Il conservatore D'Alema è diventato «ulivista» di Augusto Minzolini

»*. Il conservatore D'Alema ■BEBÉ"*-*»*. Il conservatore D'Alema è diventato «divista» LA STRATEGIA DELLA QUERCIA L r A vittoria nelle 'ultìi^eìezioni eWvenutó ìh'ìÉà Paesein* . ,. ^ite^i^^dj^wuj^ociali, degù egoismi localistici non soltanto non si è arrestata, ma è andata avanti anche rispetto alle elezioni precedenti. Basta sommare i consensi delle diverse destre, il Polo e la Lega, per avere la prova che sono andati avanti... Questo rende più ammirevole la capacità di una politica meglio organizzata, più razionale, ma non toglie che la vittoria dell'Ulivo è avvenuta in una società civile che continua ad andare verso destra... Se il centro-sinistra perde di vista questo dato e cioè che il governo è una grande op-por-tu-ni-tà, è cioè la possibilità di guidare un processo di trasformazione anche attraverso le leve del governo ma non una condizione in cui noi possiamo semplicemente pensare di stare, rischiamo che la transizione sia sospinta di nuovo a destra...». E' tutto in questa affermazione lo schema della proposta congressuale di Massimo D'Alema, in quell'anticipazione della relazione che il segretario del pds ha offerto ieri a Napoli in un discorso nei vecchi stabilimenti dell'Italsider trasformati dal Comune in un centro culturale, la città della scienza. In una sala dall'architettura surreale, con confessionali appesi al soffitto e spacciati per arte («Movimenti catodici barocchi» è il titolo dell'opera), più adatti per una scenografia veltroniana che non per discorsi con i piedi per terra come quelli stile D'Alema, il numero uno della Quercia ha riportato la polemica con Romano Prodi e Walter Veltroni su un piano dottrinale, politologico, attento più alla prospettiva che al presente. Mentre a Roma il vicepremier continua a punzecchiare fi pds che ha trasformato il cammino del governo in un calvario, a Napoli D'Alema osservando che il successo alle elezioni è nato più dalla «tecnica» politica che da altro, spazza via buona parte della retorica e dell'epica dell'Ulivo. Almeno quella fine a se stessa. In poche parole la coalizione per affermarsi davvero nella società, per interpretarne i bisogni, deve diventare strumento di «innovazione», di «trasformazione», non può limitarsi a gestire l'esistente, a governare per governare: pena la sconfitta. Con questo schema in testa D segretario pidiessino tenta di capovolgere la dialettica congressuale che gli assf mava finora il ruolo del «consenr del «difensore dell'orgoglio di j-urtito» contro il nuovo che dovrebbe rappresentare di per sé l'Ulivo: semmai per D'Alema la «vera discriminante è tra chi pensa che l'innovazione sia una chiave irrinunciabile per chi vuole esercitare un ruolo di guida e chi, invece, più o meno consapevolmente, ha una visione conservatrice se non addirittura restauratrice. Quelli che hanno pensato che con la vittoria elettorale sarebbe finita la confusione, sarebbero tornate le forze democratiche, le forze sicure, gli VI eredi del pei, della de, di socialisti e repubblicani: questo modo di pensare ci riporterebbe alla sconfitta». Insomma, l'Ulivo va bene, ma deve servire a far crescere tutti i partner della coalizione, a spingerli a guidare insieme un processo di rinnovamento, «senza scavalcamenti e rispettando la cornice di questa maggioranza». A superare le contraddizioni presenti nel centro-sinistra che nascono dai sentimenti diversi che vi convivono: «Il bisogno di un'unità contro le destre che - sostiene il segretario pidiessino - è cosa diversa dalla necessità di un'alleanza per le riforme»; ed ancora, «la presenza in esso degli eredi delle grandi forze democratiche del passato, che se da una parte garantiscono alla coalizione una classe dirigente, dall'altra possono anche diventare un elemento di conservazione per i legami che hanno con la cultura della democrazia dei partiti, del parlamentarismo. Una cultura nobilissima ma superata». Così a ben vedere il discorso di Napoli costituisce un balzo in avanti nella strategia di D'Alema. «Noi dobbiamo evitare - osserva - di tornare alle logiche della I Repubblica. Di comportarci come se la coalizione fosse un mini-pentapartito di sinistra. Ecco perché sono d'accordo con l'idea di un'auto-convocazione dei parlamentari dell'Ulivo. Sarebbe un modo per rilanciarlo ed evitare di tornare ai vecchi rituali dei rapporti tra i partiti delle maggioranze dei governi della I Repubblica, alle vecchie liturgie del passato». E sulla scia di questi discorsi qui a Napoli si viene a sapere che se fosse stato per Prodi e per gli altri dell'Ulivo il «vertice» dei segretari della maggioranza si sarebbe svolto già l'altro ieri: quattro discorsi, qualche battuta e tutto risolto. E' stato, invece, il leader pds a chiedere di rinviarlo di qualche giorno («ero impegnato a Benevento in un comizio per l'Ulivo») ed è lui stesso a non enfatizzarne il significato: «La vera discussio¬ ne politica bisognerà farla più avanti e in sede più ampia». A Napoli, quindi, D'Alema rilancia: strano a dirsi, ma diventa lui l'ulivista. Del resto perché il segretario avrebbe dovuto assecondare chi vuole fargli interpretare al congresso del pds il ruolo del «conservatore», del «difensore dei vecchi partiti»? Quindi, l'Ulivo va bene, anzi benissimo, ma deve diventare il «motore» delle riforme istituzionali e la premessa per centrare questo obiettivo è «il dialogo con l'opposizione»; l'Ulivo è ottimo, ma deve ridisegnare il «welfare State» italiano che garantisce tutti meno i poveri; l'Ulivo è geniale, ma deve ripensare il mercato in Italia e l'assetto proprietario del capitalismo italiano «fondato sulle grandi famiglie garantite dalle banche pubbliche»; l'Ulivo è formidabile, «ma deve porre fine a una situazione in cui lo spazio della politica è occupato da altri poteri, dagli intrecci e dagli scontri di poteri occulti, dalla finan¬ za, dai media, dalla magistratura e dai corpi dello Stato». In poche parole il segretario pidiessino sfida gli ulivisti, Prodi, e Veltroni, i partner moderati della coalizione come i popolari, l'alleatoawersario Bertinotti, sul terreno delle proposte. «Sentite a me - promette -, il governo andrà avanti' molto più di quello che si pensa. Il confronto tra il governo e il pds ha un respiro più ampio. Nei prossimi mesi l'esecutivo dovrà affrontare molte sfide. Noi certo non rinunceremo ad avere un ruolo di stimolo, ma non ci sarà ima crisi di governo. Semmai ci sarà una sfida culturale: da noi il confronto sulla proposta di dare ai cittadini l'opportunità di scrivere sulla scheda elettorale il nome del premier assume toni drammatici, ma nessuno si rende conto che in qualche parte del mondo c'è un ragazzo che spingendo un bottone sposta mille rnfiiardi di Bot e magari come conseguenza chiude una fabbrica e si mandano dei lavoratori sul lastrico. Di quel ragazzo non si conoscerà il nome e non ci sarà neppure il tempo di fare un'interrogazione. La verità è che le nostre istituzioni sono al collasso, sono basate tutte sul controllo e questo inceppa il processo decisionale, lo rende lento. Questi sono i temi su cui dovrebbe riflettere la sinistra... e l'Ulivo». Augusto Minzolini Il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti

Luoghi citati: Benevento, Italia, Napoli, Roma