La confessione di Sarah, eroina bugiarda di Gian Antonio Orighi

La confessione di Sarah, eroina bugiarda La confessione di Sarah, eroina bugiarda «Ilpadrone non mi violentava, mentii per salvarmi» MADRID NOSTRO SERVIZIO Dal 1995, quando balzò agli onori della cronaca mondiale, Sarah Balabagan, una minuta ragazza filippina di 15 anni che lavorava come domestica negli Emirati Arabi Uniti, era un'eroina. Dopo essere stata condannata a morte per avere ucciso (con ben 34 coltellate) il suo datore di lavoro che la stava stuprando per l'ennesima volta, era sfuggita al patibolo grazie alla mobilitazione mondiale, tornando a Manila sana e salva quattro mesi fa. Ma il suo racconto era falso: non è mai stata violentata. Lo ha ammesso martedì sera, in una conferenza stampa a Barcellona, la stessa Sarah, subito dopo la registrazione di un'intervista alla tv statale. Con la sua vocina, ha esordito: «Adesso che tutto è finito, voglio dire la verità su quanto è successo». E non era più la ragazzina scheletrica, con una lunga tunica che la ricopriva da capo a piedi lasciando intravedere solo il suo commovente faccino smunto. La Sarah del '96 è lontana anni luce da quelle tragiche immagini. Indossava un elegante e coloratissimo vestito di lana a righe, una sciarpetta al collo, viso scoperto e una civettuola frangetta sulla fronte. Una catena d'oro al collo, con un cuoricino che contiene l'iniziale del suo nome. E, con sorprendente aplomb, rivela una storia che, se fosse stata nota al tribunale, le sarebbe costata la testa. Anche perché nessuno sarebbe sceso in piazza per lei, come fecero le femministe di tutto il mondo, né la premier filippina Cory Aquino in persona avrebbe chiesto la grazia. «Il mio padrone non mi ha mai violentato - racconta la fanciulla che, secondo visite ginecologiche effettuate nel suo Paese, è ancora vergine -. La prima volta che cercò di farlo fu quando scoppiò la rissa che finì con la sua morte. Lui mi minacciava con il coltello e io riuscii a strapparglielo. L'uccisi difendendomi». Poi un'altra novità assoluta: il suo datore di lavoro, Ahnas Mohammed Al Baloushi, non era affatto un satiro ottantenne, aveva 58 anni. Come ingannò il tribunale? Risposta: «Fu il medico che mi visitò in carcere a consigliarmi di dire al processo che ero stata stuprata più volte per evitare la pena di morte, poiché il codice penale degli Emirati Arabi non contempla la legittima difesa. E mi assicurò che avrebbe certificato il falso». La voce di Sarah diventa ancora più flebile mentre rivive la tragedia: «Lavoravo da una settimana prima di quel fatidico 19 luglio '94. Il mio padrone mi aveva offerto più volte un mucchio di dirham per andare a letto con lui, ma io rifiutai. Sgobbavo diciotto ore al giorno in una casa di otto persone. Non ebbi mai paura. Il carcere fu per me una liberazione da quel lavoro da schiava. Io sono musulmana, il Profeta mi ha concesso il perdono». L'odissea di Sarah durò due anni. Prima, nel '94, venne condannata a 7 anni. Nel '95, nel proces- so d'appello, la condannarono a morte. Poi, grazie alla mobilitazione mondiale, prima le comminarono l'ergastolo, quindi 2 anni e 100 frustate (che subì, anche se la legge islamica vuole che il corpo sia coperto da un panno e il fustigatore tenga sotto l'ascella del braccio che colpisce il Corano, per cui le frustate risultano quasi simboliche), infine la grazia. Adesso studia da cantante a Manila senza più problemi economici: la filippina «Viva Films» le ha dato 150 milioni di lire per i diritti d'autore di una pellicola sulla sua storia in cui comparirà solo alla fine. Gian Antonio Orighi La domestica filippina condannata a morte e liberata negli Emirati Sarah accolta dal presidente filippino e dai familiari dopo la liberazione

Persone citate: Cory Aquino, Profeta, Sarah Balabagan

Luoghi citati: Barcellona, Emirati Arabi Uniti, Emirati Sarah, Madrid, Manila