E la sconosciuta Fisvi comprò Cirio

E la sconosciuta Fisvi comprò Cirio E la sconosciuta Fisvi comprò Cirio Tre anni fa la contestata privatizzazione in contrasto con l'interesse dei produttori italiani» commentò la Confagricoltura. La Cia, Confederazione degli agricoltori, vide nella vendita alla Fisvi un possibile «rafforzamento dell'industria agroalimentare italiana». Ma pochi giorni furono sufficienti per capire che la Fisvi aveva un progetto, non i soldi. Annaspava per tirar fuori i 310 miliardi necessari per il 62% delle azioni vendute dall'Iri e i 190 occorrenti per l'offerta pubblica di acquisto delle azioni di minoranza obbligatoria per legge. Nel novembre 1993 Lamiranda annunciò (come già previsto) che avrebbe dirottato la Bettolìi all'Unilever, ottenne dall'assemblea Fisvi il sì all'aumento di capitale da 50 a 256 miliardi e si preparò ad accogliere un partner. Il 16 dicembre Cragnotti acquistò il 10% della Fisvi e il 23 Uri concesse una proroga al- Prodi, allora presidente dell'lri, era «doppiamente contento» perché l'acquirente rappresentava «in qualche modo l'agricoltura italiana». Ma la finanziaria delle cooperative «bianche» aveva solo un progetto, non i soldi la Fisvi per il pagamento. Ma fu l'inizio della fine per Lamiranda: passo dopo passo la Cirio fu attratta nell'orbita di Cragnotti. La Fisvi non fu in grado di pagare la Cirio e quindi di tenersela. Con l'intervento di Cragnotti, Tiri però non ci ha rimesso nulla. Ovviamente, come per altre privatizzazioni, il prezzo può far discutere. L'Iri decise la vendita dopo aver azzerato, per mancanza di offerte adeguate, la gara promossa e aver avviato una trattativa privata. La Fisvi si aggiudicò la Cirio pagando 1102 lire per azione contro la quotazione di bor¬ sa di 1146 lire e la stima del consiglio di borsa di 1370 lire. Lamiranda spuntò un prezzo basso? L'Iri ha dichiarato che nessuno offrì di più e la Wasserstein Perella, la banca d'affari incaricata di gestire la vendita, valutò «fair» (soddisfacente) il prezzo. Del resto la Granarolo precisò di essersi ritirata perché nella corsa per la Cirio si era «andati oltre i prezzi di mercato». «Noi abbiamo venduto al meglio e ne sono orgoglioso» si sfogò Prodi il 23 febbraio apprendendo l'invito a comparire della Procura di Roma per la Cirio. «Sapevo che privatizzare significa vendere a qualcuno e non a qualcun altro, questo vuol dire creare scontenti e ricevere denunce» aggiunse, dimenticandosi forse un particolare: per lui la Sme è una maledizione. Roberto Ippolito LA PROCURA CHIACCHIERATA AL quinto piano del palazzo di giustizia, stanza 415, dove ha firmato l'atto che ha trasformato il presidente del Consiglio in imputato, Giuseppa Geremia spedisce tutti due piani più sotto, dove ci sono gli uffici dei capi. ((Andate dal procuratore aggiunto, io non posso dire niente». Fama da pubblico ministero severo e intransigente, 46 anni, siciliana di Catania, Giuseppa Geremia non aggiunge una virgola alla notizia della richiesta di rinvio a giudizio per Romano Prodi. Ha indagato per quasi un anno nel riserbo più assoluto, e chi vuole trovare una colorazione politica per il pm in gonnella che vuole processare il capo del governo dell'Ulivo resterà deluso: Giuseppa Geremia non appartiene a nessuna corrente della magistratura associata, chi la conosce fatica pure ad affibbiarle un'«area di riferimento». Del resto l'avvocato Giuseppe De Luca - che, ironia della sorte, difende Prodi dai pm di Roma come difende Berlusconi da quelli di Milano - nemmeno ci prova a fare ragio- ROMA

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