«Milosevic, tornerai all'indice»

Al vertice Osce Prodi scettico sull'allargamento Nato a Est: rischia di creare tensioni invece di allentarle Al vertice Osce Prodi scettico sull'allargamento Nato a Est: rischia di creare tensioni invece di allentarle «Milosevic, tornerai all'indice» Da Lisbona anche l'Italia avverte la Jugoslavia LISBONA DAL NOSTRO INVIATO Virata, o mezza virata, italiana con rammarico - a proposito della Jugoslavia. L'Italia è stata contro un isolamento di Belgrado «ma - dice Prodi - adesso abbiamo fermato tutto e, se la situazione evolve negativamente, potremo essere costretti a mutare opinione». Gli fa eco Lamberto Dini: «Negli ultimi tempi c'erano stati buoni segnali. Le stesse elezioni lo erano. Adesso la situazione si è complicata. Siamo di fronte a un set-back, a una battuta d'arresto». Il messaggio a Milosevic, dal Paese che forse più di tutti aveva rifuggito i toni duri, è chiaro. Ma una parte non meno interessante della conferenza stampa della delegazione italiana ha riguardato il tenia dell'allargamento della Nato. In sintonia con la gelida accoglienza francese alle tesi americane e con la secca correzione di rotta tedesca negli ultimi mesi, anche l'Italia si è messa a frenare. «Non si allarga la Nato - ha detto Prodi - se questo crea più tensioni di quante ne allenti». E, tornando nuovamente sul tema qualche minuto dopo, ancora più seccamente: «Finché Mosca non dice si, allora non ne vale la pena». Sembra di capire che tutti stanno prendendo al balzo la palla offerta dalle prime incertezze mostrate al riguardo dall'Amministrazione di Washington. La quale, per bocca di Clinton, aveva fissato prima il luglio 1997 per decidere politicamente il primo gruppo d'ingressi, poi aveva sfumato sul 1999 per la sanzione formale della loro entrata nella Nato. Al momento, nonostante le promesse fatte ai postulanti principali - Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia soprattutto - le scadenze sono nebulose. E la Russia non solo non dice sì, ma ribadisce il suo secco no. Il presidente del Consiglio Romano Prodi e il ministro degli Esteri Lamberto Dini hanno riassunto posizioni italiane e valutazioni del nostro governo. Senza dubbio positive. «L'Osce accresce il suo ruolo per fare dell'Europa un continente più omogeneo e sicuro», ha riassunto Prodi. Dini sottolinea il valore del paragrafo 5 del documento finale che l'afforza l'Osce come «strumento primario per il pi'eavviso, la prevenzione dei conflitti, la gestione delle crisi e la ricostruzione a seguito dei conflitti». E quello del paragrafo 9 della dichiarazione finale, LA RIVOLTA DI BELGRADO ABELGRADO RRIVEDERCI, amici, torneremo a parlarvi. Arrivederci amici. Arrive...». Poi un'ultima scarica ed il silenzio. L'una era passata da poco quando «Radio B 92», che aveva preso a ripetere questo annuncio come un telegrafista lancia «Sos», ha interrotto le trasmissioni. Meno di due ore dopo ha chiuso anche «Radio Index». Le due voci dell'opposizione, le emittenti che fra disturbi e boicottaggi avevano pilotato la protesta degli studenti, sono state costrette al silenzio dal regime. Il tirannosauro comincia a reagire con gli spasimi di chi si sente ferito, accumulando errori su errori. Due settimane fa, l'annullamento SOLO CON I BANCHIERI NON NASCE L'EUROPA riscrittura del vecchio contratto europeo tra socialdemocrazia e capitalismo. Il rischio è di metter fine non solo alle sovranità nazionali - sovranità erose dalla mondializzazione di scambi e produzioni - ma di uccidere la figura stessa del sovrano. Non si può dimenticare che strategie simili - di aggiramento e screditamento delle classi dirigenti - furono adottate dalle Banche centrali negli Anni 30: una feroce deflazione fu imposta dai governatori - da Montagli Norman in Inghilterra, da Hialmar Schacht nella Repubblica di Weimar - con risultati letali che in Germania permisero l'avvento di Hitler. A questo può condurre la preminenza che oggi è data alla Banca centrale tedesca - e che domani sarà data alla Banca centrale europea - se di fronte alla figura del banchiere non si accamperà, con fòrte volontà di decisione e di azione, un potere politico preparato a inventare nuovi patti con le società. E' il pericolo cui accenna Helmut Schmidt, quando accusa la Bundesbank di imitare la nefasta politica deflazionistica di Schacht, di erigersi a Stato nello Stato, di ignorare la questione della legittimità dei politici democratici. E' quel che fa capire Giscard, quando afferma che l'Euro non è altro che strumento per una politica, e dovrà essere usato come l'America usa il