Mosca: la pace fredda continua di Foto Reuters

Mosca; la pace fredda continua L'allargamento dell'Alleanza Atlantica al centro del vertice Osce con 54 capi di Stato e governo Mosca; la pace fredda continua A Lisbona duro confronto sulla Nato a Est LISBONA DAL NOSTRO INVIATO A due anni dalla sua trasformazione, cambiamento di nome e rinascita - a Budapest - l'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ex Csce) sembra aver conquistato punti nell'olimpo della miriade di organismi sovrannazionali che, con vario grado di successo, cercano di tenere insieme pezzi di mondo in modo più o meno civile. A Lisbona, sull'onda della tregua bosniaca, delle varie missioni mediatone, di pace, umanitarie, in Cecenia, nel Nagorno-Karabakh, l'Osce è arrivata tutto sommato con un buon bilancio. Mancavano i due presidenti più «pesanti», Clinton assente «ingiustificato», supplito da Al Gore, e Eltsin, assente giustificato dal cuore, supplito da Viktor Cernomyrdin. Tutti gli altri numeri uno sono venuti, ed è un buon segno: di rispetto, se non altro, per una sede dove si manifestano e si formano volontà collettive. Kohl e Chirac, Major e Prodi (quattro dei 7 Grandi, tutti i Grandi europei) c'erano e hanno dato buoni voti. Ma l'assenza dei presidenti di Usa e Russia, in fondo, ha simboleggiato e riassunto la più spinosa delle questioni irrisolte, quella che divide. Cioè l'allargamento della Nato. Qui progressi non ce ne sono stati e nessuno, del resto, ! li aspettava. Cernomyrdin ha fatto un discorso duro. Ha detto che la Russia non pretende di porre veti a nessuno, ma che altri non hanno diritto di veto sulle proprie scelte in tema di sicurezza nazionale. L'estensione a Est della Nato non la vuole, la considera una cosa sbagliata, che contraddice la logica del post guerra-fredda, il buonsenso e l'idea - come ha detto il premier russo - della «creazione di una nuova architettura della sicurezza europea». Quale sarà l'effetto dell'estensione a Est della Nato? «L'apparizione di nuove linee di divisione in Europa», dice Cernomyrdin, invece che una cooperazione più ampia e profonda. E - ha insistito ancora il leader russo - ciò «provocherà effetti dall'altra parte». Ma gli occidentali, che ricordavano il durissimo discorso eli Eltsin a Budapest, dove aveva parlato di «pace fredda», si sono accontentati di rilevare quella parte della frase di Cernomyrdin in cui si riconosce che la Russia non ha diritto di veto. Dunque si andrà avanti come vuole Washington anche se tutti capiscono perfettamente che, in questo modo, le prospettive a medio termine della nuova architettura europea di sicurezza saranno più difficili e che, al contrario, si potranno creare situazioni di instabilità e di accresciuta, reciproca diffidenza. Il vicepresidente americano Gore ha concluso il suo discorso con una massima: le strade si fanno camminandoci sopra. Che è buona in generale, quando tutti possono andare avanti, ma non è così buona quando qualcuno va avanti e gli altri sono costretti ad andare indietro. Del resto un autorevole membro della delegazione russa mi proponeva ieri un argomento forte che, chissà perché, Cernomyrdin non ha usato nel suo intervento. «La prova che l'allargamento della Nato è sba¬ gliato (non solo inutile) è nella constatazione che Paesi prosperi e democratici come la Finlandia, l'Austria e la Svezia furono perfettamente al sicuro, pur non essendo membri della Nato, anche in momenti di gran lunga più critici di questo, in piena guerra fredda». Ma «più che la ragion potè la forza». Chirac e Kohl, Prodi e Major hanno seguito la corrente. Alla Russia si concede, per ora, solo l'accordo sulle forze convenzionali. I plafond delle due parti resteranno uguali. Così, se la Nato si estende, le sue forze saranno «meno dense». Ma sono discorsi da sabbie mobili. Chirac adotta la linea, più prudente e più gradita a Mosca, di un «quadro paneuropeo in cui effettuare sia l'allargamento della Nato sia quello dell'Unione europea». Prodi addirit- tura non fa cenno alla estensione della Nato in tutto il suo discorso, venendo eletto all'istante amico numero mio da tutti i giornalisti. russi. Ma, uscendo dall'incontro con Netanyahu, mi dice che «la richiesta di entrare nella Nato da parte di numerosi Paesi Est-europei è un sintomo di insicurezza evidente, che non possiamo disattendere». Anche lui, come Al Gore, è convinto che «un punto di equilibrio alla fine si potrà trovare». L'unico, vero guastafeste è stato il presidente bielorusso Lukascenko, accommiato da Al Gore in una dura critica alla Serbia di Milosevic, che si è difeso attaccando dalle accuse di violazione dei diritti umani. Con i tempi che corrono - e se non cambia registro - al prossimo summit dell'Osce sarà la Bielorussia a trovarsi fuori dalla porta, ultima o penultima nazione europea a non soddisfare gli standard mimmi. Nella sua conferenza stampa Lukascenko si è lamentato, accusando gli Stati Uniti di «doppio standard»: «Ci sono altre cose della mia politica che non piacciono a Washington. Ma di quelle preferisco non parlare apertamente». La linea italiana appare comunque più pragmatica e meno «ideologica» di quella di altri partners occidentali. Romano Prodi è per i piccoli passi e arriva con il suo «Osce first». Insomma sottolineare le responsabilità dell'Osce prima di tutto, e fare ruotare attorno ad essa un sistema di organizzazioni «complementari e coordinate» (Nato come peacekeeping, Consiglio d'Europa come promotore della democrazia e dei diritti umani ecc.). Punto, tra quelli che l'Italia vede come cruciali, il controllo e la riduzione degli armamenti. Trincea da difendere: una presidenza, la troika e il segretario generale che garantisca efficienza e tempestività decisionale. Contro l'ipotesi di un direttorio (sostenuta da francesi e russi) che rischierebbe di riprodurre le logiche del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e, pur aggirando la pletoricità di un'organizzazione che ha ormai 54 membri (più uno sospeso, la Serbia), darebbe di nuovo voce soltanto ai più grossi e più forti. Insomma l'Italia vorrebbe un'Osce che sia almeno - come ha detto Lamberto Dini - «un posto dove si viene per farsi sentire da Usa e Europa», ma anche un posto dove si viene per decidere. Giuliette» Chiesa Prodi: cruciale il controllo e la riduzione degli armamenti Il vice di Clinton ammonisce Minsk per la violazione dei diritti umani Cernomyrdin avvisa: se l'Occidente insiste, l'effetto saranno nuove divisioni in Europa Il presidente francese Jacques Chirac con il collega israeliano Benjamin Netanyahu. A sinistra: la grande sala delle conferenze che ha riunito i 54 membri dell'organismo paneuropeo [FOTO REUTERS]