Bulgaria, la fame dopo il Muro

Bulgaria, la fame dopo il Muro Inflazione selvaggia, riscaldamento razionato, pensionati costretti a barattare abiti con pane Bulgaria, la fame dopo il Muro Viaggio in un Paese tradito dalla storia RUSE DAL NOSTRO INVIATO Tutto si sarebbero attesi dalla vita i doganieri di Ruse, tranne veder passare sul Ponte dell'Amicizia, che valica il confine, il Danubio e le sue nebbie, i camion con i viveri della Croce Rossa romena. Qui non comincia solo la Bulgaria, qui si è aperto e si è chiuso per i bulgari questo secolo breve, il '900, che a loro dev'essere parso lunghissimo. A Ruse, nel 1905, è nato Elias Canetti, il più grande scrittore mai venuto al mondo in questo lembo dei Balcani, e non a caso allontanatosi quasi subito verso la Mitteleuropa. Da Ruse, nell'88, è partito il moto che un anno dopo doveva condurre, attraverso una congiura di palazzo, alla caduta di Todor Zhivkov, detto Tato (papà), da 35 anni segretario generale del partito, il più longevo autocrate europeo dai tempi di Luigi XV. Merito di Gorbaciov, del Papa, di Reagan, ma anche di queste ciminiere cupe che, quando il vento tirava verso Sud, ammorbavano di cloro l'intera città, costringendo in ospedale vecchi e bambini. Se avessero invocato libertà di stampa ed elezioni democratiche, i ribelli sarebbero stati fermati. Invece chiedevano lo smantellamento del polo chimico romeno sull'altra sponda del Danubio, accusando Zhivkov di sacrificare la salute dei sudditi ai rapporti di buon vicinato con Ceausescu, e arrivarono fino a Sofia. Erano i tempi in cui il Danubio segnava il confine tra le tenebre (non solo metaforiche, ma funzionali al risparmio di energia) della follia nazionalcomunista romena e, se non le luci, almeno il chiarore del socialismo conformista bulgaro, vegliato dal grigio papà Zhivkov e dal plumbeo protettore di Mosca. Ma ora le parti si sono invertite, da quando l'economia bulgara è precipitata nel dramma e persino la Croce Rossa romena ha ritenuto di intervenire, così come i contrabbandieri, che stipano le loro vecchie Dacia di merci - shampoo, sigarette; televisori - comprate in Bulgaria ai prezzi più bassi d'Europa e rivendute nella Bucarest che è sì in miseria, ma dove l'inflazione non è al 200%, il governo ha i soldi per pagare le pensioni e non è costretto a riscrivere tre volte la finanziaria per coprire le voragini del bilancio. E' un triste sorpasso in discesa, quello dei romeni sulla Bulgaria, un Paese che fino a due anni fa li superava in ogni statistica, il doppio di medici e di libri pubblicati, la metà di disoccupati e bambini morti in culla, ma dove ora non si accettano alcune grandi carte di credito perché la banca cui si appoggiavano è tra le 13 che stanno chiudendo, e il dollaro, che martedì valeva 260 lev, dopo tre giorni è già a 400. Ferma l'economia, ferme le riforme, ferma la politica. Crollato il record di stabilità di Zhivkov, i governi si succedono a ritmi italiani, sette in sette anni, l'ultimo guidato dal socialista Jean Videnov e boicottato dal Presidente liberale Zebù Zhelev, che ha sistematicamente posto il veto a ogni legge. Tre settimane fa i bulgari hanno eletto Presidente un altro liberale, Petar Stoianov, che ha annunciato di voler riportare la concordia nella nazione, ma per il momento si è limitato a riportare l'eroe Hristo Stoichkov in Nazionale. Ruse non è più la «città meravigliosa» di Canetti, dove «in un solo giorno si potevano sentire sette o otto lingue» e il porto sul Danubio era talmente animato che «tutto quel che ho provato e vissuto in seguito era sempre già accaduto a Ruse», ora prima di arrivare alle fantasie rococò e Jugendstil del centro si attraversano i «blok» della periferia con le grate di vetro sui balconi per non disperdere