L'isola dei colori scomparsi

Lisola dei colori scomparsi ANTEPRIMA. Esce in America il nuovo libro del neurologo: l'indagine in un arcipelago afflitto da una misteriosa malattia Lisola dei colori scomparsi Avolte la distanza tra inferno e paradiso è anche più breve di quel che sembra negli incubi. I Prendiamo le isole dei mari del Sud, eternamente soffuse della luce romantica dei racconti di Maugham, delle brune sirene di Gauguin e delle avventure di Stevenson. Da un lato il paradiso terrestre della Polinesia è diventato freddo come una cartolina, un mondo dai colori sgargianti che sembra inventato dalla agenzie turistiche. Dall'altro, gli atolli sparpagliati nel mare azzurro della Micronesia parlano di storie atroci, depositi di gas nervino, nuvole tossiche, isole che di notte s'illuminano di luce radioattiva come i quadranti degli orologi digitali. Che questi luoghi top secret, basi militari americane, siano stati visitati o anche solo spiati da un grande raccontatore come Oliver Sacks è una fortuna davvero inattesa per i lettori del suo prossimo libro, che sta per uscire in Inghilterra e Stati Uniti col titolo The island of the colour-blind (Picador e Knopf): l'isola dei daltonici, se sarà tradotto letteralmente, nella versione italiana di Adelphi che uscirà nel '97. E' un Sacks tutto particolare quello di The island ofthe colour-blind, l'elegante investigatore dei misteri della mente che abbiamo già incontrato, ma anche l'esploratore, il naturalista, l'antropologo culturale e il travel writer che tiene a mente la lezione di Bruce Chatwin: descrivere paesaggi e persone come se fossero parte di una storia. In un viaggio che non è spostarsi da un punto all'altro della Terra, ma percorrere le strade imprevedibili di un paesaggio interiore. A questo paesaggio interiore appartengono le letture di uno scienziato che da bambino si Hanno elabin bianco e dagli abiti asolo in Braiuna memor nutriva delle storie di Cook, Magellano e Bougainville, e che più tardi, quando scoprì Darwin, scoprì anche che le isole erano «luoghi molto speciali, intensamente attraenti, remoti e misteriosi, che tuttavia incutevano paura». Come II paese dei ciechi di Herbert G. Wells: il racconto di un viaggiatore che trova una valle dove vivono soltanto ciechi, s'innamora di una ragazza e ottiene il permesso di sposarla soltanto a condizione che acconsenta a farsi togliere quegli organi irritanti, gli occhi. L'isola dei daltonici di Sacks non è una in realtà, ma sono due, Pohnpei e Pingelap, nell'arcipelago delle Caroline, a Est delle Filippine e a Nord della Nuova Guinea. La prima è vulcanica e montagnosa, profumata di frangipane e con le vette che salgono ripide in cielo, circondate dalle nuvole. La seconda è un atollo a 180 miglia di distanza in cui vivono settecento persone. E in entrambe l'incidenza dei daltonici è altissima, due o tre bambini malati in ogni classe. Daltonici totali, non parziali, cioè affetti da acromatopsia: non tollerano la luce, ve- dono il mondo in bianco e nero, e nei casi più gravi non escono mai di casa. La visita in massa che Sacks fa a Pingelap, accompagnato da un neurologo danese affetto dallo stesso male, e dall'oftalmologo americano Robert Wasserman, con oftalmoscopi, lenti, tessuti colorati, disegni, penne e schede speciali in tutte le possibili gradazioni di grigio («gli affetti da acromatopsia vedono tutti i colori, e tutti i grigi, solo come differenti corpi lumi- nosi»), è una scena degna del teatro dell'assurdo. Intorno il paesaggio parla di storie oscure di marinai, reietti, prostitute e missionari. La gente crede che siano stati due cacciatori di balene venuti dalla Scandinavia nell'Ottocento, a diffondere la malattia, tante furono le donne che sedussero e stuprarono. A Pohnpei, annota tipicamente Sacks appena sceso da un rottame d'aereo, persino i maiali non sono rosa, ma bianchi e neri. Come in ogni sua avventura scientifica, l'impenetrabilità di un enigma mette in luce altre verità nascoste. «Avevo una visione, fantastica solo a metà scrive Sacks all'inizio del suo viaggio -, di un'intera cultura acromatica con gusti, arte, cucina, e abiti propri, una cultura in cui il sensorio e l'immaginario prendono forme diverse dalle nostre». E persino il linguaggio e le metafore sono necessariamente altri. Quello che invece scopre è che queste persone che vedono ma non possono leggere se non con il braille, sviluppano per compensazione una memoria e una curiosità formidabili. Oltre a vedere cose che noi non ci sogniamo nemmeno. Un'analoga rivelazione è quella di Guam, paradiso corallino di un turismo giapponese di scarto, dove prospera una malattia che i Chamorro chiamano lytico-bodig, e somiglia alla sindrome postencefalitica che Sacks ha raccontato in Risvegli. Una malattia davvero terribile, che comincia con sonnolenza e culmina nell'immobilità più profonda: ai malati acuti di Guam che vegetano nelle casette sotto le palme da cocco non è nemmeno consentito deglutire. Ecco, è qui che Sacks è maestro, nella capacità di introdurre miracoli nel racconto, sorprendendo persino i suoi