Il college snobbato dei senza famiglia

Il college snobbalo dei senza famiglia In Friuli una fondazione ospita bambini soli, ma nessuno vuole mandarli Il college snobbalo dei senza famiglia REPORTAGE GLI OSTACOLI ALLA SOLIDARIETÀ* GRADISCA DAL NOSTRO INVIATO Orfani? Bambini poveri e volenterosi? Ragazzi e ragazze con famiglie dissestate alle spalle? Ai quali pagare vitto, alloggio, vacanze, sport, abiti, studi, cure sanitarie? In Italia sembra che non ce ne siano più. Forse sono una specie in via di estinzione. In questo bellissimo e un po' avveniristico college, voluto da un imprenditore locale e creato coi suoi miliardi, ai bordi dell'Isonzo, fra Trieste e Gorizia, potrebbero starci 99 bambini e ragazzi dei due sessi. Quest'anno ce ne sono 17, solo maschi. «(Abbiamo contattato tutti i Comuni d'Italia, Province, servizi sociali, capi d'istituto, tribunali dei minori. Migliaia di libri, dépliants, locandine, una videocassetta. Risultato: una ventina di no, grazie. Fa ancora orrore il ricordo degli orfanotrofi di un tempo? La compagnia di un figlio è la consolazione cui la famiglia non vuole rinunciare, anche a costo di privarlo di un possibile futuro migliore? 0 sono le assistenti sociali che boicottano una sistemazione dei minori al di fuori dei loro circuiti di conoscenze e magari di interessi?» si chiede Raffaele De Riù, presidente e amministratore delegato della Fondazione Brovedani, ente privato con un patrimonio di cento mibardi, che non riceve alcun tipo di sovvenzioni e non fa discriminazioni di razza, lingua, religione, opinioni politiche. Il grande complesso è stato inaugurato nell"80. Osiride Brovedani era » '-irto nel '70. Era ricchissimo. Si era fatto dal niente, e sempre anche quando era a Buchenwald aveva sofferto per la perdita precoce del padre e la mancanza di studi regolari. Pensò ai bambini bisognosi e capaci, al diritto dell'infanzia al divertimento e allo studio. Dopo la morte della moglie nel '74, tutto fu fatto con celerità: la creazione di uno statuto, la scelta del luogo su cui far sorgere la Residenza, il progetto affidato a due architetti triestini, Celli e Tognon, la costruzione portata a termine in un anno. «Aprimmo quattro cantieri contemporaneamente su un'area di 30 mila metri quadri. Arrivarono materiali di pregio. Oggi vengono dall'estero a visitare edifici e giardini dell'Istituto» racconta De Riù. C'è un grande corpo centrale, da cui si dipartono undici nuclei abitativi. In ciascuno ci sono camere e bagni per 9 ragazzi e un educatore. La struttura dei servizi centralizzati (cucine, sale da pranzo, palestra, teatro, laboratori per gli hobbies) è collegata con ogni nucleo, che a sua volta ha una propria uscita, un proprio giardino, un terrazzo, locali per lo studio, la tv, la musica, i giochi. In un'audace commistione di vetro e ferro, legni e vetrocemento. Un viaggio attraverso l'edificio, quando i ragazzi sono a scuola, sembra interminabile. Ma appena loro incominciano a rientrare - prima quelli della scuola elementare che si trova proprio di fronte, poi quelli delle medie che stanno a pochi isolati, e infine i ragazzi delle superiori che vengono da Gorizia è tutto un inseguirsi di voci, di zainetti gettati alla rinfusa per guadagnare al più presto la sala da pranzo, di racconti concitati fra loro e con gli educatori (il rapporto è uno a sette). Con tanto di spiate, risa, reticenze. Un bimbo della seconda elementare, piccolo piccolo, im po' timido, un po' voglioso di attenzione, mostra con orgoglio un grande quaderno su cui ha scritto una filastrocca. Dettata dalla maestra di italiano? No, da quella di antropologia. E cos'è l'antropologia? «Te lo dico dopo, ora ho fame» scappa via. Reperire i ragazzi cui offrire la possibilità di vivere nel college, di studiare nelle scuole pubbliche e di passare le vacanze nelle due villealbergo che la Fondazione possiede, a Lignano e in Valcanale, subito si rivelò un'impresa. «Ci mettemmo a fare il porta a porta. Un'educatrice si fece dare dai Comuni limitrofi la lista degli orfani. Scrisse alle famiglie. Le contattò. Non sempre fu bene accetta. Nel primo anno gli ospiti furono 18, in quello successivo 38. Quattro villette erano completamente occupate. Poi siamo andati sempre decrescendo» racconta Claudio Garbani, direttore dell'Istituto fin dall"80. La storia della piccola comunità è frastagbata. ((Abbiamo incontrato ostilità nella scuola media. Volevano raggruppare i nostri ragazzi in un'unica classe, farne una