dollaro, svalutando o rivalutando secondo bisogno. La moneta unica non può divenire un fine in sé, ed esaurire tutte le ambizioni d'Europa. Se KohI avesse obbedito alla Bundesbank non avrebbe potuto profittare di un temporaneo cedimento russo, e integrare subito 16 milioni di tedeschi orientali. Se i politici europei ascolteranno solo la Bundesbank e i banchieri, non costruiranno mai l'Unione, che dicono di volere. Non c'è che il politico che possa darsi grandi compiti, in patria e fuori. Non c'è che il politico che possa spiegare cosa debba significare Maastricht: non un sinonimo dell'ineludibile mondializzazione, ma un'armatura per meglio resistere e sopravvivere nel mondo. Non la necessità di dissolversi nel mercato globale, ma la libera scelta di proteggersi, in un pianeta dove l'Europa non è più centro né modello. Non una macchina stritolatrice di élite dirigenti, ma un nuovo orizzonte di attesa che solo i politici possono offrire agli elettori. Una rivincita dei politici esigerebbe probabilmente nuove strategie per Maastricht, tali da non soffocare durevolmente nazioni come la Francia, l'Italia. Per motivi di coesione politica varrebbe probabilmente la pena di precipitare i tempi dell'Euro, così come KohI precipitò i tempi dell'unità tedesca. Sono in pericolo le legittimità democratiche dei governi, e i politici potrebbero iniziare a discutere di questo: potrebbero valutare le difficoltà della Francia, che oggi è il grande malato d'Europa; o della Germania stessa, colpita da una disoccupazione senza precedenti; o dell'Italia, costretta a riparare guasti accumulati in decenni di mala economia. Se l'Europa avesse l'intelligenza di darsi un governo politico, oltre a una Banca centrale, non chiederebbe un rinvio della moneta unica ma piuttosto un'anticipazione, per evitare crisi gravi delle democrazie. Saprebbe che i suoi compiti son politici, non solo finanziari. Farebbe di tutto per scongiurare un tracollo della Francia, un'emarginazione dell'Italia, ben sapendo che l'Unione non si farà senza Parigi ma neppure senza Roma, se è vero che nel giorno decisivo occorrerà anche il voto italiano, per varare l'Euro. Senza-questo nuovo primato della politica - senza il primato di KohI e Chirac sui banchieri - è difficile che l'Unione, già esecrata dalla Bundesbank, veda la luce. Le diffidenze reciproche aumenteranno, le società cercheranno rifugio in demagoghi di sinistra o di destra - in Bertinotti o Le Pen e il declino d'Europa diverrà definitivo. Sarà ancora una volta rinviata una grande politica verso l'Est, di integrazione democratica delle terre postcomuniste. Sarà difficile usare l'Euro come arma, alla maniera americana e giapponese. Nel medio termine le economie guariranno un poco, forse. Ma nel medio termine è anche possibile che saremo tutti morti, come civiltà europea. Barbara Spinelli che tocca il ruolo e la responsabilità Osce sui diritti umani, sui quali si è raggiunto l'accordo generale «con nostra grande soddisfazione, anche perché la questione dei diritti umani è uno dei pilastri della sicurezza internazionale». Insomma si è fatto un passo avanti anche in tema di diritto della Osce di interferire negli affari interni dei suoi membri, quando e dove i diritti e le libertà siano messe in forse o violate. E l'Italia, membro attuale della «troika» europea con Irlanda e Olanda, ha avuto incarico di chiedere chiarimenti al presidente della Bielorussia, Lukascenko. «Un fran¬ co colloquio» in cui l'Osce ha proposto «l'inizio di un dialogo per sapere come stanno le cose» dopo il referendum e lo scioglimento del Soviet Supremo. A quanto si è capito, nonostante la diplomazia, dev'essere stato un incontro aspro, in cui Lukascenko ha respinto le «ingerenze esterne» (l'espressione è sua) e ha accusato gli Stati Uniti di «doppio standard». Insomma, se si falsificano le elezioni in Armenia, o in Russia, o in Albania, non succede niente. E allora perché si punta il dito sulla Bielorussia? Prodi, sollecitato dai giornalisti a chiarire questo punto, ha convenuto sulla necessità di «superare la pratica del doppio standard» come condizione per «dare autorità indiscussa agli interventi dell'Osce». «Stiamo cominciando adesso - ha concluso Prodi su questo punto - e c'è una lunga eredità negativa da superare». Unico dissenso, quello dell'Armenia sul regolamento della crisi per il Nagorno-Karabakh. Che costringe gli altri 53 a dare mandato al presidente in carica dell'Osce di dichiarare separatamente la difesa dell'integrità territoriale azerbaigiana e a denunciare il totale isolamento di Erevan in materia. Giuliette Chiesa