Sos dal Piemonte sulle aree in declino di Massimo Giannini

Sos dal Piemonte sulle aree in declino Sos dal Piemonte sulle aree in declino «L Italia non sa usare i fondi strutturali europei» TORINO. L'Italia spende male i fondi strutturali dell'Unione europea. Francia, Germania e Inghilterra utilizzano in modo migliore i finanziamenti. E' quanto sostiene l'Unione industriale torinese il cui ufficio studi economici ha svolto un'approfondita ricerca riguardante i quattro Paesi. Nelle altre regioni europee la destinazione dei fondi è più concentrata su pochi e qualificati interventi, mentre da noi manca una politica organica espressamente mirata alla loro gestione. Le zone francesi prese in considerazione sono Picardie, FrancheComté, Nord-Pas-de-Calais, Haute Normandie; le zone tedesche Bremen, Saarland, Nordrhein-Westfalen, Hessen; quelle inglesi Greater Manchester, Lancashire, Ceshire, West Midlands, West Cumbria, Fruness. In Italia le aree riconosciute «in declino industriale» sono Torino, Genova, La Spezia, Rovigo, Massa Carrara, Livorno, Pisa e Terni. Francesco Devalle I programmi esaminati finanziano interventi per 9300 miliardi, due terzi dei quali sono stanziati nei programmi delle regioni europee prese a confronto. Non tutte le risorse provengono dall'Unione europea. Per il principio del cofinanziamento circa la metà è coperta dallo Stato e dalle Regioni. Nei programmi delle regioni eu¬ ropee la destinazione dei fondi è concentrata: infrastrutture e ricerca assorbono il 65% delle risorse. Nei programmi delle regioni italiane, gli aiuti alle piccole e medie imprese industriali, artigianali e turistiche, alle società di servizio e alle cooperative assorbono il 31% dei fondi, mentre agli altri settori vanno quote variabili dal 2 (sostegno all'occupazione) al 15% (infrastrutture). Inoltre, nelle regioni europee il 90% delle risorse va agli enti pubblici e ad organismi misti a maggioranza pubblica, mentre in Italia il 45% dei finanziamenti va alle piccole e medie imprese e il 55% a enti pubblici e ad organismi misti. Francesco Devalle, presidente dell'Unione industriale torinese: «I cardini di una politica per i fondi strutturali dovrebbero essere: lo sviluppo della progettualità e degli strumenti finanziari che agevolano la realizzazione degli interventi, il potenziamento delle strutture statali e regionali che coordinano e ge¬ stiscono l'attuazione dei programmi e una maggiore presenza nelle sedi comunitarie». Mauro Zàngola, responsabile dell'Ufficio studi economici che ha svolto la ricerca: «In Francia, Germania e Inghilterra vengono privilegiati interventi qualificanti sul territorio, in Italia invece c'è una distribuzione "a pioggia" degli interventi che è dispersiva». Proprio ieri il ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, ricordava che sul fronte della competitività l'Europa si trova in una «situazione drammatica: stiamo perdendo quote del mercato mondiale». Il ministro ha presentato il quarto rapporto del gruppo consultivo sulla competitività. L'Europa sta perdendo terreno nel commercio mondiale rispetto ai Paesi emergenti dell'Asia. Infatti, i mercati emergenti attualmente coprono il 25% del commercio mondiale, e tra 15- 20 anni avranno circa la metà della torta globale, mentre gli Usa mantengono le attuali posizioni. [e. bac] U1GI Abete, ex presidente degli industriali prima di Giorgio Fossa, aveva una sua personale teoria, che in questi giorni di nuova ed astiosa schermaglia tra il sistema bancario e quello industriale è tornata di gran moda: il governatore Antonio Fazio non riduce il tasso di sconto nella misura che l'inflazione giustificherebbe e lo stato dell'economia richiederebbe, perché altrimenti gli istituti di credito chiuderebbero i propri bilanci con deficit da