«Difficile con queste leggi incastrare chi non paga»
«Difficile con queste leggi incastrare chi non paga» «Difficile con queste leggi incastrare chi non paga» E allora, cosa avete fatto? «Che ci fosse un'enorme evasione, era evidente. Ma non si poteva colpire tutti, bisognava fare una scelta. Studiammo un sistema oggettivo, quasi scientifico». E cioè? - «Mandammo finanzieri al Pra, al Catasto, l'Inps, le associazioni di categoria, per raccogliere il maggior numero possibile di dati: acquisti di appartamenti, di auto, tabulati dei versamenti di contributi, elenchi degli iscritti alle diverse categorie. In pratica, tutto ciò che poteva servire a darci una "fotografia" degli incassi di studi professionali, commercianti, artigiani. Inserimmo tutti i dati in un computer. E poi li confrontammo con le copie del 740 che ci fornì il Comune. Il Municipio, allora, ci diede una grossa mano. Il sindaco ci prestò un drappello di impiegati. E quei sacchi pieni di 740, consegnati a noi, anziché a Roma, furono preziosi». E che risultati avete avuto? «Incrociando i dati, il computer ci fornì un elenco di circa 500 persone: i più grossi evasori della città. C'era gente che aveva dichiarato 20 milioni, ma aveva comprato la Por¬ sche e la casa in montagna. Li dividemmo in due gruppi, e partirono i blitz. Ricordo che ci arrivarono anche molte critiche. Nessuno aveva mai visto i finanzieri davanti a noti locali del centro e a casa di professionisti famosi. Ma la strategia era quella giusta. Un gruppo di pm costituì il primo pool fiscale in Italia. Lo coordinava 0 collega Bruno Tinti. Istruimmo una marea di inchieste: il 90 per cento degli inquisiti fu rinviato a giudizio. In tribunale, dopo un avvio un po' laborioso, arrivarono le condanne. Ricordo che l'anno dopo i nostri blitz, le denunce del 740 in Comune aumentarono. E molti cambiarono addirittura residenza per sottrarsi alle nostre indagini: si trasferirono nelle cinture». E poi cosa accadde? Perché smetteste di usare quel meto do, se funzionava? «Accadde che venne cambiata la legge. E ci trovammo con le armi spuntate. Non bastava più la semplice omessa fatturazione o la sottofatturazione, per dimostrare la frode fiscale. No, la Cassazione chiese qualcosa di più. Prima, se un contribuente dichiarava la metà di quan¬ to realmente incassato, veniva comunque perseguito penalmente. Con il nuovo indirizzo, invece, per condannare gli evasori dovevamo dimostrare nel cittadino anche un comportamento truffaldino». E tutto tornò come prima. «Il cambiamento voluto dalla Cassazione, che ci tarpava le ali, e i condoni fiscali che arrivavano con cadenze fisse, resero inutile molto del nostro lavoro. Anche perché ncssun'altra procura seguì il nostro esempio». Vuol dire che oggi non si fa più nulla? «Dico che quasi ci scappa la voglia, di fare. In tribunale arrivano pochi casi, montagne di carta inutile. Finisce quasi sempre con una depenalizzazione. Il pool è ridotto all'osso. Eppure, abbiamo dimostrato che si potevano ottenere dei risultati. Io dico che il sistema per battere gli evasori esiste. Ma occorrono poche leggi, chiare, e soprattutto dettate una volta per tutte. Se si cambia strada ogni due anni, o si fabbricano condoni a raffica, non cambierà mai nulla». Nino Pietropinto
Persone citate: Bruno Tinti, Nino Pietropinto
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