Un enigma chiamato amnistia di Leo ValianiRaffaella Silipo
Un enigma chiamato amnistia U INTELLETTUALI E POLITICA Un enigma chiamato amnistia Polemica storica tra Valiani e Bocca AMNISTIA. Parola nata per mettere pace ma destinata, spesso, a mettere guerra. Come quella scoppiata tra Leo Valiani e Giorgio Bocca a proposito delle misure di «perdono» dei fascisti nel 1946. L'offensiva l'ha aperta giorni fa Valiani sul Coniere della Sera: il senatore, già esponente di spicco del partito d'azione, ricorda di esser stato nel dopoguerra tra i sostenitori del provvedimento di clemenza verso le camicie nere, e ripropone l'amnistia per Mani Pulite. Il suo pensiero "iene npreso dal direttore del Coiriere ParV M;eli, per cui l'amnistia «allora fu necessaria ^er evitare he una formidabile tela di ricatti soffocasse sul nascere l'Italia democratica» e oggi risponderebbe «a uno scricchiolìo, mi pericoloso conflitto di Procure all'orizzonte». «Nessun ammiccamento al colpo di spugna - conclude Mieli - ma la rottura del tabùamnistia, per discutere con maggiore libertà, prima che mi processo di emancipazione civile si trasformi in un gorgo infernale». In totale disaccordo, sia sull'amnistia di allora che su quella di ora, Giorgio Bocca su Repubblica. Per il quale «il provvedimento togliattiano dell'autunno 1945 fu ingiusto: non si rivolgeva a chi aveva fatto parte del regime (per cui l'amnistia era già avvenuta di fatto nel 1943) ma a chi aveva seguito Mussolini a Salò». E del dopo-Tangentopoli «vale ciò che si è sempre detto dei condoni: premiamo i peggiori lasciando le cose al punto di prima». Ieri, infine, è tornato alla carica Valiani, tralasciando l'oggi ma facendo le pulci al commentatore di Repubblica sul dopoguerra. «Il provvedimento togliattiano fu del giugno 1946, non dell'autunno 1945 come sostiene Bocca. Bocca anche sbaglia nel dire che quell'amnistia non riguardava i fascisti, ma solo i repubblichini. Riguardava gli uni e gli altri». Chi ha ragione? «Sulle date certamente Valiani - dice lo storico Guido Cramz - il provvedimento è del giugno 1946, dopo la vittoria della Repubblica nel referendum istituzionale. Il che è anche concettualmente importante, perché il gesto, pur con tutti i suoi limiti, si pone come un atto di pacificazione verso uno Stato nascente». Per quanto riguarda gli «amnistiati» del dopoguerra, invece, sia Crainz che Gaetano Quagliariello, storici che hanno studiato a fondo il periodo pur partendo da premesse ideologiche assai distanti, danno ragione a Bocca: «Gli interessati erano prevalentemente repubblichini)/, dicono. Poi, però, le loro analisi divergono: Quagliariello, come Valiani, riporta l'attenzione al periodo precedente l'amnistia, ossia alle epurazioni dei fascisti da incarichi pubblici: più blande tra '43 e '45, molto dure quelle dell'autunno '45, volute da Nenni, che aprirono la crisi politica da cui uscì vincitore De Gasperi. «Quello delle epurazioni, sorta di amnistia preventiva, è un campo di studi che si sta aprendo solo ora in Italia - dice Quagliariello - non si può ancora valutare a fondo quanto siano state dure e chi abbiano interessato». Crainz invece sottolinea i limiti dell'amnistia del 1946: «Troppo precoce e troppo larga, ha favorito la vendetta personale. Una costante lega quasi tutte le uccisioni del dopoguerra: le vittime erano spesso colpevoli di delitti efferati, appena uscite dal carcere. E molti, sentitisi traditi dalla giustizia, decisero di far da sé». Tornando all'oggi, potrebbe esserci un'analoga rivolta popolare nei confronti dei tangentisti? «No, perché non sono in gioco passioni ideologiche ma comportamenti penali» dice Crainz. Per Quagliariello «0 conflitto tra politica e antipolitica può piuttosto portare a un rifiuto totale di partecipare alla cosa pubblica». Il che è certo meno sanguinoso delle epurazioni, ma forse non meno rischioso per lo Stato. Raffaella Silipo Il senatore a vita Leo Valiani
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