevare nelle scuole di partito come «si allevano i polli». Ed in vario modo è stata distrutta una capace burocrazia. Rivolgendosi poi agli studenti: «Il capitalismo non è un mostro. Ne ho discusso con il cardinal Martini e gli ho detto che nel capitalismo c'è qualcosa di sacro per colui che impiega capitali e organizza un'azienda. Va limitato il profitto? E' una bestemmia. Il profitto non dev'essere limitato: quando un imprenditore crea ricchezza, che va poi redistribuita in salari e tasse, e osserva le leggi dello Stato e le leggi etiche, a quell'imprenditore non potete dire "limita il tuo guadagno": ditegli in- vece "quanto più guadagni, tanto più sei benemerito della società e del tuo Paese"». Un tal imprenditore va guardato «con ammirazione». Egli è un «borghese». Il presidente della Fiat ricorda qui il libro di Corrado Stajano «Un eroe borghese» sull'avvocato Ambrosoli, nominato liquidatore della banca di Sindona e «vigliaccamente ucciso». Dice Romiti: «Ne ho regalate tante copie, di questo libro. Leggetelo, e capirete che cosa vuol dire essere borghese e come un borghese può diventare un eroe». De Rita gli replica prima calmo, poi si scalda: «Quando parla Romiti, mi vien voglia di dire: "Io sono cattocomunista". Con tutti i loro difetti, cattolici e comunisti hanno nel codice genetico l'attenzione al progetto complessivo». E difende i «soggetti complessi», cioè le grandi associazioni, le istituzioni e gli interventi dello Stato, di uno Stato «soggetto generico di sviluppo e non di clientele». Una scelta valida ieri e valida oggi. Altrimenti «si cade negli automatismi di mercato, dove non siamo più padroni di noi stessi». De Rita apprezza la cultura «dossettiana», si confessa «cattolico fino in fondo». Anche Montanelli, applauditissimo dai giovani bocconiani al suo ingresso nell'aula, ha criticato il sociologo, la sua nostalgia per i tempi della programmazione voluta da un Vanoni, da un Saraceno, da un Ugo La Malfa, da un intero schieramento nel dopoguerra: un errore fu la Cassa per il Mezzogiorno, un errore fu la riforma agraria («pillolizzazione della proprietà»), un errore è la liquidazione del grande sociologo tedesco Max Weber, interprete dello spirito capitalistico protestante: «Ma io - aggiunge Montanelli - preferisco il capitalismo cattolico perché è più umano, ma in quanto più umano è meno capitalismo, perché il capitalismo è duro, è cattivo». De Rita dice poi che sono stati lui e Pasolini a denunciare per primi il carattere «salottiero» del '68? Nossignori: «Lo facemmo noi che ce ne andammo dal "Corriere"». De Rita lo rimprovera di parlare in nome di una borghesia che non esiste? «Lo so benissimo. Io offro un modello ideale a chi non vi si attiene». Claudio Altarocca STATO E BORGHESIA
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