«Bambini venite con me» di Francesco Grignetti

«Bambini, venite con me» «Bambini, venite con me» // viaggio dopo h follia assassina DIAMANTE (Cosenza) DAL NOSTRO INVIATO Il fondale, per un «dramma della follia», è perfetto. Notte di tempesta, mare imbizzarrito, alberi che si piegano al vento, profumi forti della campagna calabrese. Un uomo bussa alla porta di casa, dove sa che ad aprire sarà la sua donna, con una pistola in mano e la morte negli occhi. Ma questa è realtà, non un film. La follia di Alfredo Valente era reale. Il pianto che ha squarciato la notte era di bambini veri. Già, i bambini. E' forse qui la chiave per capire come e perché un carabiniere di 33 anni impazzisce e usa la pistola d'ordinanza per sterminare la famiglia della moglie che confusamente sente «nemica». Come e perché un uomo decida di sparare alla tempia di una bimba solo perché la vede soffrire troppo e allora fa fuoco e si sente sollevato. Alfredo Valente e sua moglie Genoveffa Maria si stavano separando. Venivano da un lungo periodo di crisi. Molte liti. L'ultima è quella che scatena la pazzia. Lei gli dice al telefono che tutto è finito, che la sera stessa avrebbe riunito la famiglia per comunicare ai suoi che ildado era tratto, l'avvocato già contattato. E che naturalmente Alessandra, quattro anni, restava con lei. E' con queste parole nelle orecchie che lui, da Formia dove presta servizio, e dove al più i colleghi dicono che lo vedevano più taciturno del solito, si mette in macchina con la ferma intenzione di fare una strage. Addirittura, per non rischiare di salvare qualcuno, si mette in tasca un caricatore di riserva. Gli servirà: hanno contato 23 proiettili nella casa dell'eccidio. E dunque Alfredo viaggia, corre lungo l'autostrada, percorre in un lampo le tre-quattro ore di strada che ci vogliono per arrivare a Diamante. Quando arriva è sera. E' anche il suo, di paese. Un pugno di case sul mare, la spiaggia, le colline verdi, l'isoletta di Dino a pochi metri dalla costa. Chissà, forse, arrivando di giorno, e riconoscendo i luoghi della sua infanzia, avrebbe potuto pensare alla vita. Invece è notte. E lui pensa alla morte. Si inerpica per la collina dove abitano i suoceri. Va a colpo sicuro. Sa che si vedono tutti a tavola. E per parlare di che? «Di Alessandra», penserà lui. Di una figlia che è stata tanto malata, con le cevulsioni, che poi è guarita, e c ora - delira - gli vogliono toglie Non sarà un caso, allora, se il ■ rabiniere Alfredo entra, fa u strage, lascia corpi accatastati cucina e nel corridoio, spara l'impazzata, si ferma, rican l'arma, riprende a sparare, i mai un colpo sfiora sua figlia. La bambina dev'essere terrò)zata. Rannicchiata in un ang) della grande cucina dove fina qualche minuto prima i noi parlavano concitatamente con mamma e con gli zii. E di che plavano? Di papà. Papà che ara all'improvviso, bussa, e sea nemmeno parlare fulmina a due proiettili la moglie che gli ae la porta. Accanto ad Alessandri sono i due cuginetti, Fabiane Marco. Terrorizzati anche la. Vedono ammazzare sotto i lorochi la mamma e il papà, «colpeli» solo di stare vicini a Mario un momento triste come è unaparazione legale. Quando i colpi finalmente «sano, e le urla si acquetano, il sangue si mischia, Alfredo Vake si gira con calma, guarda re bambini e dice: «Vestitevi chsi va via». Loro sembrano autorrùi mettono i cappottini senza pae. Anche Alfredo si muove comen robot. Ha ottenuto quello che>leva. Ma ora che cosa farà? n aveva pensato al dopo. Il suo ico desiderio, adesso, è di ance via alla svelta. Forse avrà mto fretta ai bambini, avrà aperta porta, avrà tirato fuori di tasca le chiavi della macchina. Trova anche il tempo per strappare i fili del telefono e del