Aforisti di tutta Europa scatenatevi di Giorgio CalcagnoLeo Longanesi
Aforisti di tutta Europa scatenatevi Un'antologia e un convegno a Venezia rilanciano l'arte degli autori «fulminanti» Aforisti di tutta Europa scatenatevi Le battute più pungenti da Prezzolini a Ceronetti IATE brevi, pungenti, e se possibile un po' carogne. E' la formula dell'aforisma, un genere letterario praticato da secoli, guardato per molto tempo con sufficienza dalla critica accademica, spesso di incerta attribuzione, di faticosa uscita editoriale; e giunto in questi anni a una imprevista età dell'oro. Scrivono aforismi romanzieri, pittori, filosofi, poeti; scrivono aforismi giornalisti, teatranti, cabarettisti; e scrivono aforismi perfino gli studiosi di aforismi. Dice Gesualdo Bufalino, praticante fra i più convinti di questa chiesa: «Un aforisma benfatto sta tutto in otto parole>> e lo dice in otto parole appunto. Ma, se necessario, sa scendere a sette: «I vincitori non sanno quello che perdono». C'è chi lo batte. Ennio Flaiano, che deve agli aforismi due terzi della sua fama, si ferma a sei: «Vivere è diventato un esercizio burocratico». Leo Longanesi, il maestro di tutte le malelingue, si è conquistato l'immortalità con una sentenza di cinque parole: «Vissero infelici perché costava meno». Mino Maccari, più malalingua di lui, è arrivato a quattro, con il suo commento alla marcia su Roma, dove aveva partecipato da squadrista: «O Roma o Orte!» Gli aforisti del nostro '900 sono talmente numerosi che, per raccoglierne solo i principali, c'è voluto un tomo di oltre 1500 pagine: Scrittori italiani di aforismi, Meridiano Mondadori appena uscito a cura di Gino Ruozzi, lo specialista italiano della materia. Un lungo temporale di moralità fulminanti, il più inatteso monumento eretto a questa forma, che per sua natura rifugge dalla monumentalità. Si comincia con Prezzolini: «In Italia nulla è stabile, fuorché il provvisorio» (1921, già allora). Si viene giù fino ai viventi: dove primeggiano i pessimisti radicali come Sgalambro e Ceronetti, i moralisti contropelo come Pontiggia, i subsannanti come Basili, i polemici come Piergiorgio Bellocchio. E ci sono, novità di questi anni, tre donne: Lalla Romano, Alda Merini, Maria Luisa Spaziani. La poetessa torinese, autoironica, fissa il giudizio definitivo: «E questo mio libro, siamo sinceri, vale il sacrificio di un albero?». Per rispondere a questa domanda, e a tante altre, si riuniscono oggi a Venezia gli Stati Generali dell'aforisma, in un convegno all'università di Ca' Foscari, primo di un ciclo triennale su L'Europa degli aforisti. Ci saranno studiosi di Lichtenberg e di Kraus, di Cervantes e di Oscar Wilde, di La Rochefoucault e di Valéry. L'aforisma è una pianta che alligna in tutte le culture, anche se oggi soltanto viene così rigogliosamente alla luce. «Parlar breve è di moda», dice Maria Teresa Biason, francesista, studiosa di massime, che ha promosso l'iniziativa. «Quando l'uomo deve riflettere su se stesso ha bisogno di forme che guidino il suo pensiero. E nei periodi di insicurezza fiorisce l'aforisma». Guido Ceronetti, antologizzato con i suoi Pensieri del tè, ha scritto aforismi tutta la vita: ma, spesso, senza saperlo. «Non mi metto a scrivere aforismi, è una categoria che non conosco come tale. Mi viene un certo pensiero, ci lavoro sopra e poi scopro dalle antologie che era un aforisma». Pensiero sintetico, naturalmente, quello che a lui piace di più. «Ci posso arrivare perché io ho lavorato soprattutto sul verso, che cerca di raccogliere in una linea sola tutto quello che può starci. La via all'aforisma, per me, è la poesia». La brevità chiede esperienza e fatica, tanta. «E' come la scultura, che si raggiunge togliendo dal marmo; cava, cava, cava. Ma quando ci si arriva è una fra le cose più belle della Terra. Di tanti autori, anche dimenticati, è lì il meglio». Che cos'è, davvero, l'aforisma? Una moralità concentrata, uno slogan, un pensiero, una beffa, una cattiveria? Giampaolo Dossena, classificatore di tutti i generi marginali, non ha dubbi: cattiveria. «L'aforisma buono è quello cattivo, fino ai limiti dell'autolesionismo». E cita, come esempio massimo, Longanesi, «Bastian contrario sempre, anche quando scrive "Mussolini ha sempre ragione"». E lui, Dossena, non ne scrive? «Certo, ma irriferibili». Ne può citare uno? Lo cita. Cattivo, molto cattivo. Ha ragione lui: su un giornale, irriferibile. Giorgio Calcagno Leo Longanesi
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