calore, ma non è ancora la «giungla di ladri e falsi autostoppisti» di cui parla l'impiegata dell'autonoleggio, indicando la cartina del Paese come a dire: hic sunt leones. Di autostoppisti ce ne sono parecchi, ma tutti autentici. La signora Elena va a pregare al monastero della Trasfigurazione, racconta che sono tornate in commercio le lampadine da 10 watt, fioche ma parsimoniose, i pensionati barattano abiti in cambio di pane (una giacca per otto pagnotte, una coperta per un chilo di carne di maiale) e il «sirene», il formaggio nazionale, si vende solo in dollari, come se da noi le pizzerie non accettassero lire, poi si inginocchia davanti al «pop», il prete con barba e codino che indica il Cristo Pantocratore della cupola e mormora grave: «Ora che è tornato, ci aiuterà Lui». Il giovane Emyl invece ci terrà compagnia fino a Sofia, lungo spettrali tronconi d'autostrada dai lampioni spenti e un paesaggio di contraddizioni, ristoranti aperti 24 ore su 24 e carri trainati da asini, distributori selfservice e squadre di operaie con vanga e badile che scavano la strada come in trincea, fino all'università dove Emyl studia filologia fran- cese, in un'aula ricavata da una mansarda gelida, e al «blok» prefabbricato dove abita, androne buio e stanze riscaldate dai tubi a vista dove passa il vapore della vicina acciaieria. Emyl è arrabbiato, dice che, dopo il giogo ottomano e quello sovietico i giovani non vogliono quello americano, che l'Europa ce l'ha con loro, in particolare l'Italia, «che considerava il nostro Paese la sedicesima Repubblica sovietica e noi gli assassini del Papa, e ora ci nega gli aiuti e gli investimenti che ha dato a sloveni e romeni e ci condanna al nazionalismo, tanto acceso che il bulgaro è l'unica lingua al mondo dove la parola "cosmopolitismo" ha una connotazione negativa». Emyl non ha torto, «bulgaro» da noi è sinonimo di triste, conformista, opprimente, bulgaro era il tg3 secondo Craxi, bulgare erano le percentuali con cui lo stesso Craxi veniva rieletto alla segreteria del psi, «bulgaro» è quel che non fa notizia, il contrario di «americano», e infatti Bunuel diceva che «se Hemingway fosse nato a Sofia non lo leggerebbe nessuno». Invece, almeno a chi arriva dai fondali marmorei della Bucarest plasmata dai Conducator, persino la prima nevicata novembrina di Sofia può tirar su il morale, qui è crollata la moneta, non (ancora) gli splendidi palazzi liberty di inizio secolo, e neppure i medaglioni con la stella rossa e la falce e martello scolpiti sul palazzo del primo ministro: avevano cominciato a scalpellarli, ma il granito resisteva e hanno lasciato perdere. Non sembrano angoli della capitale di un Paese alla fame, le vetrine di boulevard Vitosa, il reparto vini (ottimi) dello Zum, versione bulgara del Gum moscovita, i templi di ogni confessione pieni di fedeli, con la candela in mano nella cattedrale ortodossa, la kippah in testa nella sinagoga, inginocchiati a San Basi- lio nella chiesa russa, prostrati verso il mihrab nella moschea di Sinan, il Michelangelo ottomano. Invece il ministro degli Interni scongiura i risparmiatori di non ritirare i soldi dalle banche, il Fondo monetario internazionale chiede l'istituzione di un Consiglio valutario d'emergenza, gli studenti delle scuole chiuse per mancanza di riscaldamento bloccano il traffico, la gente è depressa al punto che, dicono le statistiche, una coppia su tre fa l'amore una sola volte il mese, molto meno che ai tempi del comunismo, e il quotidiano Standart titola «La Bulgaria muore». Che cos'è accaduto? «Colpa della "skrita privatisatziya", la privatizzazione occulta - ci spiega il critico più severo della politica governativa, Filip Harmandgev, direttore del settimanale di analisi economica "Kapital" -, le