Ci servono i corvi di Pasolini
IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Alberto Gozzi Et un gesto assoluto, quello dell'attore che sale su un palcoscenico nudo. Naturalmente non assisteremo a nulla di simile nell'imminente stagione teatrale: gli impresari hanno in mente ben altro (rose tatuate, miserabili con retrogusto televisivo e valerle marini formato famiglia). Tuttavia, come antidoto a un teatro che aspira sempre più a diventare appendice della tv, possiamo ricorrere a Spalding Gray, Sesso e morte fino a 14 anni (Garzanti). Sono sei monologhi che l'autore (anche attore e performer) ha recitato nei teatri off di New York. L'allegra impudicizia della narrazione in prima persona indica una terra di frontiera fra teatro e romanzo, e fornisce al . lettore una buona occasione di «teatro da leggere». Scrive Gray: «Quando un albero cade nella foresta non mi chiedo se qualcuno sentirà lo schianto. Ma piuttosto: chi lo racconterà?». Non ci sono schianti, nei monologhi di Gray, ma storie di attori. Ossessive, narcisistiche e necessarie, come le nostre che non osiamo raccontare. ir900 di Bàrberi CAMON SBAGLIA PERCHE' SOPRAVVALUTA 1 CONTEMPORANEI IA una storia letteraria si 11 trae da sempre occasione ri I per un gioco quanto mai Il vano: la ricerca degli amsi. I messi e degli esclusi. A me, per fortuna, a proposito del mio Novecento, tale iattura non è ancora capitata. Ma non ho fatto i conti con le infinite possibilità di attaccarsi a qualsiasi pretesto per trovare a che dire, che è prerogativa soprattutto degli scrittori, mai contenti di come sono stati trattati, sempre pronti a contare le righe date a sé e ad altri reputati inferiori a sé, e questo accade perfino con Ferdinando Camon, che pure (e l'ho scritto) molto amo e ammiro, sia pure con qualche distinzione che ho il diritto di compiere, in base a una concezione della letteratura che non ho mai nascosto. L'argomento polemico di Camon (Tuttolibrì 1033) è che non faccio sufficiente pubblicità agli scrittori italiani all'estero (che è poi, sostanzialmente, la sola Francia), non ponendomi dal punto di vista con cui gli altri Paesi leggono e considerano la nostra letteratura. Sarebbe una ben curiosa e trista servitù se la critica dovesse ridursi alla propaganda per l'esportazione, così come sarebbe altrettanto meschino se uno scrittore scrivesse in funzione di quello che di lui diranno i Francesi o gli Americani. Il successo di un libro italiano all'estero non è affatto il segno del valore e la consacrazione. E' un aspetto della sua fortuna: del resto, spesso breve, labile. Sarebbe un guaio non meno grave se l'autore di una storia letteraria dovesse misurare i suoi giudizi sull'aura del momento, e non guardare un poco più in là: sì, al passato, di fronte al quale i contemporanei vanno letti, e non come se fossero valori assoluti. So bene che perfino il ministro della Pubblica istruzione vuole il Novecento e poco più: ma che errore enorme è la sopravvalutazione della contemporaneità, senza la profondità della storia, del passato, quando la letteratura italiana fu davvero la massima, esempio e modello per ogni altra. Che in Francia non interessi Volponi e, invece, abbiano lodi i romanzi psicoanalitici di Camon può essere lamentato da un lato come un'ingiustizia, dall'altro come una fortuna. Ma non cambia in nulla il mio giudizio. Non è un argomento. E' un fatto, dovuto a mode, diverse prospettive culturali, altre concezioni editoriali, non superiori né inferiori rispetto alle nostre. Ma io mi illudevo che, proprio perché nel secondo dopoguerra in Italia ci sono stati e ci sono scrittori di autentico valore, queste posizioni succubi rispetto all'estero fossero proprio morte. Giorgio Bàrberi Squarotti Ci servono i corvi di Pasolini
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