In cella di nuovo Verde e Pacifico di Giovanni Bianconi

In cella di nuovo Verde e Pacifico CONTI SVIZZERI E In cella di nuovo Verde e Pacifico Per il giudice e l'avvocato il reato è corruzione PROMA RIMA agli arresti domiciliari; stavolta l'hanno portato in carcere, a Perugia, dove ieri pomeriggio ha risposto alle domande del gip che l'accusa di corruzione. Con Filippo Verde, 68 anni, ex magistrato dalla brillante carriera - presidente di Cassazione, e una lunga stagione al ministero della Giustizia, come capo di gabinetto e direttore generale - è tornato in prigione dopo appena due giorni di libertà l'avvocato Attilio Pacifico, già coinvolto nel caso Squillante e nella maxi-tangente Imi-Sir. Pacifico corrompeva Verde, secondo la nuova accusa, «perché ponesse le sue pubbliche funzioni al servizio degli interessi del Pacifico e di coloro, allo stato non identificati, per conto dei quali il Pacifico agiva». Dunque l'inchiesta prosegue anche per dare un volto agli altri artefici della corruzione, ed è già arrivata ai Caraibi, dove avrebbero sede alcune società utilizzate per far transitare il denaro e dove risiede una donna considerata prestanome di Verde. Nel frattempo, sempre per corruzione, è indagato il costruttore romano Antonio Pulcini; ed è inquisito pure il figlio di Verde, il notaio Camillo, accusato di favoreggiamento e al quale è stato sequestrato l'appartamento dei Parioli dove ha lo studio, perché «acquistato con denaro illecito». Sul conto svizzero di Verde alla Sbt di Bellinzona, «alimentato con versamenti in contanti o con giroconti provenienti da conti del Paci- fico», sono stati trovati 700.000 franchi svizzeri, oltre 800 milioni di lire. Ma non sono solo quelli, secondo i pm e il gip di Perugia, il frutto della corruzione. Ci sono gli immobili e forse parte degli 11 miliardi che tra il '94 e il '95 Pacifico ha fatto rientrare in Italia. E c'è il telefonino Gsm svizzero non intercettabile, intestato ad un portiere dell'hotel Splendid di Lugano, dato da Pacifico a Verde «attendibilmente in funzione della cura dei loro comuni interessi illeciti». Poi c'è la partecipazione di Verde al processo sulla controversia Imi-Sir da cui scaturì la maxi-tangente, l'abutudine del magistrato di depositare e pagare tutto in denaro contante come quando nel 1993, versò alla Banca di Roma 288 milioni per sanare un'evasione fiscale. Ma sono le società-fantasma le novità dell'indagine, strumento di operazioni immobiliari che - scrivono i pm Cardella, Renzo e Cannevale nella loro richiesta - «assumono i lineamenti di una vera e propria operazione di riciclaggio». Una di queste, la Sagea (con le quote divise tra la «figlia di un vecchio amico del Verde», Francesca Patruno, e la moglie e i figli dell'ex magistrato), comprava e vendeva case a Roma e dintorni; da lì l'appartamento sequestrato a Camillo Verde. Un'altra è la Aspis, e secondo i pm le indagini «stimolano la domanda su quanti e quali altri canali di riciclaggio siano stati adoperati dal Verde». Uno degli appartementi acquistati dalla Sagea dal costruttore Pulcini fu poi rivenduto ad un prezzo quasi doppio, 740 milioni, «incassati da Filippo Verde»; i magistrati parlano di «donazione», e sarebbe un altro prezzo della corruzione. Lo stesso Pulcini è stato interessato nell'affare Italsanità, dal quale scaturì un'indagine giudiziaria poer la quale c'è il «ragionevole sospetto» che «sia stata oggetto di un tentativo di pilotaggio a mezzo della corruzione di uno o più magistrati romani». I pubblici ministeri hanno messo insieme tutti i tasselli di questo complicato intreccio di circostanze e commentano. Agli atti dell'inchiesta perugina ci sono pure le dichiarazioni di un pentito «ante litteram», Lino Marinelli, condannato per reati contro la pubblica amministrazione. I pm considerano le sue dichiarazioni «sicuramente monche o imprecise», ma alcune vengono comunque giudicate significative. Marinelli racconta che un cancelliere di Roma, Romano Scipioni, «specializzato nella soppressione, sottrazione e modifica¬ zione di atti giudiziari», gli riferì che i suoi referenti tra i giudici erano proprio Verde e Renato Squillante: «Quando parlava di loro li chiamava "papà Verde e papà Squillante''». L'arresto di Verde e Pacifico è stato giustificato per evitare la reiterazione dei reati e l'mquinamento delle prove; «la grande disponibilità di denaro illecito in possesso degli indagati - scrivono fra l'altro i pm - potrebbe essere sfruttata per corrompere testimoni o comunque per blandirli». Ma gli avvocati difensori reagiscono duramente. Renato Borzone, legale di Verde, protesta per la detenzione e dice che nell'interrogatorio l'ex giudice ha risposto a tutte le domande, mentre Franco Patanè, difensore di Pacifico, attacca: «Il mio cliente è già stato interrogato su questi fatti da altra autorità giudiziaria; non è corretto, siamo in una situazione di altissmo pericolo». Giovanni Bianconi Filippo Verde, 68 anni, già presidente di Cassazione

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