L'uomo che regalava Mercedes di Giovanni Cerruti

La procura: nuove indagini I/uomo che regalava Mercedes «Ero un santo, mi hanno rovinato i finanzieri» L'ASSICURATORE FALLITO BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO «E poi arrivavo io, il San Gorrini...». Lui, quest'omone dal ciuffo bianco che si presenta in aula con il cappotto di cachemire, le sigarette forti e l'accendino d'oro sempre pronti, la signora al seguito in pelliccia. «San Gorrini ero. Ma a me m'ha rovinato la Guardia di Finanza e adesso sono solo un pensionato...». Lui Giancarlo Gorrini, 63 anni tra assicurazioni, miliardi, cavalli, scommesse, bella gente e brutta gente, «e certamente ero amico di Di Pietro, uno da tenere buono...», che perderà la pazienza solo una volta: quando il pubblico ministero Raimondo Giustozzi gli sembra volgarotto con quel «ma per lei 20 milioni erano niente?». San Gorrini toma subito in sé: «Dottore - risponde - io amministravo 600 miliardi all'anno, mica vado a controllare tutta la contabilità per 20 milioni!». Il pensionato Gorrini, se deve parlare di colazioni di lavoro, preferisce il francese: «déjeuner d'affaires». Se deve parlare di Antonio Di Pietro gli si eccita anche il ciuffo bianco. «L'unico déjeuner d'affaires l'ho fatto per lui, con il suocero e la moglie che cercava un posto a Milano nella mia compagnia di assicurazioni». Come è finita? Ma che diamine, San Gorrini provvede: «Sono venuti nel mio ufficio e la moglie è andata via con un certo numero di pratiche, 40 o 50, sottratte al defunto avvocato Morelli e alla figlia vivente». E poi, per restare in famiglia, perché trascurare Cristiano, il figlio di Di Pietro? «Non potevo assumerlo alla Maa perché non aveva ancora assolto gli obblighi di leva, ma gli abbiamo trovato un lavoro fino a quando è partito per il servizio militare». Un bel giorno Gorrini scopre che il mondo può essere ingrato. Era la fine di settembre 1994, aveva appena raccontato a Paolo Berlusconi prima e all'ispettore del ministero di Grazia e Giustizia poi di quei 100 milioni dati a Di Pietro. «Prestati», tenta di correggerlo in aula il pm. «Macché prestati! Dati a "babbo morto"!». Succede, insomma, che Gorrini parla e gli capita un mezzo mira- colo. All'improvviso, e dopo almeno tre anni di silenzio sul quattrino, Di Pietro restituisce i soldi in due puntate. «C'era anche una copia del suo libro, con dedica... La sera dopo Di Pietro mi chiama da un telefonino, voleva sapere se avevo ricevuto. Ma mi dava del lei, e noi ci davamo del tu da anni...». E qui finisce per sempre l'amicizia tra Tonino e San Gorrini. Che però, in aula, non dimentica. La memoria, come spesso può capitare a chi si siede su quella sedia, va in una sola direzione e s'ammanta di amarezza. «Ah, Di Pietro, Di Pietro...», fuma in cor- ridoio. San Gorrini andava da lui, in ufficio, e cercava di riportarlo sulla retta via dell'amicizia. Racconta che Di Piet ro gli aveva arrestato il commercialista Roberto Araldi proprio quando doveva depositare le perizie sul fallimento della sua Assicurazione, gli aveva mandato Salvatore Ligresti in una cella di San Vittore la mattina e al pomeriggio dovevano incontrarsi per la rianimazione della Maa. E poi le inchieste su Aldo Molino, e quella su un altro potenziale soccorritore, l'immobiliarista Renato Della Valle. San Gorrini saliva all'ufficio di Di Pietro. «E lui mi diceva: "Parla piano che qua fuori ci sono i giornalisti"». Ecco, dice Gorrini al tribunale, «c'erano ottimi rapporti con Di Pietro, tanto è vero che andavo da lui anche per questioni del suo ufficio». Lo dice per dimostrare l'amicizia, la confidenza, per spiegare che non c'era nulla di strano in quei 100 milioni «che mi chiese personalmente». E comunque, tanto per gradire, aggiunge e chiosa: «Quando andavo da lui non era per visite di cortesia, ma perché avevo bisogno di qualcosa». Esempi? La scarcerazione di Araldi. E Gorrini, adesso, sembra Di Pietro al processo Cusani: «Guardate qua, e scritto, carta canta!». E' l'ordinanza del gip Italo Ghitti sulla scarcerazione di Araldi, dove lo stesso magistrato nota come il parere di Di Pietro sia diventato da contrario a favorevole in mezza giornata «senza che siano avvenuti fatti nuovi o diversi». Allarga le braccia e con la sigaretta rischia di bruciare la pelliccia della signora: «I fatti diversi sono avvenuti. Era intervenuto San Gorrini, ecco cos'era successo». Un Santo in pensione che per Di Pietro, dice, avrebbe fatto di tutto. Come per i debiti di gioco dell'ex capo dei vigili urbani Eleuterio Rea. «Sono intervenuto perché me l'ha chiesto Tonino, "Lo devi fare per me", essendo Craxi innamorato di Rea. Se ci va di mezzo lui. mi disse, ci vado di mezzo anch'io perche ho avuto parte attiva nel preparare le norme per un concorso "ad hoc" fatto apposta per Rea». Il vocione da fumatore si alza di due toni: «Una schifezza, una grande schifezza che questo qui si sia messo a fare il cavaliere senza macchia. Luì che arrestava gli amici. Ma chi si crede di essere quello li!». San Di Pietro? Giovanni Cerruti «Nel suo ufficio l'expm mi diceva di parlare piano perché fuori c'erano i giornalisti» «Ero così amico del giudice più famoso d'Italia che ho trovato un lavoro a suo figlio» Antonio Di Pietro ex ministro ed ex magistrato-simbolo di Mani pulite

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