Scalfaro cita Savonarola «La verità ha tempi lunghi» di Renato Rizzo

Scalfaro cita Savonarola «La verità ha tempi lunghi» ': ■ '■' ' ' ' • . Scalfaro cita Savonarola «La verità ha tempi lunghi» LE PARABOLE DEL PRESIDENTE FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Pallido in volto, gli occhi che lasciano trasparire una rabbia non trattenuta, la bocca atteggiata in una piega amara: Oscar Luigi Scall'aro guarda, come in una sorta di specchio, un altro volto pallido come il suo, altri occhi bui, un'altra bocca senza sorriso. E' davanti al ritratto di Gerolamo Savonarola nella Galleria degli Uffizi, il Presidente: e qui il parallelo che pochi minuti prima ha azzardato paragonandosi con forzata allegria al frate mandalo al rogo come eretico, assume una valenza plastica. L'accusano di parlare troppo, di interferire con i suoi commenti nel dibattito politico, addirittura di orientare i giudici chiamati a valutare il comportamento di Romano Prodi sulla vicenda Cirio. Lui, il Capo dello Stato, in privato confida il proprio disappunto e la propria pena: «Avete visto i giornali, no? Pensate che io volevo solo ripetere le cose che Prodi aveva detto di sé». In pubblico, però, come un Savonarola che non teme condanne, sfida quel tribunale dell'inquisizione che unisce, trasversalmente, personaggi di vari partiti. Un po' di metereopolitica e molta storia religiosa in quest'arringa recitata all'Istituto di studi europei di Badia Fiesolana: «Firenze, incantevole sempre, ha avuto la bontà di spegnere il vento ed il tempo un po' nemico che c'era fino a ieri» è l'esordio non troppo convinto. E che la tempesta non sia passata lo dimostra quasi subito: «Prima di salire qui mi sono fermato in una chiesa ed ho parlato con un padre domenicano molto dotto. Mi ha raccontato dei vari personaggi clie ti hanno vissuto: tra questi mi ha citato - credo di riferirlo in modo corretto - il "venerabile" Gerolamo Savonarola». Ecco materializzarsi in sala la figura di questo frate scomodo che ebbe la vita troncata sul patibolo. Scalfaro afferra al volo questo brandello di storia del Cinquecento e lo cala nelle nostre ore di convulsioni politiche. Di più: veste metaforicamente il saio del predicatore che Machiavelli definì, non senza un'ombra di disprezzo, «profeta disarmato». Poi si addentra con forza tra le critiche: «Mentre il padre parlava - prosegue nel racconto - io m'immaginavo quel superiore che, allora, reggeva il convento e che, probabilmente, avrà detto più d'una volta: "Si, tra noi c'è anche questo fra Gerolamo che quando va a fare le prediche è un disastro: benedetto il Cielo, ha una lingua irrefrenabile, esce continuamente dai binari". Certo lini arrosto. Eppure i secoli, passando, hanno dimostrato che Savonarola può essere sempre recuperato» chiosa il Presidente ri¬ ferendosi al fatto che l'eretico di allora è diventato «venerabile», appunto, salendo così il primo gradino della scala della santità. Il tempo, sostiene Scalfaro con toni da vaticinio, è giudice e galantuomo: machia menzogne e calunnie con la forza «dei lunghi spazi», arriva «alla verità attraverso le grandi arcate della strategia». E noi, «uomini piccoli», spesso commettiamo l'errore di considerare «strategia le nostre piccole cose». L'inquisizione che si è scatenata a Roma e che tanto assomiglia a quel partito degli Arrabbiati contro cui fra Gerolamo dovette combattere prima di soccombere, farebbe meglio a valutare con metro diverso l'esternazione di Scalfaro al Cairo. Prima di parlare a docenti e studenti dell'Istituto universitario europeo per celebrarne il ventennale della nascita, il Capo dello Stato incontra Mario Pricerio, sindaco di Firenze e, in anni lontani, collaboratore di La Pira; i presidenti del Consiglio regionale e della Provin¬ cia, Passaleva e Gesualdi, Giuliano Amato e Valdo Spini. Gli domandano: «Come va?». E lui, davanti ad un caffè, replica: «E come volete che vada? Leggete anche voi i giornali, no? Questi sono momenti in cui è necessario fare chiarezza e attenzione». Ripercorre i titoli, «più ancora che gli articoli», dedicati dai mass media alla sua «difesa» di Prodi. Ma quale difesa, sospira, «io volevo solo ripetere ciò che il premier aveva detto parlando del suo caso». Sono riflessioni che riassu¬ mono il tormento in cui si è aggrovigliata la domenica del Presidente dopo il rientro dall'Egitto. Una giornata trascorsa in solitudine nella casa di Forte Boccea e ritmata al ronzìo del fax, gli recapitava i dispacci d'agenzia nei quali politici di destra e di sinistra l'accusavano di «indebite ingerenze» per essersi «addentrato in vicende che non devono riguardare il Quirinale». Nel coro dei dissensi, anche quello di Marco Taradash il quale chiedeva lo stato d'accusa per «un Presidente che con il proprio comportamento viola la Costituzione». Strani e misteriosi legami tra realtà e metafora: anche per fra Gerolamo Savonarola fu invocato ^(interdetto», termine che, quattro secoli dopo e fatte le debite traslazioni tra vita pubblica e vita monastica, si potrebbe tradurre «impeachment». Il gioco di rimbalzi e di identificazioni potrebbe continuare. Ma è stesso Scalfaro a sforzarsi di chiuderlo, forse vedendolo riprodursi in troppe sfaccettature: «Io sono lontano dalle asperità del Savonarola» confida alla direttrice degli Uffizi che in tarda mattinata gli mostra il ritratto dell'eretico riabilitato. Renato Rizzo 111 Il presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro

Luoghi citati: Badia, Cairo, Egitto, Firenze, Roma