specie di ghetto. Gli insegnanti sostenevano che aveva- no fatto male le elementari. Abbiamo dovuto faticare molto perché i ragazzi venissero smistati nelle varie classi e ciascuno venisse seguito a seconda del suo livello di preparazione - ricorda il direttore -. Abbiamo avuto difficoltà anche con la popolazione, sospettosa, diffidente davanti alle diversità. Si spargevano notizie negative. Si creavano leggende metropolitane sulla biciletta sparita e poi ritrovata, sul piccolo furto non verificabile. La Fondazione aveva creato e donato al Comune un campo giochi. Era regolarmente preda di vandali, devastato. Adesso lo abbiamo chiesto indietro. Lo gestiamo e puliamo noi, abbiamo le telecamere per il controllo interno, ci sono orari di chiusura e apertura: le famiglie vengono a fare picnic, i bambini a giocare, le squadre sportive a fare tornei. Una pacificazione che ci siamo conquistata». Anche fra gli educatori e i ragazzi non sempre tutto è filato Uscio. Pesavano lo sradicamento, la diffi¬ coltà di comprensione. «Soprattutto quando i tribunali dei minori hanno incominciato a mandarci ragazzi con esperienze di devianza. Ci siamo resi conto che non eravamo in grado di fronteggiare queste problematiche. Che non ci bastava il continuo aggiornamento con un docente dell'università di Trieste. Abbiamo capito che la mancanza di armonia fra i soggetti più difficili e gli altri poteva compromettere tutto. Che Ù rapporto fra i ragazzi e la famiglia deve essere coltivato, e questo è uno dei nostri compiti. Abbiamo via via imparato molte cose. La diversità delle origini non è un ostacolo insormontabile. Due ragazzi della Sardegna (per Natale e Pasqua li mandavamo in aereo a casa) hanno concluso ottimamente gli studi. Tre ragazzi di Isernia, che avevano perso i genitori e che abbiamo fatto venire dopo aver contattato il sindaco, non se ne sono più voluti andare: oggi lavorano tutti, sono diplomati, in una famiglia di qui - lei è una parrucchiera hanno trovato il nucleo degli affetti perduti. Un tredicenne calabrese ci lasciava perplessi, aveva fughe alle spalle, una famiglia dissestata e violenta. Tenerlo ci sembrava un rischio, un rischio per la pacifica convivenza della comunità. Invece - rispondendo al credito affidatogli - ha dato i risultati più imprevedibili e positivi. Abbiamo imparato a prendere con le molle le iniziative degli assistenti sociali. Una ci aveva chiesto quest'anno di accogliere un ragazzo che usciva dal terzo "affido" negativo. Ho incontrato sia il ragazzo sia la famiglia affidataria (che era all'oscuro di tutto e che mi è parsa di grandi qualità), e ho capito che quella richiesta era sbagliata, che la crisi era quella di un adolescente e non si risolveva cambiandogli collocazione». Tanto lavoro, tante possibilità. Ma i risultati ancora non si raccolgono. «Abbiamo "forzato" lo statuto» riconosce Enzio Volli, avvocato triestino, specialista a livello internazionale di diritto della navigazione, consighere della Fondazione. E' stato allargato il concetto di «orfananza»: si è riconosciuto che non solo per un fatto anagrafico un giovane può essere solo, privo di sostegno. Inoltre si è permesso che nella Residenza entrassero anziani autosufficienti, soli e con una pensione di meno di due milioni al mese: ce ne sono già 40 e lunghissima - naturalmente - è la Usta d'attesa. Nell'Italia degli sprechi, delle chiacchiere e della sostanziale disattenzione nei confronti del disagio minorile, la Fondazione sta intraprendendo adesso un altro percorso. Apre le porte ai bambini croati. Ne arriveranno due la settimana prossima. Due fratelli di 11 e 13 anni orfani di madre. Grazie al console italiano di Fiume che si è impegnato personalmente per ottenere il visto per motivi di studio. Le macerie, la solitudine, l'ombra della morte, le ferite inflitte ai bambini dell'ex Jugoslavia si trovano proprio alle spalle di questa Residenza privilegiata. Qui ormai non si pensa soltanto all'orfano volenteroso e povero che Osiride Brovedani si portava nel cuore. Liliana Madeo «Vengono dall'estero a visitare la Residenza qui invece abbiamo trovato molta ostilità» Realizzato nell'80 ha 99 posti ma accoglie soltanto 17 ragazzi «Non facciamo distinzioni di razza Oggi da noi ci sono due piccoli croati» A fianco, i ragazzi nel college di Gradisca durante la ricreazione. A sinistra, l'interno di una delle camerette

Persone citate: Celli, Enzio Volli, Liliana Madeo, Osiride, Osiride Brovedani, Raffaele De Riù, Tognon