« Come stanno i bimbi? »

Brescia: ha subito chiesto della figlioletta e del nipotino, unici superstiti del massacro in Calabria Brescia: ha subito chiesto della figlioletta e del nipotino, unici superstiti del massacro in Calabria « Come sfanno i bimbi? » Dal giudice il carabiniere assassino PESCHIERA DEL GARDA DAL NOSTRO INVIATO «E i bambini, come stanno?», chiede al giudice, Alfredo Valente, carabiniere e sei volte assassino. Quei bambini sono sua figlia Alessandra di 4 anni e Marco, il nipotino di tre anni, unici sopravvissuti al massacro, al tiro al bersaglio per 23 volte, quattro sere fa, a Contrada Visciglioso, metà strada tra Buonvicino e Maierà nel cosentino. «E i bambini come stanno?», chiede il carabiniere che adesso indossa la tuta dell'esercito, cella singola nel carcere militare di Peschiera del Garda, guardato a vista 24 ore al giorno perché non si sa mai. «Perché avevo deciso di farla finita, dopo», confessa al giudice bresciano Giuseppe Ondei, che ne ha viste tante ma una così mai. «Mi ha detto che di quei momenti non ricorda nulla, ma non lo fa come quei gangster che non vogliono parlare...», dice il giudice giovane con i quadri con i fiori appesi in ufficio, e quel fascicolo azzurrino sul tavolo, un numero e poche parole in copertina: «Valente Alfredo, 33 anni, strage». «Continuava a guardare il fascicolo, ma poi non diceva nulla», spiega il giudice Ondei, che davanti all'ex carabiniere c'è rimasto mezz'ora, senza cavare un ragno dal buco. Ammesso che ci sia ancora qualcosa da scoprire, di questa storia che si dipana per una notte intera ma che è chiara come la luce del sole. A partire dal film di quella giornata: martedì mattina presto Alfredo Valente telefona alla moglie. Le cose non vanno bene da tempo. Ci sono problemi economici. Lei, che si è già trasferita a casa dei genitori in Calabria, gli annuncia di aver deciso, di voler preparare «le carte». «Vengo giù», urla il carabiniere che da Formia a Cosenza macina chilometri per un pomeriggio intero, nel tentativo di scongiurare il divorzio. Non è il primo viaggio. Da tempo Alfredo va su e giù per il Meridione alla ricerca di un accordo con la moglie. Per la bambina, per salvare il matrimonio. Perché così lui non può più andare avanti. Alfredo Valente arriva alle 20 nella casa dei genitori di lei, una villetta in fondo a una stradina sterrata. Forse c'è una lite, forse volano parole grosse - impossibile ancora ricostruire tutto nei dettagli ma è in quei secondi che il carabi¬ niere estrae la Beretta 92Sb di ordinanza, e spara. All'impazzata, per uccidere, a colpo sicuro di fronte a bersagli inermi che vanno giù nel loro stesso sangue. «L'ho fatto io? L'ho fatto io?», ripete adesso al giudice. «Non è lucido, è come se in quegli attimi avesse ricevuto una botta in testa», conferma il gip Ondei. Ma in quella carneficina un momento di lucidità c'è sicuramente stato. E' stato quell'attimo in cui Alfredo Valente si è accorto di aver svuotato il caricatore bifilare da 15 colpi della sua pistola automatica. E allora ha cambiato caricatore, riarmato il cane, rimesso il colpo in canna. Per poter continuare a sparare. Altre 8 volte, fino a un totale di 23. Tutti centri a bersaglio: contro la moglie Genoveffa Maria Salemme, che tutti chiamavano Genny, contro i suoceri Raffaele Salemme e Marianna Amoroso colpevoli di aver ospitato la donna, contro la cognata Franca Salemme e suo marito Luigino Benvenuto. Fino all'ultimo proiettile, sparato a bruciapelo alla tempia contro Fabiana, la nipotina di appena 11 anni. Che voleva portare con sé, ma che poi ha ammazzato perché piangeva, perché non voleva staccarsi dalla madre, già a terra. Fulminata da quel torrente di proiettili. Spiega il giudice Ondei: «Di quei momenti mi ha detto che si ricorda solo dei bambini in un angolo della casa». Sono gli unici sopravvissuti, anche se il maschietto è stato colpito di striscio. Sono i bambini che Alfredo Valente si è portato con sé, nella corsa di una notte tra la Calabria e Concesio, alle porte di Brescia. Dove ha lasciato i due piccoli, affidati a parenti di lei. Dove, poi, Alfredo Valente si è costituito ai carabinieri e ha confessato quel massacro lontano 1300 chilometri. «Sembra non ricordare più nulla. E' sconvolto perché ha ucciso chi amava, non chi odiava», com- menta il giudice Ondei. Che nel carcere militare di Peschiera c'è rimasto mezz'ora appena, il tempo di un verbale striminzito che tanto non c'è più nulla da dire. Convalidato l'arresto, adesso si tratta di decidere se trasferire il detenuto a Paola, in Calabria, dove saranno i magistrati del posto ad istruire il processo. «Dal mio punto di vista ho finito. Lui continua a ripetere di non ricordare, di non voler ricordare quegli attimi», spiega il giudice Ondei, chino sul computer a chiudere il caso di «Valente Alfredo». Perché a quel tipo di rimozione, a quel buio nei ricordi non c'è nulla da fare. «Forse quando gli sarà passato lo shock...», spera il giudice. Che aggiunge: «Adesso è come uno che ha preso una botta in testa, forse ci vorranno dei giorni perché possa ricordare e spiegarci quegli attimi. Sì, ci vorranno dei giorni...». Forse tutti quelli che rimangono da vivere ad Alfredo Valente, carabiniere o sei volte assassino. Fabio Potetti L'INTERROGATORIO Sul fascicolo c'è il suo nome accanto alla parola strage e chiede: «L'ho fatto io?» IL PROPOSITO «Avevo deciso di farla finita dopo quell'inferno» Ora è sorvegliato a vista IL MAGISTRATO «Non ricorda nulla di quegli attimi E' come se avesse ricevuto un colpo in testa. Non è lucido Lo credo sincero: non è un gangster» Ih* Sopra: Alfredo Valente, accanto: la casa della strage. In alto: i funerali