Tornano in libertà i giudici «legati» a Pacini Battaglia di Giovanni Bianconi
Tornano in libertà i giudici «legati» a Pacini Battaglia Tornano in libertà i giudici «legati» a Pacini Battaglia PERUGIA «CONTRO» LA SPEZIA E ROMA intanto a Perugia i magistrati accusati di corruzione tornano in libertà. Orazio Savia e Roberto Napolitano, le due «toghe» finite agli arresti nell'inchiesta su «Chicchi» Pacini Battaglia approdata a Perugia, sono stati scarcerati dal tribunale della Libertà. Il primo per «mancanza di esigenze cautelari»; il secondo per assenza di «gravi indizi di colpevolezza». Anche Filippo Verde è tornato a casa, perché competenti sul suo caso sarebbero i giudici romani, ma quella è un'altra storia. Savia e Napolitano, invece, sono considerati due terminali importanti della rote di corruzione messa in piedi dal banchiere italo-svizzero, che ora a Brescia ha travolto anche Di Pietro. In particolare il secondo, ex giudice istruttore a Roma e poi procuratore di Grosseto; ma il tribunale del riesame ha detto di no, e l'inchiesta perugina subisce un brutto colpo. Dalle intercettazioni nello studio di «Chicchi», prima gli inquirenti e poi l'Italia intera hanno saputo che Napolitano avrebbe intascato almeno qualche decina di milioni dal suo amico Pacini Battaglia. Il quale gli chiedeva consigli sui suoi «problemini», presumibilmente giudiziari. Secondo l'accusa l'ormai ex giudice (s'è dimesso all'indomani dell'arresto, a metà settembre) si trovava in una «posizione strategica rispetto al fenomeno complessivo della corruzione giudiziaria romana», i soldi che intascava dal banchiere facevano parte dell'«accordo corruttivo», e c'è da ritenere che fosse coinvolto «non solo come corrotto, ma anche come corruttore». Niente affatto, replicano ora i giudici del tribunale della libertà. Perché per parlare di corruzione bisogna individuare una «condotta antidoverosa» da parte del giudice, e poi accertare concretamente una «correlazione fra la dazione del denaro e la condotta suddetta». In altre parole, prendere soldi non è reato se in cambio non si fa qualcosa di contrario ai propri doveri d'ufficio. Secondo i pm di Perugia, e secondo il gip che l'aveva mandato agli arresti domiciliari, Napolita- no faceva «l'informatore» di Pacini. Ma per i loro colleghi che l'hanno scarcerato è troppo poco. «L'assoluta genericità dei conversari» tra l'ex giudice e il banchiere, affermano, non permette di collocare Napolitano «in modo effettivo, stabile e organizzato nei progetto e nelle finalità criminose del Pacini Battaglia», il quale invece resta agli arresti domiciliari. Ma c'è dell'altro. «Sicuramente - si legge nell'ordinanza depositata due giorni fa Pacini Battaglia si giovava dell'amicizia col magistrato per ottenere informazioni e consigli su come affrontare le emergenze giudiziarie, così come il secondo faceva affidamento su tale amicizia per ottenere un appoggio nel suo "futuro romano". Tale rapporto appare certamente censurabile per altri profili e non esclude nemmeno la sussistenza degli indizi ritenuti dal gip, ma non è gravemente indiziante, tenuto conto degli elementi a favore segnalati, circa un sodalizio criminoso; tanto più che esso andrebbe riferito non ad una attività specifica, ma ad una generica posizione di "consulente"", rafforzata dal rapporto amicale». Già, perché un altro punto a favore di Napolitano e contrario all'accusa è proprio l'amicizia tra lui e Pacini Battaglia, un'amicizia vecchia di circa quindici anni, che renderebbe credibile la tesi difensiva: i soldi dati dal banchiere al magistrato potrebbero essere un prestito «non necessariamente ancorato ad un corrispettivo di carattere corruttivo». Contro questi provvedimenti ci saranno i ricorsi della Procura. Nei corridoi di quegli uffici si parla di indizi valutati singolarmente, e non nell'insieme, da un collegio nel quale due magistrati su tre provengono dal tribunale civile. L'inchiesta sui giudici presunti corrotti, nonostante la parziale sconfessione, contimia. Giovanni Bianconi Qui sopra Pacini Battaglia in alto l'avvocato Dinoia e la perquisizione nella casa di Di Pietro a Curno
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