Killer a servizio dei boss traditi

Killer a servizio dei boss traditi Pentito fa arrestare i fratelli e un cugino: «Così facevamo sparire i cadaveri» Killer a servizio dei boss traditi Gela, squadre della morte punivano le infedeltà CALTANISETTA. Nella guerra di mafia che ha insanguinato Gela, odii e vendette furono alimentati anche da alcune vicende di sesso e amore. Lo ha rivelato il pentito Salvatore Trubia, 42 anni, che con le sue confessioni ha messo nei guai i quattro fratelli e un cugino. Hanno fatto tutti parte - ha dichiarato - delle squadre di picciotti incaricati di «fare giustizia» per punire tradimenti non graditi ai boss. «Per esempio, la morte di Graziella Mifsud», ha spiegato il pentito, raccontando il caso di lupara bianca di cui fu vittima il 22 agosto 1990 la ventisettenne amante di Vincenzo Gammino, titolare di un negozio a Gela. Dopo il delitto, l'uomo si trasferì a Milano, dove ieri è stato arrestato nell'ambito dell'operazione «Vedova nera» organizzata dalla questura di Caltanisetta. Bella e povera, la ragazza aveva avuto tre bambini da Gammino, sposato e gelosissimo della giovane amante. Vincenzo si convinse che Graziella lo tradiva e dopo un'ennesima lite, sei anni fa, la ragazza se ne andò con i bambini nell'alloggio della madre, a Serradifalco. Fu quest'ultima, qualche giorno dopo, a denunciare la scomparsa della figlia. Ora Salvatore Trubia ha detto che Graziella Mifsud fu assassinata da Gammino e da suo fratello Emanuele Trubia, 24 anni: la strangolarono e ne bruciarono il cadavere. Con Emanuele Trubia, ieri, la polizia ha arrestato a Gela il fratello maggiore Orazio, 37 anni, mentre gli altri due fratelli Trubia, Giuseppe e Pasquale (27 e 29 anni), erano già in carcere per altri reati. Tra le altre nove ordinanze di custodia cautelare, c'è poi Vincenzo Trubia, 25 anni, cugino del pentito. Il pentito Salvatore Trubia ha raccontato la verità anche su un altro delitto d'onore, quello di Crocifisso Di Pietro, che il boss Emanuele Cafà riteneva fosse amante di sua moglie, Anna Martines. Cafà decise allora di punirlo e - secondo Trubia - il compito di uccidere il giovane spasimante se l'assunsero lui stesso, Cafà e Salvatore Polara (questi ultimi due furono eliminati di lì a poco nel seguito della faida). Di Pietro fu rapito e ucciso nell'86 e stesso destino, nel '92, toccò al diciottenne Giuseppe Ascia. Anche in questo caso, Trubia ha ammesso di aver fatto parte dello squadrone della morte, questa volta assieme a Carmelo Tasca e Vincenzo Maugeri. Infine, un altro delitto eccellente del quale il pentito ha parlato è quello di Salvatore Fiorisi (nell'89), avvenuto in un agguato, sempre a Gela, nel quale fu ferito suo fratello Nunzio: in quésto caso a sparare sarebbero stati Giuseppe Trubia e Raimondo Romano. Antonio Ravidà

Luoghi citati: Gela, Milano, Serradifalco