capogiro. Nessuno si è mai peritato di smentire questa interpretazione, maliziosa quanto si vuole, ma per molti versi non priva di una sua qualche «suggestione». Perche forse è vero che il governatore, in questo momento critico per le imprese e le banche, si trova di fronte a una alternativa: se riduce i tassi aiuta le prime, se non li riduce salva le seconde. In attesa di sciogliere il dilemma, opta per quello che, secondo ideimi esponenti di governo a partire da Dini, appare quasi come un «diversivo»: cioè invita gli istituti a migliorare l'efficienza e a ridurre i tassi passivi. Ma a guardare bene, proprio un diversivo non è. Perché non c'è dubbio che per molte banche l'alto livello dei tassi ufficiali sia diventato in questi anni il comodo paravento dietro al quale nascondere le proprie inefficienze, ma è anche vero che quelle inefficienze hanno raggiunto ormai da tempo i limiti di guardia. Semmai, sotto questo profilo, l'unico rilievo che si potrebbe muovere a Via Nazionale è il richiamo un po' tardivo sulla competitività del sistema dal lato dei costi. In Banca d'Italia, ad esempio, è stata quasi traumatica la verifica di quanto fosse cresciuto fino all'anno scorso il costo del lavoro all'Isveimer, una delle «zavorre» più devastanti nel tracollo del Banco di Napoli. Giusto, ma so il problema si avvistava prima, forse non sarebbe esploso con tanta virulenza. Comunque, evviva il governatore, quando ricorda ai banchieri che le «spese di gestione assorbono attualmente oltre i due terzi del margine di intermediazione». E grazie al governatore - a nome dei poveri utenti, che si tratti di anonimi depositanti o di più noti imprenditori - quando propone per il credito ciò che esiste da de cenni per l'industria, e che conI sente a quest'ultima di stare sul I mercato con criteri di efficienza: e cioè un andamento dei salari collegato all'andamento della banca. Questo intende Fazio, quando dice che «le decisioni sugli andamenti retributivi vanno assunte con una migliore percezione dei divari di redditività», e che «i costi vanno riferiti più strettamente agli andamenti aziendali in termini di profitto e di produttività». Ma ora resta un altro problema: che il richiamo di Fazio trovi spazio nelle decisioni dei banchieri è purtroppo tutto da dimostrare. Anzi, le dichiarazioni fatte ieri da Carlo Salvatori fanno temere il peggio: «Non credo che il sistema bancario ridiimi il costo del denaro per fine anno, che è un periodo di chiusura dei bilanci», ha detto a scanso di equivoci il di rettore generale della Cariplo. Ma allora il punto e proprio questo: indipendentemente dalle decisioni sul tasso ili sconto, le indicazioni deila Banca d'Italia su questi argomenti - e non solo quelle formulate negli specch ufficiali ma soprattutto quelle fatte a porte chiuse, come nel vertice della settimana scorsa a Palazzo Koch contano qualcosa oppure no? Fino ari ora, pietra angolare della Banca d'Italia è stata soprattutto la stabilità Per ragioni comprensibili, vista la storia francamente poco nobile che abbiamo alle spalle, dai crac della Banca di Sconto a quello dell'Ambrosiano. Che si cominci a tenere un po' più d'occhio anche l'efficienza è solo un bene, a condizione che si sappia che talvolta questo può richiedere interventi tempestivi, e al limite anche traumatici. In attesa delle vere privatizzazioni, se ne gioverebbero tutti. I clienti per pruni, e forse anche gli stessi banchieri, che magari smetterebbero di essere quello che spesso sono stati: cioè dei signori disposti a farti un prestito solo quando puoi dimostrare di non averne bisogno. Massimo Giannini uni ii — I

Persone citate: Antonio Fazio, Bremen, Carlo Azeglio Ciampi, Carlo Salvatori, Dini, Francesco Devalle, Francesco Devalle I, Giorgio Fossa, Koch, Mauro Zàngola