Quei vertici che sbagliano

Quei vertici che sbagliano Quei vertici che sbagliano I resta di sale, di fronte alle ultime due brillanti iniziative del consiglio comunale e/o del sindaco di Milano: accettare precipitosamente le dimissioni di Giorgio Strehler, rinunciando con brutale indifferenza al teatrante italiano più noto nel mondo, a un uomo di cultura che rappresenta da quasi cinquant'anni il legame tra la città e il teatro, a un artista che ha reso leggendari il Piccolo Teatro e la sua scuola per attori; approvare l'idea insensata di fotografare i clienti di prostitute e prostituti milanesi, d'inviare a casa loro l'immagine-prova, di trasformare i vigili urbani in guardoni spioni con la Polaroid. Si resta di stucco: anche perchè non si tratta certo delle uniche incomprensibili scemenze pubbliche di questo periodo. Anzi, si moltiplicano da parte di personaggi ufficiali le pensate balorde che farebbero piangere se non facessero ridere, le dichiarazioni fuori posto e autolesioniste, le proposte la cui astratta stravaganza sconcerta e stupisce, le azioni sbagliate subito corrette o ritirate in poche ore, i passi errati che ridicolizzano chi li compie, le promesse infondate^le cpntr^ddjai0ni palesi, le affermazioni tanto apodittiche quanto facilmente smentibili. Insomma, le stupidaggini che inducono a chiedersi: ma come le immaginano, come vengono loro in mente, come possono non valutarne le conseguenze e non riflettere all'effetto che fa, perchè prima di parlare o di agire non si consigliano con qualcuno o almeno non contano sino a cento, possibile che gli italiani al vertice abbiano perduto anche quell'intelligenza che fra tanti difetti nessuno negava loro, possibile che «la prevalenza del cretino» già annunciata da Frutterò & Lucentini oltre dieci anni fa si sia alla fine piena- Eite realizzata, sia ditata trionfale? ae e e uo andi iual o n LA SINISTRA E L'EUROPA ostacolare il processo di integrazione, è desi inala ad una sconfitta drammatica e bruciante. La strada da seguire, a mio avviso, è quella opposta. Scegliere una politica che imprima un segno forte al disegno di integrazione sovrannazionale, innanzitutto a partire da istituzioni dotate del potere di regolare e governare questo processo. Del resto proprio qui e il cuore del problema che ci pone Maastricht: il fatto che quell'accordo, all'atto della sua definizione e stesura, fosse stato pensato, anche, come un progetto politico, e quindi come una prospettiva che cercava di legare insieme la moneta e i processi sociali e istituzionali. Se, come pare, di quell'impianto rischia di rimanere soltanto una interpretazione restrittiva e ragionieristica della moneta unica, la responsabilità non è dello spirito che ha animato quella proposta. Helmut Schmidt ha ricordato di recente, polemizzando con il governatore della Bundesbank, come quel vituperato trattato preveda testualmente che, in ca¬ so di mancato rispetto di tutti i requisiti previsti, si tengano nel dovuto conto «gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro». Parole che confermano quanto i criteri fissati rispondessero, prima di ogni altra cosa, a vincoli e valutazioni di ordine politico. Ora, è certamente vero che l'accentuarsi di una visione quasi esclusivamente monetarista produce una crisi verticale di consenso intorno all'idea di Europa unita ed accresce un sentimento di diffidenza, di chiusura corporativa che rende tutto più difficile. Sarebbe un errore, da questo punto di vista, sottovalutare le recenti elezioni in Austria o in Finlandia e il riaffiorare di spinte apertamente ostili al disegno di integrazione premiate da un consenso preoccupante. Segnali che dimostrano come il campo di forze popolari e di sinistra che meglio ha interpretato una concezione democratica