aziende di Stato sono finite in mano ai vecchi amministratori e ai nomenklati, che le han¬ no intestate a mogli e amanti e hanno dissanguato le banche ottenendo prestiti che non potevano restituire. Così le banche private hanno chiuso, e quella centrale pratica tassi del 180%. Le aziende non hanno capitah e neppure energia: il petrolio russo non arriva più, ìa centrale nucleare di Kozloduy funziona a mezzo servizio: troppo pericolosa. Da privatizzare sono rimaste le industrie pesanti, che nessuno vuole, e i pochi gioielli di famiglia, come la Sodi Devnia, gli impianti chimici più avanzati del mondo, di cui però i socialisti non intendono privarsi». Una via d'uscita ci sarebbe: le elezioni anticipate. La chiave della crisi bulgara è nelle mani di questi due intellettuali dai capelli bianchi, Chavdar Kuranov, uno dei pochi dissidenti storici, capo dell'ala socialdemocratica del partito al potere, e il suo vice, il filosofo Dimiter Iontchev. «Il governo deve ricreare la cultura della proprietà privata spiega Kuranov - e la cultura toutcourt. Siamo stati una colonia economica sovietica, diventeremo una colonia culturale americana. Alla radio danno solo rock Usa, a teatro O'Neill, al cinema Independence Day. Serve una nuova leadership per rifare il Paese». «Se il Congresso socialista del mese prossimo non decide di cambiare il premier - traduce Iontchev - noi riformisti ce ne andiamo, il governo cade e si va a votare. Altrimenti...». Altrimenti, chi salverà la Bulgaria? Si è fatto avanti il re, Simeone II, figlio e nipote di principesse di casa Savoia, che intende tornare a Sofia. Ci prova il patriarca Maxim, avversato dall'«antipapa» Pimen, che lo accusa di simpatie postcomuniste. Ci prova anche il burattinaio del partito, Aleksandr «Strateg» Lilov, detto anche «lillà» da chi lo considera più rosso dei rossi. Ci provava l'altro grande vecchio del postcomunismo, l'ex premier Andrey Lukanov, ammazzato due mesi fa da un sicario travestito da mendicante. Poi ci sarebbe lui, papà Zhivkov, il solo tra i segretari generali dell'era del Muro ad aver subito un processo politico, il solo che (quasi) tutti dicono di rimpiangere. Da sette anni è agli arresti domiciliari nella villa della nipote alle pendici del monte Vitosa, circondato dalle guardie del corpo e da un grande giardino, e si sfoga con i giornalisti che lo vanno a trovare: «Avevo preparato la mia successione, ma i nuovi potenti hanno defenestrato i miei uomini e hanno cominciato il saccheggio del Paese. Quando c'ero io, ogni anno incrementavamo la riserva aurea di una tonnellata e mezzo: questi se la sono divorata. Statisti si nasce, non si diventa. Ci siamo incamminati sulla strada sbagliata». Qualcuno ne ha scelto un'altra: la fuga. Hanno commciato i turchi, perseguitati negli ultimi anni del regime, e se ne sono andati in 350 mila. Ora li seguono i giovani, decine di migliaia, partiti verso Occidente, Germania, Usa, Canada, lontano dagli androni bui, dalle aule gelide, dalla depressione, dalla neve novembrina, dal loro Paese e da tutto quello che nella vita è la Bulgaria. Aldo Cazzullo Romania, che un tempo era la «parente povera» al confronto ora pare un Paese di Bengodi al punto che la Croce Rossa di Bucarest manda camion di viveri «L'Europa ci nega aiuti e investimenti che ha dato a tutti gli ex satelliti, ci ha abbandonati» Il formaggio nazionale si vende soltanto in dollari, le banche falliscono a catena REPORTAGE w a disastrata Un'immagine della provincia bulgara Dopo la fine del comunismo il Paese non è riuscito ad agganciarsi all'Europa, e sprofonda nella miseria e nel degrado. Decine di migliaia di giovani sono già fuggiti all'estero in cerca di un futuro migliore L'ex leader del pc Zhivkov e il presidente neoeletto Stoianov