Trapianto di pelle per salvare il parroco

I lembi di pelle dovrebbero poi venire rimossi fra quindici giorni L'intervento, in programma oggi, è indispensabile per bloccare l'infezione provocata dalle gravi ustioni di don Mario Trapianto di pelle per salvare il parroco Roma, la cute sarà donata dal fratello gemello ROMA. E' il giorno più lungo per don Mario Torregrossa, parroco di Acilia, dopo quella domenica di tre settimane fa in cui le fiamme divampategli sul corpo, mentre l'aggressore fuggiva, ne hanno fatto scempio. E sarà un lungo giorno anche per Salvatore Torregrossa che al fratello gemello donerà un po' della sua pelle. I chirurghi dell'ospedale romano Sant'Eugenio eseguiranno un trapianto in fasi successive. «I frammenti di derma, espiantati dalle cosce di Salvatore e trapiantati sul corpo di don Mario - ha spiegato il primario del centro Grandi Ustionati, Mario Palmisano - verranno rimossi, fra circa due settimane, quando ci sarà la crisi di rigetto che avviene sempre in questi casi». Uno dei problemi più gravi è l'infezione che, nel frattempo, si è sviluppata e ha provocato una febbre molto alta; l'intervento di oggi ò volto anche a contrastare il rischio che si propaghi. Una parte del tessuto sano prelevato a don Mario verrà inviata in un laboratorio dell'Idi (Istituto dermatologico italiano) di Pomezia, dove sarà messa a coltivazione per poter essere reimpiantata. I chirurghi hanno fatto sapere che, tra espianto e reimpianto, l'operazione dovrebbe durare circa sette ore e mezzo: dalle 8,30 fino alle 16. La prognosi è ancora riservata. Don Mario Torregrossa, ha riferito Palmisano, ò ricoverato nel reparto di rianimazione del centro Grandi Ustionati per il principio di polmonite accusato la scorsa settimana. Da allora, ha spiegato il medico, c'è stato «qualche piccolo miglioramen¬ to a livello respiratorio, ma il paziente è mantenuto in coma artificiale grazie a una macchina». Uuali difficoltà presenta un intervento di questo genere? Di sicuro, non è una novità, come conferma il dottor Gilberto Magliacani, responsabile del centro Grandi Ustionati del Cto di Torino. Dal suo reparto sono passate le vittime di tante tragedie del fuoco, prime fra tutte quelle degli incendi in Sardegna di triste memoria. Magliacani ha una lunga esperienza di trapianti e di coltivazione di pelle (al Cto si usa questa tecnica dal 1986) e per lui e i suoi colleghi si tratta, ormai, di routine. Il parroco di Acilia riceverà la pelle dal fratello gemello. Ma la scelta del donatore, in questo caso, non ha motivazioni genetiche. E' solo una risposta d'amore fraterno. «L'affinità genetica - risponde Magliacani -, quando parliamo di pelle, non ha nessuna importanza. Il donatore potrebbe essere il fratello gemello oppure il vicino di casa. Se il tessuto attecchisce, c'è il rigetto». Come si procede, dunque? «Le tecniche chirurgiche moderne consentono di non dover rimuovere tutto l'innesto. Dopo una quindicina di giorni, si toglie la componente epiteliale, ovvero la parte più superficiale della pelle, e la si sostituisce con i cheratinociti coltivati. La meglio nota "pelle coltivata"». Come la si ottiene? «Si preleva al paziente un piccolo lembo di pelle sana - spiega il chirurgo -, un paio di centimetri quadrati, che viene mandato in laboratorio per il trattamento. In capo a una quindicina di giorni, abbiamo altri piccoli lembi di pelle che si mettono al posto dell'epitelio asportato». Secondo Magliacani, un intervento del genere al Cto dura circa tre ore: «Ma devo premettere - spiega - che evitiamo il prelievo di pelle da vivente, preferendo quello da cadavere». Una scelta dettata da ragioni precise. «Prima di tutto, non si corre il rischio di brutte cicatrici sul donatore vivente. Inoltre, la pelle prelevata da un cadavere può essere conservata in azoto liquido anche per un anno. E pare, addirittura, che questo metodo di conservazione diminuisca l'intensità della reazione da rigetto». Don Torregrossa è in stato di coma artificiale. Perché? «E' attaccato a un respiratore auto- matico. E, dunque, verrà tenuto sotto l'effetto di sedativi affinché i movimenti spontanei della respirazione non contrastino quelli della macchina». E come può essersi sviluppata l'infezione? «L'infezione, purtroppo, è per il 75-80 per cento dei casi la causa di morte di un ustionato. I batteri hanno facile via quando viene a mancare il rivestimento cutaneo, un formidabile scudo». E non è mai possibile avvolgere il paziente in un ambiente del tutto sterile. «Lui stesso conclude il chirurgo -, come tutti noi del resto, si porta addosso i batteri che lo potranno colpire». Daniela Daniele I lembi di pelle dovrebbero poi venire rimossi fra quindici giorni II sacerdote era stato aggredito e dato alle fiamme tre settimane fa Gilberto Magliacani, responsabile del centro Grandi Ustionati del Cto di Torino. A destra, don Mario Torregrossa Sopra, l'altare davanti al quale tre settimane fa don Mario venne aggredito e dato alle fiamme mentre era raccolto in preghiera

Luoghi citati: Pomezia, Roma, Sardegna, Torino