dell'integrazione rischia oggi di rimanere schiacciato tra le due destre che affiorano in Europa. Quella monetarista che restringe l'orizzonte dell'integrazione e quella populista, nota anche da noi, che raccoglie una resistenza demagogica e nazionalistica insieme a sentimenti di paura e di reazione verso la sfida della glo¬ balizzazione. Il punto vero è come si esce da questa morsa. Come si introducono fattori capaci di riqualificare lo spirito e l'ambizione che sorressero, in altri momenti, la parte migliore del pensiero europeista. Non ho mai considerato realistica l'idea di una rinegoziazione di Maastricht. Né mi pare possibile, come in modo ingegnoso ma forse un po' ingenuo propone Barbara Spinelli, precipitare i tempi dell'Euro (si pensi sole ai problemi tecnici connessi alla costituzione di una banca centrale europea). Il vero problema è quali altri obiettivi politici devono, da subito, entrare nell'agenda dell'Europa. A cominciare dalla necessità che nella Conferenza intergovernativa, in corso da mesi, vi sia un'accelerazione ed un netto rafforzamento delle decisioni che attengono all'architettura istituzionale dell'Unione. Istituzioni più forti per contare di più: questo significa prevedere che le decisioni importanti possano essere assunte a maggioranza, che si determini una effettiva codecisione, su materie specifiche, tra il Parlamento e il Consiglio europeo. Una politica comune implica che si dia pieno corso ad un'azione congiunta in materia di lotta alla disoccupazione, che si proceda verso un'armonizza- t zione dei sistemi, fiscali, elemento decisivo se si vogliono evitare aree geografiche dove si concentra l'evasione o si determinano disparità intollerabili della pressione sui mercati e sulle imprese. E ancora, significa porre mano ad una legislazione comune in materia di diritti sociali affrontando, insieme, il tema enorme di una riforma del Welfare, dei suoi ritardi e delle sue distorsioni. Tutto questo ò l'Europa unita alla quale pensiamo. La moneta unica non è un avversario di questo complesso di riforme, anzi rappresenta, nei fatti, il più massiccio trasferimento di sovranità politica che mai la Comunità Europea abbia tentato nel corso della sua storia. Ma non è un obiettivo che, da solo, può assorbire tutti gli altri. Quindi bisogna anzitutto allargare il campo del confronto, dell'impegno e, se necessario, della battaglia politica. Perché è su queste materie che si confrontano oggi visioni e strategie diverse di unificazione. Ciascuno deve fare la propria parte assumendosene la responsabilità. Sino ad ora, ad esempio, il cancelliere Kohl ha continuato ad ostacolare, come è accaduto al vertice di Firenze, una politica comune per l'occupazione a partire dal veto posto al finanziamento delle reti transnazionali previste dal Piano Delors. 1 Il punto di fondo è che, se non si affrontano questi nodi politici, è serio il rischio di un sostanziale fallimento della Conferenza intergovernativa. Questo sì, sarebbe un fatto grave. Perché a pagare il prezzo maggiore di un esito simile sarebbero quelle forze e quei governi che più sinceramente si sono fatti carico, scegliendo l'Europa, di proiettare nel futuro i valori della solidarietà, della collaborazione, di frontiere aperte, dell'integrazione. Non saremmo di fronte alla sconfitta di una parte, ma alla crisi di quel modello di civiltà europea che dimostrerebbe di non essere all'altezza della mondializzazione. Sarebbe una sconfitta della politica e della cultura. Può la sinistra non farsi carico fino in fondo di questa responsabilità? Sinceramente penso di no, che non sia possibile. Credo che la voce della sinistra e di un campo di forze democratiche debba levarsi con forza, ora. L'Italia ha un cammino alle spalle e le carte in regola per fare