«Ho il cancro, mi uccido» Dramma del boss in cella
4 Giacomo Gambino s'impicca a S. Vittore «Ho il cancro, mi uccido» Dramma del boss in cella Fu l'assassino del giudice Scopelliti Coinvolto anche nella strage di Capaci 4 MILANO. Temeva di avere un tumore. Questa sembra essere la spiegazione più plausibile al suicidio del boss mafioso Giacomo Giuseppe Gambino, detto «Pippetto», impiccatosi l'altra mattina nei bagni dell'infermeria di San Vittore. Sono stati gli agenti del settimo raggio a trovarlo ancora rantolante e con un lenzuolo stretto al collo. Gambino, personaggio non di primissimo piano della mafia siciliana, ma comunque sottoposto al duro regime carcerario del 41 bis, si trovava a San Vittore da tempo per essere sottoposto ad alcuni esami possibili solo al centro clinico del carcere lombardo. Gambino, secondo gli inquirenti, sabato mattina avrebbe aspettato di rimanere solo nell'infermeria del settimo raggio, poi, aiutandosi con le stampelle, si sarebbe trascinato l'ino nei bagni. Qui pare si sia accucciato tra due armadietti per non essere visto e quando si è sentito sicuro che nessuno si fosse accorto della sua assenza, ha tirato fuori da sotto il pigiama un lenzuolo arrotolato, l'ha legato ad una sbarra, è salito su uno dei due armadietti e si è lasciato cadere. Il trambusto ha l'atto accorrere una guardia che, sentendolo ancora respirare, ha cercato di rianimarlo, ma inutilmente. Poco dopo Gambino è spirato. Condannato all'ergastolo nel '91 per l'omicidio del giudice Scopelliti, Gambino era stato arrestato la prima volta nell'86. Esponente della famiglia di San Lorenzo, considerato vicino ai corleonesi di Totò Riina, il boss per un certo periodo aveva fatto parte della «Cupola», il consiglio dei capi mafiosi. Così, secondo il teorema Buscetta, era stato successivamente inquisito come Il boss Giacomo Gambino mandante per diversi altri omicidi e stragi. Accusato dal pentito Salvatore Cangemi per l'omicidio del questore Nini Cassarà (agosto '85), «Pippetto» era stato anche imputato nel processo per l'uccisione di Salvo Lima (12 marzo '92) e quindi inquisito per la strage di Capaci del 23 maggio '92 in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone. Nel '91, Gambino, in seguilo a problemi di salute, era riuscito ad ottenere per un certo periodo gli arresti domiciliari, che in seguito alle accuse dei pentiti gli erano stati revocati per essere sottoposto al più duro regime carcerario riservato ai boss di Cosa Nostra. Così da alcuni mesi i familiari, preoccupati dell'aggravarsi delle sue condizioni, erano tornati a chiedere la concessione di misure meno gravi. Ultimamente, ospitato a San Vittore in una cella per quattro persone che occupava da solo e sotto stretta sorveglianza, Gambino stava aspettando i risultati di alcuni esami che avrebbero dovuto accertare la presenza di un tumore. Appassionato di motociclette, «Pippetto», per colpa di questa vera e propria mania, veniva sospettato, insieme Pino Greco (altro boss patito di moto), ogni volta che un omicidio veniva commesso da killer in motocicletta. Non è la prima volta che un boss mafioso decide di suicidarsi in carcere. Il precedente più illustre è quello di Antonino Gioe, impiccatosi tre anni fa nel carcere di Rebibbia con i lacci delle scarpe da ginnastica: anche Gioò era sospettato di aver partecipato alla strage di Capaci. Nell'agosto scorso invece si soffocò con un sacchetto di plastica, nel carcere di Busto Arsizio, il mafioso Giuseppe Terranova. [p. e] 4 Il boss Giacomo Gambino
Luoghi citati: Busto Arsizio, Capaci, Milano, Rebibbia
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