«Guardiamo in faccia il passato» di Giampaolo Pansa
«Guardiamo in faccia il passato» «Guardiamo in faccia il passato» Pansa: ma la riconciliazione è impossibile IL GIORNALISTA SCRITTORE OTORINO UE STA è l'ora dei vinti, degli esclusi? Mentre suscitano polemiche le parole di Luciano Violante, presidente della Camera, al convegno di Perugia sulla Memoria divisa - «Non possiamo vivere con due storie, una per i vincitori e una per i vinti, occorre un patto di riconciliazione nazionale» -, l'ultimo romanzo di Giampaolo Pansa, I nostri giorni proibiti, che racconta la passione tra il figlio d'un partigiano e la figlia d'un fascista, è in testa alle classifiche della narrativa italiana. Violante è finito sulla prima pagina del Secolo d'Italia, il quotidiano di Fini, ma è stato trattato a pesci in faccia su Liberazione, la testata di Re: «Lui è contro i valori antifascisti della Costituzione». Il libro di Pansa, ovunque lo si presenti, giovedì a Genova, ieri a Torino, riempie le sale e accende discussioni. Ne abbiamo intervistato l'autore, per capire se siamo a una svolta, nel costume e nella cultura prima che nella politica. E' l'ora dei vinti, Giampaolo Pansa? Siamo di fronte alla grande riconciliazione? «No. La riconciliazione è un obiettivo senza senso. Mi sembra una cosa un po' troppo cattolica. Mi sembra soprattutto un obiettivo impossibile. Immaginare che chi combatteva allora su uno dei due fronti voglia davvero riconciliarsi è una crudeltà irrealistica. Ma mi sembra impossibile anche per le generazioni venute dopo, come la mia, per le quali fascismo o antifascismo sono un bivio decisivo: o di qua o di là». Al posto del msi c'è An. Il postfascismo è legittimato. Conta qualcosa? «Oggi la possibilità di riconci- liazione è paradossalmente diminuita. Un ex capo partigiano non può non vedere con allarme la legittimazione dei figli di Salò, il loro rafforzamento. Perciò la riconciliazione resta una roba da 2 novembre». Come giudichi i casi di chi ha maturato un nuovo atteggiamento, ha cambiato i suoi convincimenti? «Ci sono casi isolati di riconciliazione dentro se stessi. Emblematica l'esperienza raccontata nel libro Mise l'elmo di Piero Sebastiani, pubblicato da Mursia, che ho presentato di recente. L'autore è del 1927, viveva a Lucca, a sedici anni entrò nelle brigate nere. Oggi è un antifascista e racconta il suo viaggio dall'una all'altra sponda, con una grande pietà soprattutto per chi ha combattuto, per chi ha scelto. Ma sono riconciliazioni dentro la propria coscienza». Che fare dopo cinquant'anni? Lasciare le cose come stavano? «Il problema è come vivere l'inconciliabilità. Se con i pugni chiusi o con le palme aperte. Con la stessa rabbia d'allora o con una razionalità pacata. Senza rinunciare ai nostri giudizi su fascismo e antifascismo, un buon test è rifiutare la lavagna. Che cos'è la lavagna? Significa tirare una riga, come si faceva a scuola, per mettere da una parte i diavoli, dall'altra gli angeli. Dietro la lavagna c'è l'ideologia. Mentre noi dobbiamo ritornare alle persone. E ricordare che tra i repubblichini c'erano giovani che hanno fatto anch'essi le loro scelte, anche bizzarre. Che è poi il tema del libro di Claudio Pavone, Una guerra civile. Bisogna ritrovare la misura per¬ sonale di ciò che ci è accaduto. E ci sono rimozioni da illuminare. Un libro come Storia della Franchi di Edgardo Sogno, ripubblicato dal Mulino, non può più essere ignorato. Bisogna raccontare l'intera vicenda di quel biennio: la storia della guerra civile, non quella dei vincitori o quella degli sconfitti». Che cosa significano gli appelli di Violante? «Il suo è un invito coraggioso, ma una voce che grida nel deserto. Dal richiamo alle ragazze di Salò alla richiesta di chiarezza sulle foibe, Violante dice cose giuste. Dopodiché ha torto quando fa entrare in scena i partiti. Come se toccasse ad essi scrivere la storia. I partiti è meglio che aprano gli archivi. Ma Dio ci guardi dall'affidargli la storia». Il successo dei «Nostri giorni proibiti» è dovuto a un interesse per i «vinti» del 1945? «Forse la gente comincia a credere in me come scrittore di romanzi. Ma senza dubbio questo libro ha avuto successo anche perché io ho messo in scena una esclusa, più che una vinta. Una signora che a Genova mi ha chiesto la dedica mi ha mormorato: "Io sono una di quelli". Quali?, ho chiesto. "Quelli. Mio papà stava a Reggio Emilia: sono venuti a prenderlo il 25 aprile e l'hanno ucciso"». Come è nata l'idea di sci-i- vere un romanzo su una esclusa? Perché il giornalista aveva intuito gli sviluppi politici? «Quando ci pensavo, Violante era ancora di là da venire. No, semplicemente volevo tornare a fare un libro su quell'incendio, già affrontato nel primo romanzo, Ma l'amore no, perché io me lo porto dentro, perché lo scrittore che amo di più è Fenoglio, perché avrei voluto fare il partigiano, perché quei giovani avevano in tasca la moneta d'oro dell'idealità che oggi non è più corrente. Perché io ho un temperamento epico, lo dico sfidando il ridicolo. Per tutte queste ragioni volevo mettere in scena una ragazza fascista». C'è anche un rapporto con la politica? Questa vicenda, i vincitori e i vinti, gli esclusi, ha ancora un risvolto politico, o no? «C'è chi insinua che Violante dica queste cose per diventare Presidente della Repubblica. Io non ci credo. Penso lo faccia per convinzione. Voglio dargli questa fiducia. Anche se, essendo l'unico politico a cui ho mandato il libro con dedica, perché mi sembrava che ragionassimo sulla stessa lunghezza d'onda, non mi ha neanche mandato un biglietto per dirmi crepa. Ma io sono un candido». Alberto Papuzzi «Raccontiamo la storia della guerra civile non quella dei vincitori» «Basta con le rimozioni I partiti aprano i loro archivi» «Dopo i giudizi sulle ideologie, adesso torniamo alle persone» «dn A sinistra. Giampaolo Pansa Sopra: Gianfranco Fini ed Edgardo Sogno A lato, una manifestazione di fascisti a Milano nel 1944
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