colleghi più esperti, come John Steele, il neurologo canadese che da tredici anni studia il lytico-bodig a Guam, e che Sacks chiama «un Gauguin della neurologia». Quando Steele gli presenta Euphrasia, una donna di 70 anni che non può più nemmeno sorridere, Sacks la conduce fino a una scarpata, le dice di salire da sola e lei con sicurezza si arrampica («Se solo il mondo fosse fatto a scale!»). Lo stesso con Jesus, un vecchio immobile come una tartaruga sul portico di casa dall'alba al tramonto. Sotto gli occhi esterrefatti del nipotino, Sacks gli tira una palla e lui la prende al volo, seguitando da quel momento a giocare con tutti i bambini del vicinato. Perché dai suoi pazienti postencefalitici americani - molto più soli, molto più disperati di quelli accuditi da intere famiglie qui a Guam - ha imparato che a questi malati è negata l'iniziativa, ma possono rispondere, se sollecitati. Come Jesus che una volta alla settimana si fa portare «come un cadavere» al centro per anziani, e gioca partite di gin rummy, a patto che qualcun altro faccia la prima mossa. Da dove venga questa malattia che a Guam probabilmente affligge tutti i nati prima del 1952, è ancora un mistero: è stata creduta via via virale, poi genetica, e infine indotta da acque povere di calcio e magnesio o dai semi di cicadea, una pianta vecchia di 250 milioni di anni da cui si ricava la farina di fa- dang che è stata alla base dell'alimentazione indigena, soprattutto durante l'occupazione giapponese. E questo porta Sacks e i suoi lettori nel terreno di oscure meraviglie della natura. Come la spettacolare foresta di cicadee dai semi ultra cancerogeni, nella vicina isola di Rota, che risalgono addirittura al Giurassico; come le felci e i funghi che di notte sono iridescenti; come i microrganismi marini ricchi di neurotossine che, mangiati da pesci più grandi, e questi da altri più grandi ancora, se ingeriti dall'uomo danno paralisi immediata («Qui la gente gioca alla roulette russa col pesce», dice Steele a Sacks, ordinando pollo teriyaki in un ristorante giapponese). E tutto questo ci porta a sospettare qualcosa di atroce: che sullo sfondo smagliante degli atolli del Pacifico ci sia più materia cancerogena e tossica che nel cuore di Cernobil. E forse è anche por questo che proprio qui, riflette Sacks, nei pochi ettari intorno al villaggio di Umatac che è l'epicentro del lyticobodig, deve risiedere non solo il suo segreto, ma anche quello dell'Alzheimer, del Parkinson e dell'Sla, dei quali sembra riassumere le caratteristiche. «Qui a Umatac c'è la risposta - dice John Steele al suo collega -, se si riesce a trovarla: Umatac è la stele di Rosetta delle malattie neurodegenerative, è la chiave di tutte loro». Che intorno a tutto questo ci siano i monumenti di una grande civiltà megalitica scoperta da un marinaio irlandese a Pingelap nell'Ottocento e altre strane aledizione» 00 quando i di balene e sedussero dei villaggi meraviglie come serpenti che salgono sugli alberi e mangiano gli uccelli, pipistrelli che si nutrono di frutta, e un liquore che sembra olio di motore, ha la consistenza dell'ostrica e l'effetto dell'oppio, non deve ingannare. Qui c'è l'inferno, quello vero. E si chiama Johnston, Majuro, Kwajalein; gli atolli dove l'aereo di Sacks venendo dalle Hawaii è costretto a scendere avventurosamente per un guasto al carrello. Johnston è nientemeno che un deposito di gas nervino, circondato da una nuvola di diossina e con una parte ancora radioattiva dagli esperimenti degli Anni 50 e 60. Mentre a Kwajalein, nella cui laguna gli Stati Uniti testano missili e scudi con l'effetto terrificante che abbiamo visto nelle notti di Baghdad, le potenti misure di sicurezza non impediscono a Sacks di scoprire lussuosi campi da golf, e uno dei più alti tassi di suicidi del mondo. Isole. Aveva ragione a definirle all'inizio misteriose e terrorizzanti, così sparpagliate nell'azzurro del Pacifico come stelle nel cielo. Eppure Sacks ci porta a riflettere su quanto siano più sole e isolate le persone affette da acromatopsia e malattie neurodegenerative, qui da noi, e non laggiù, dove vivono in comunità. Tant'è vero che a Berkeley, in California, dove Sacks si ferma sulla via del ritorno, una signora affetta da acromatopsia ha sentito la necessità di aprire un sito su Internet per colloquiare con chi soffre della sua stessa malattia. Si sono iscritti in centinaia da tutto il mondo: Nuova Zelanda, Galles, Arabia Saudita e ora persino Pohnpei. E viene il dubbio che sia questa, naturalmente, la vera Isola dei Daltonici. Livia Manera Hanno elaborato una cultura in bianco e nero, con gusti propri, dagli abiti alla cucina; leggono solo in Braille e hanno sviluppato una memoria formidabile La gente crede che la «maledizione» sia cominciata nell'800 quando arrivarono due cacciatori di balene dalla Scandinavia che sedussero o stuprarono le donne dei villaggi Lo strano caso di Pohnpei e Pingelap, due macchie di terra dove moltissimi abitanti sono totalmente daltonici: i più gravi non possono uscire di casa perché non riescono a tollerare la luce del sole