Le custodi dell'Onorata società
te custodi dell'Onorata società pippp ■■■ L'ALTRA META' DI COSA NOSTRA te custodi dell'Onorata società Se parlassero, la mafia sarebbe sconfitta» LPALERMO 0 hanno definito l'argomento-tabù di Cosa nostra. Gli stessi pentiti lo hanno ripetuto in tutti i modi: di femmine meno si parla e meglio è. Ecco perché le donne rappresentano il grande mistero dell'onorata società. Si conosce solo una regola antica e mai violata: che a tutte, anche alle mogli dei capi, è proibito l'ingresso ufficiale nelle «famiglie» mafiose. Ma allora qual è il ruolo delle donne nella società mafiosa? Sono complici o vittime dei boss? «Le donne stanno bene nella mafia. La moglie di un mafioso gode di molti privilegi». Parola di Antonino Calderone, l'unico pentito che ha affrontato, sia pure di sfuggita, il capitolo dei rapporti tra gli uomini d'onore e le loro compagne. «Le donne della mafia sanno sempre quello che combinano i loro mariti, padri o figli», ha rilanciato Piera Aiello, collaboratrice della giustizia di Partanna, teatro di una faida mafiosa che ha insanguinato il Trapanese. «Se le donne decidessero di parlare, Cosa nostra sarebbe sconfitta». LE IRRIDUCIBILI. Altro che ruolo marginale: le donne sanno. E coprono tutto col loro silenzio. Come Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina, che col boss dei boss ha diviso 23 anni di latitanza. Diploma di liceo classico, quattro figli partoriti in clandestinità, donna Ninetta è l'esempio più lam- pante della fedeltà assoluta alle regole mafiose: non ha mai parlato, non parlerà mai. 0 come Saveria Palazzolo, di mestiere camiciaia, sposa dell'imprendibile padrino Bernardo Provenzano. La mattina del 5 aprile 1992 è ricomparsa a Corleone dopo anni di assenza. Ai compaesani ha spiegato: «Sono tornata per i miei figli». E non ha più aperto bocca. LE PRESTANOME. Ecco perché la tradizione vuole che i picciotti sposino figlie o sorelle di picciotti: l'uomo d'onore cerca donne «affidabili», cresciute all'interno di famiglie mafiose, le uniche capaci di garantire con la loro cultura dell'omertà la sopravvivenza di Cosa nostra. Donne disposte a tutto, pronte a perdonare, a nascondere, ma anche ad offrire complicità per spericolate operazioni finanziarie. Come Emanuela Gelardi, moglie di don Ciccio Madonia, il boss della cosca di San Lorenzo, e Maria Concetta Caruso, madre di Giacomo Giuseppe Gambino, membro della Cupola, socie nella «Racoin Spa», impresa para-maliosa con 180 milioni di capitale. Stesso destino è toccato a Vincenza Mondi, moglie di Giuseppe Vernengo, fratello del boss Pietro, che risultava ai vertici dell'impresa «Agrosicula Spa». E a Franca Migliore, moglie di Gaetano Fiore, anche lui uomo d'onore, socia della «Ri.Sa.», le iniziali di Riina Salvatore, una fiorente azienda immobiliare. LE MADRINE. Una cosa è certa: le donne contano sempre di più nelle famiglie mafiose. Ha bruciato le tappe, Grazia Ribisi, sorella dei capimafia di Palma di Montechiaro, decimati dalla faida dell'Agrigentino. Secondo gli inquirenti, dopo l'uccisione di Rosario e Carmelo, nel 1989, la donna avrebbe ereditato lo scettro della famiglia. E non è l'unica. Da quando i sicari gli hanno massacrato il figlio Raffaele, è scesa in campo anche Palma Spatazza, 50 anni, originaria di Ravanusa, al centro di un'indagine per presunti collegamenti con la cosca del suo paese. Ma la più intraprendente è Concetta Faustiana, moglie di Aurelio Cavallo, capo della «stidda» di Gela, l'organizzazione che ricalca i modelli di Cosa nostra. Dopo l'arresto del marito, ha assunto il comando di un esercito per mantenere il controllo del territorio. Nessuno è disposto a considerarle al pari degli uomini, ma quando manca un ricambio di leadership maschile, eccole farsi largo. LE RIBELLI. Ad una condizione: che non si tocchino i loro padri, fratelli, o peggio ancora figli. Perché tutto accetta la donna d'onore, tranne la perdita degli affetti più cari. Lo confermano le storie di Piera Aiello, Rita Atria e Cristina Culicchia, le ultime che hanno deciso di collaborare con la magistratura siciliana. A Piera Aiello le cosche hanno ucciso il marito Nicolò Atria, fratello di Rita Atria, morta suicida dopo aver scelto, anche lei, di rompere il codice millenario dell'omertà. A Cristina Culicchia, nata a Marsala, i sicari hanno assassinato il marito Nino Titone, così lei ha deciso di parlare. «Non ci sono regole che possano fermarle», avverte il pentito Calderone. «Quando una donna viene colpita negli affetti non ragiona più». Sandra Rizza Un pentito: le donne dei boss sanno sempre che fanno i loro mariti, padri o figli alle irriducibili consorti i Riina e Bernardo Provenzano lle aspiranti capoclan di Agrigento La moglie del boss Giovanni Brusca Accanto: Ninetta Bagarella, moglie di Totò Riina A destra, il cadavere del boss Inzerillo, ucciso neìl'81 dai corleonesi di Riina nella guerra per il predominio in Cosa nostra.
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