citofono per chissà quale raptus. Ma all'improvviso questo incantesimo si rompe. Fabiana, la più grandicella, che già si è vestita, sembra risvegliarsi. Vede la madre, comincia a urlare e a piangere, si butta in terra. Alfredo è preso quasi in contropiede. Si avvicina, la scuote, cerca di portarla via. Ma lei niente, grida più forte, è la sua mamma, l'ha appena vista morire. E' un attimo, il più incredibile. Questa bambina soffre, questa bambina non deve soffrire. Alfredo Valente tira fuori la pistola una seconda volta. L'avvicina alla tempia di Fabiana, fa fuoco. La bambina smette di urlare. E ora via nella notte. Via da questa Calabria che di colpo odora di sangue e di morte. Alfredo si mette alla guida della sua Audi 80 grigia, macchina a cui teneva molto, piccolo status-symbol, e tira il collo al motore. Corre come un ossesso per l'Autostrada del Sole. Percorre l'Italia intera da Sud a Nord. I cartelli stradali segnano le tappe: Salerno, Napoli, Roma, Firenze, Bologna. I bambini dormono spossati dalla stanchezza e dalle emozioni. Lui tiene duro. Intanto i carabinieri hanno cominciato a cercarlo. L'allarme lo danno a notte inoltrata i parenti del cognato: non lo vedono tornare dal summit familiare organizzato da Maria Genoveffa, si attac¬ cano al telefono, nessuno risponde. Vanno a vedere e trovano la casa sprangata. Alla fine rompono la porta e scoprono il disastro. Un cugino, che ha collaborato alle ricerche, racconta; «Non trovavamo i bambini. Siamo impazziti di paura. Pensavamo che fossero da qualche parte. Morti, magari. Abbiamo sfondato tutte le porte della casa, e poi della stalla, e del pollaio. Ma lui non c'era. Né i bambini». No, lui non c'era. Alfredo Valente correva verso il Nord. Verso un'improbabile felicità con la sua bambina addormentata sul sedile di dietro e il cuginetto, compagno di giochi, al seguito. Ma questa fuga si interrompe bruscamente, intorno alle sei del mattino, dalle parti di Piacenza. Motore fuso, fine della corsa. I bambini nemmeno se ne accorgono. Continuano a donnire. Lui vede una colonnina Sos e pigia il pulsante. Poi si ripara in macchina ad aspettare il carro attrezzi. Arriveranno insieme, gli operai dell'autostrada e il meccanico. Trovano un uomo calmissimo, preoccupato teneramente solo del freddo intenso per i bambini. Lo trainano fino a un'officina. Ma lui scalpita. «Devo arrivare a Brescia. Devo portare i bambini a casa». E' costretto ad aspettare fino alle 7,10 quando entra in servizio il primo taxista. Neanche un'ora dopo scende davanti alla casa di Giovanni Salemme, un altro cognato. Deposita i due bambini insonnoliti, suona al citofono e sparisce. Naturalmente i parenti di Brescia, avvertiti dalla Calabria, e già in contatto con i carabinieri, qualcosa si aspettavano. Si precipitano in strada. Un attimo dopo squilla il telefono. E' lui, da un bar vicino, che si informa se hanno trovato i piccoli e se Alessandra sta bene. Sarà proprio per la piccola Alessandra che cadrà in trappola. Gli dice la cognata: «La bambina ti chiama. Vieni un attimo su». Lui va. Trova i colleghi in divisa che lo disarmano e lo ammanettano. Siamo all'epilogo. E' a questo punto che Alfredo Valente sembra svegliarsi del tutto. Sussurra al militare più vicino: «Collega, facciamo finta che io scappo e tu mi ammazzi. E' meglio così, sai». Invece lo portano in caserma. E il carabiniere Alfredo comincia a piangere senza smettere più. Francesco Grignetti Brescia: la casa dove Valente ha lasciato i due bambini prima di costituirsi Nella foto sotto il colonnello del comando carabinieri della città Antonio Gagliardo spiega i particolari dell'arresto

Persone citate: Alessandri, Alfredo Vake, Alfredo Valente, Giovanni Salemme, Maria Genoveffa