E DA VICHY RISPUNTA MALET di Bruno Ventavoli

E DAVICHY RISPUNTA MALET E DAVICHY RISPUNTA MALET UL pagliericcio un uomo farfuglia un nome, un indirizzo. Poi, esangue, madido di sudore, se ne va all'altro mondo. Lasciando dietro di sé una cambiale di mistero, un viatico di intrighi. Ma il posto dove tira le cuoia non è un normale ospedale, né un ordinario angiporto. E' uno Stalag. Cintato dal filo spinato. Ricolmo di prigionieri di guerra. Risonante d'ordini tedeschi. Perché insieme allo smemorato sta morendo l'intera Francia, occupata dalle armate naziste, scesa al compromesso di Vichy. E' lo scenario cupo di 120, rue de la Gare, la prima avventura di Nestor Burina, il duro detective creato da Leo Malet. Un personaggio amatissimo del polar francese, che non ha mai trovato degno diritto d'asilo nella nostra editoria. La proposta è ora fatta dagli Editori Riuniti (a cura di Eugenio Rizzi). 120, me de la Gare, scritto nel '42, vergato davvero in un campo di prigionia tedesco, restituisce alla perfezione l'atmosfera cupa della Francia sconfitta. Le indagini dell'occhio privato devono infatti fare i conti col coprifuoco, con i permessi risicati dalie autorità naziste, con generi alimentari e benzina razionati. Il cronista Marc Covet, informatore di Burma e gran bevitore, deve accontentarsi di aperitivi sintetici; l'ispettore Faroux spedisce i suoi agenti pedinatori su velotaxi a tassametro; ragazze e signori riciclano divise militari per farne abiti. In questa atmosfera nera e razionata sguazza Nestor Burma, appena uscito da un campo di prigionia, titolare dell'agenzia «Fiat Lux». Il metodo di Burma è «mettere il mistero KO». E, in parallelo, anche le regole del giallo classico entro cui si muove vengono infrante. Malet è uno che non va per il sottile con la trama. Preferisce raccontare ambienti. Descrivere avvocati corrotti e riccastri dalla morale marcia. Mentre sulle connessioni degli indizi sorvola e semplifica. Alla verità approda quasi per caso, seguendo indizi banali, facendo morire subito uno dei più stretti collaboratori del detective e insinuando dubbi di colpevolezza persino sulla sua bella segretaria. Leo Malet, nato nel 1909 (e morto l'anno scorso), è un capostipite del giallo francese. Rimasto orfano a tre anni, mizia la vita inseguendo mille mestieri. Nasce anarchico, come trotzkista viene arrestato. Impara a leggere su Dumas e scopre che raccontare storie è la sua vera vocazione. Debutta dietro pseudonimo (Frank Harding) con romanzi che imitano l'avventura americana. Ma poi capisce che per i delitti a stelle e strisce sono tempi duri nell'Europa sotto l'egida del Terzo Reich. Dove il tabacco Philip Morris non ha più diritto d'asilo. Decide così di stampare in copertina il nome che gli hanno dato i genitori. E di descrivere una Parigi nera hard boiled come quella di Hammett o Chandler (al grande giallista americano dedica anche un omaggio scrivendo Miss Chandler est en danger nel 1945). Vorrebbe intitolare il suo giallo LTiomme qui mourut au stalag, ma gli fanno notare che non sarebbe opportuno. Esce così come 120 rue de la Gare, riscuote immediato successo e viene comprato dal cinema. Maiet debutta nella scrittura come poeta. Surrealisteggiando. A ventidue anni. Incontrando il plauso di Breton. Ma è nel polar che a davvero fortuna. Con una lunga carriera di oltre cinquanta titoli, scritti in un florilegio di I pseudonimi. Leo Batimer, Oiner Refrcnger, Lionel Doucet, John Silver Lee, Louis Refrenger. Le sue storie tese e accelerate hanno trovato, naturalmente, il consenso del cinema. Da Carne a Becker. Sono molti i personaggi usciti dalla pernia di Leo Malet, ma il più amato e famoso resta Nestor «Dinamite» Burina, protagonista (dal 1954 in poi) di intrighi ambientati programmaticamente in ogni arrondissements parigino, compreso il 4° (quello ebraico), nella serie dei les Nouveaux Mystères de Paris. La genesi di questo eroe nerboruto e passionale, scaltro e onesto? Casuale. Mediata - come ricorda Eugenio Rizzi nella postfazione - dal nome mglese della Birmania. In un'avventura di Fu Mancini, un uomo ben piantato bussa alla porta del dottor Petrie e viene immediatamente riconosciuto: «Smith esclama Petrie - Nayland Smith di Burma». Fu questa scenetta assolutamente banale a partorire un mito. Bruno Ventavoli

Luoghi citati: Birmania, Burma, Europa, Francia, Fu Mancini, Parigi