la propria parte sino dal prossimo vertice di Dublino, quando verranno esaminate le bozze dei nuovi trattati. Sarà quella la sede dove proporre e difendere con la massima determinazione l'inserimento di indicazioni e criteri vincolanti per l'occupazione, i diritti sociali, il futuro delle generazioni più giovani. Ha scritto di recente Jacques Delors che i cittadini scettici o dubbiosi sui sacrifici da fare, «hanno il diritto di ricevere risposte chiare». Sono parole giuste e che ci riguardano dal momento che il vero problema è convincere la società italiana di qualcosa che bisogna fare oggi perché domani si possa vivere meglio, in un'Europa unita e capace di garantire sicurezza, pace, diritti sociali, opportunità per i più giovani. L'Europa che nascerà da questo processo sarà un continente che porterà con sé l'eredità migliore di una civiltà permeata dai valori democratici della libertà, del diritto, della tolleranza. Rafforzare questa civiltà, impedire che venga sottomessa a nuovi e pericolosi integralismi, è una garanzia per il nostro futuro comune. Non si tratta di una sfida semplice, né dall'esito scontato. E' soprattutto una sfida che si affronta soltanto con la politica, non certo senza di essa o tantomeno contro. Europa e politica, ancora una volta, procedono insieme. Insieme possono vincere oppure subire i veti e i poteri di altri. Sta alle classi dirigenti non deludere queste attese e non tradire questa fiducia. I vertici che sbagliano non riconoscono mai d'aver sbagliato, naturalmente, e ricorrono al vecchio espediente di dire che non è colpa loro ma dei giornali e della tv che non capiscono, dilatano, mistificano, esagerano. A questo scherzo siamo abituati da tanto tempo, alle epidemie di scemenza non si può credere, la ragione dev'essere altrove: magari potrebbe stare in un distacco dalla realtà così grande, in una lontananza così remota, da far perdere il senso comune e la testa. ACCORDO Nonostante molti lamenti e proteste a causa della democrazia mutilata, per gli opposti schieramenti non si può dire che alla Camera (al Senato, si vedrà) la discussione della legge finanziaria sia risultata negativa. Anzi. Abbandfìnandp l'aula parlamentare e lasciandovi soltanto scarse rappresentanze, l'opposizione ha fatto bella figura coi suoi seguaci, ha sottolineato il suo dissenso verso quella legge, senza compiere però l'atto sconsiderato, irresponsabile o addirittura considerato antinazionale di votare contro. Restando sola nell'aula parlamentare, la maggioranza di governo ha potuto procedere all'approvazione della legge senza l'intralcio di richieste di modifiche o di filibustering , con insperata rapidità e facilità. Neppure se D'Alema e Berlusconi si fossero messi d'accordo sarebbe andata così liscia. Lietta Tornabuoni Massimo D'Alema LA STAMPA Quotidiano fondalo nel DIRETTORE RESPONSABILE Cui In Rossella VICEDIRETTORI Luigi La Spina, Vittorio Sabadin REDATTORI CAPO CENTRALI Roberto Bellato Ilario t'resto-Uina, Franco Tropea ART DIRECTOR Angelo Rinaldi EDITRICE LA STAMPA SPA PRESIDENTE Giovanni Agnelli VICEPRESIDENTI Vittorio Caissotli di Chiusami Umberto Cullila AMMINISTRATORE DELEGATO E DIRETTORE GENERALE Paolo Paloschi AMMINISTRATORI Luca Corderò di Montezemolo (iiovanni (jiovannini Francesco Paolo Mattioli. Alberto Nicolellu STABILIMENTO TIPOGRAFICO La Stampa, via Marenco 32, Torino STAMPA IN FACSIMILE La Slampa, v. G. Bruno SI, Ttoino STI Sri. v.C Parati 1.10, Roma SRS-spa, Quinta Strada l'i. Catania Nuova SAME spa, v. della Giustizia 11, Milano LT'nione Sarda sua, vie Elma». Cagliari Nord Edair. 15-21 Ruedu taire, Koubais CONCESSIONARIA PUBBLICITÀ' Publikompass Spa v. Carducci 29, Milano, lei. (02) 86470.1 c. M. d'Azeglio 60, Torino, tel. 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