ANTHONY HOPPNS «Per diventare Pablo mi addormentavo ogni sera guardando le sue fotografie»

^jgHONY HOPPNS ^jgHONY HOPPNS «Per diventare Pablo mi ogni sera guardando le addormentavo suefotografie» film - ha imposto un mutamento alla mia carriera. Esistono pochi caratteri interessanti come quello, personaggi capaci di mettere in luce il lato oscuro che è in tutti noi, il legame stretto tra la vita e la morte. Il bene è spesso noioso, per questo mia figura come quella di Picasso è tanto importante: dalle forzature, dagli eccessi vengono fuori le cose migliori, la bellezza della perla è frutto del contrasto con l'ostrica che la imprigiona». Per interpretare Pablo Picasso Anthony Hopkins si è sottoposto a una vera mutazione fisica: «Ho dovuto perdere una decina di chili, fare molta palestra, indossare lenti a contatto per nascondere i miei occhi chiari e acquistare un'abbronzatura scura. Per settimane mi sono addormentato osservando foto di Picasso e mi sono svegliato guardando le stesse immagini: il mio approccio alla recitazione è GLI EREDI INSORGONO CONTRO IL REGISTA PARIGI. Le donne di Picasso al Grand Palais e lui - il genio - da riscoprire nei cinema parigini, che lanciavano proprio ieri il discusso film sul più amato e controverso pittore novecentesco. Nello scorrere le recensioni, si direbbe i critici cimematografici rimpiangano il museo. Là almeno le Marie-Thérèse, le Dora, le Frangoise, le Jacqueline hanno uno spessore artistico. Femmine, ma - insieme - muse. Laddove gli spettatori di Surviving Picasso rimarrebbero prigionieri (scrive Le Monde) in un'ambigua ricostruzione che «moltiplica i cliché testimoniando un certo disprezzo per l'inventiva estetica». In ogni caso, il poter abbinare film ed expo trasforma Parigi in capitale planetaria della febbre Picasso. Sono infine più avvertibili, sulla Senna, le riserve e gli strali che la famiglia non risparmia al regista James Ivory. Insomma, nel plauso come per gli attacchi, la Ville Lumière sembra prendere assai sul serio la duplice iniziativa picassiana. E il boom al botteghino ne costituisce la mighore conferma. Il massiccio battage sulla pellicola - con polemiche annesse - ha riempito le sale fin dal primo pomeriggio. Quanto alla rassegna, le immancabili cude parlano da sé. le. bn.] molto fisico, sono d'accordo con Stanislavskij quando dice che un attore s'impadronisce di un ruolo anche acquistandone la maschera, la voce, il linguaggio corporeo. Se guardandomi allo specchio trovo un'immagine di me stesso diversa, comincio a sentirmi già un altro». Solo dopo dieci giorni di riprese Hopkins ha pensato di aver afferrato l'essenza di Picasso: «Era una scena dura - racconta l'attore quella in cui licenzio il mio autista: Ivory mi ripeteva che potevo farla anche in modo meno drammatico, ma io sentivo che doveva essere così, nel recitarla tiravo fuori una spietatezza che mi appartiene, con me la gente non ha quasi mai più di due possibilità». Nominato Cavaliere dell'Ordine dell'Impero Britannico nel giugno dell'87, Hopkins ha affrontato il ruolo di Picasso dopo essere stato Richard Nixon per Oliver Stone; poi si è dedicato alla produzione di Bookworm, scritto da David Mamet e diretto da Lee Tamahori e adesso, mentre non esclude la possibilità di un seguito del Silenzio degli innocenti («Lo farò solo se la sceneggiatura risulterà valida»), è già pronto per diventare l'insegnante di Zorro (Antonio Banderas) nel nuovo film di Martin Campbell. Fulvia Caprara MLOS ANGELES ENTRE in Italia esce Surviving Picasso, il film di James Ivory, in Gran Bre tagna è stata pubblicata la biografia di Norman Mailer (Portrait of Picasso as a young ìnan: an interpretive biography, Little, Brown &• Co.). E come già accaduto al momento della pubblicazione negli Stati Uniti un anno fa, le critiche sono devastanti. The Observer ha parlato di una «biografia imperdonabilmente terribile» e ha definito lo sforzo dello scrittore «patetico». The Independent ha accusato Mailer, vincitore di due Pulitzer, di «scrittura trasandata», mentre ITie Guardian, prendendo spunto dalla premessa dove Mailer sostiene di avere pensato a una biografia su Picasso 30 anni fa, poi sempre rimandata perché non si sentiva pronto, commenta acido: «Sulla base di questo libro, c'è da sospettare con tristezza che pronto non lo è ancora». In 45 anni di carriera, con 29 libri pubblicati, Mailer ha conosciuto alti e bassi. Ma mai ha subito commenti negativi così unanimi. Lo hanno accusato di un crimine grave: aver scritto la sua biografia senza condurre ricerche originali e dando troppo peso a quella disprezzatissima di Arianna Huffington, l'autrice che ha deciso di concentrarsi sul misogmismo dell'artista. Mailer ha ammesso di non avere fatto ricerche perché su Picasso sono stati scritti decine di autorevoli volumi e che la sua è solo una interpretazione. Anche qui, però, non gliel'hanno perdonata. Lo hanno accusato, in America come adesso in Gran Bretagna, di vanità, di avere paragonato un po' troppo l'esperienza sua a quella del pittore spagnolo e di avere finito per scrivere un'autobiografia. Lo scrittore ha ribattuto accusando i critici d'arte di essere una casta eletta che si è cliiusa a riccio di fronte all'intruso. La biografia di Mailer è uscita in Gran Bretagna contemporaneamente a quella di John Ricbardson Rescuing Picasso from the Myth (Cape). Copre il periodo 1906-1917: e anche il secondo dei quattro volumi programmati è stato invece accolto da unanime acclamazione di qua e di là dell'Atlantico. Lorenzo Soria BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Si chiama Misha Defonseca, e racconta che a salvarla quand'era una bambina in fuga nell'Europa occupata dai nazisti è stata una lupa: che l'ha allattata, l'ha riscaldata, l'ha protetta dai pericoli e dal freddo dell'inverno polacco negli anni della guerra. Racconta che senza l'«affetto» di un animale selvàggio non avrebbe mai superato quel periodo tremendo. Racconta di avt/e sfiorato la morte anche a Varsavia, e di essere sfuggita d'un soffio soltanto alla distruzione di quel ghetto: scappando all'ultimo, attraverso un piccolo squarcio apertosi nel muro. Ma la sua storia che Misha Defonseca, oggi sessantenne, ha riassunto in una autobiografia appena apparsa in America che la Walt Disney tradurrà presto in film - è occasione di polemiche e sospetti, in Germania. Agli editori e ai produttori americani che definiscono l'avventura di Misha bambina «una straordinaria verità», il Paese dell'Olocausto ribatte sollevando un interrogativo e un dubbio, soprattutto: non sarà, quello dell'emigrata polacca - arrivata negli Stati Uniti attraverso il Belgio e l'Italia un altro esempio di «Shoa - Business», il fenomeno innescato dalla popolarità travolgente del Fa discutere in Germania la vicenda di una ebrea pubblicata in America