Emma Bonino e Barbara Spinelli: la tragedia dei Grandi Laghi di Barbara Spinelli

Emma Bonino e Barbara Spinelli: la tragedia dei Grandi Laghi lettere AL GIORNALE Emma Bonino e Barbara Spinelli: la tragedia dei Grandi Laghi Aiuti umanitari e democrazia Commentando quel che accade alle frontiere fra Ruanda e Zaire, Barbara Spinelli («L'aiuto umanitario che ignora la storia», La Stampa del 17 novembre) impartisce al Vaticano, a me e ai principali responsabili mondiali dell'aiuto umanitario una lezione di etica, di politica e di storia. Accoglierei più volentieri i severissimi giudizi della Spinelli se la sua dissertazione non mi apparisse come una rilettura estremamente semplificata della crisi africana detta «dei Grandi Laghi». E' una semplificazione accusare i «militanti umanitari» di avere volutamente «rubato il posto alla politica» e in particolare di avere protetto i responsabili del genocidio ruandese del '94. Commissaria europea per gli Aiuti Umanitari dal gennaio del '95, non ho mai smesso di invocare l'intervento della politica, gridando ai quattro venti che l'azione umanitaria non può e non deve costituire un alibi per l'assenza di volontà politica. Compiacente io nei confronti delle milizie assassine Hutu e di Mobutu? Nessuna ha l'obbligo di saperlo, naturalmente, ma ho girato varie volte l'intera regione denunciando (anche nei campi profughi) la cultura dell'impunità, invocando la creazione di un Tribunale Internazionale permanente e ottenendo che la Commissione Europea finanziasse il Tribunale di Arusha che giudica i responsabili del genocidio ruandese. E' una semplificazione affermare che la crisi dei Grandi Laghi comincia e interamente si spiega con il genocidio del '94, deducendone che basta rendere giustizia alle vittime per spegnere l'incendio. E neppure è sufficiente essere vittime di violenze per sentirsi legittimato a perpetrarne altre. Ben altri equilibri e interessi si celano dietro la partita a scacchi in corI so nella regione. E' una semplificazione pericolosa quella di riprodurre attorno al potere Tutsi del Ruanda una «sindrome israeliana» con ingredienti del caso: il genocidio; la crescente militarizzazione (incompatibile con risorse e bisogni del Paese); l'esigenza di una fascia di sicurezza; il legame speciale con la diaspora Tutsi; (e aggiungerei: l'appoggio degli Usa. Attenzione alle differenze. Chi fornirà al Ruanda le istituzioni democratiche necessarie a controllare l'operato del governo? Chi metterà la diaspora Tutsi al riparo dall'ombra sinistra di collusione con crimini commessi dall'estremismo Tutsi saldamente al potere nel confinante Burundi? E' una semplificazione quella del filosofo francese Finkielkraut, citato dalla Spinelli, che stigmatizza Médecins sans Frontières per avere messo «il giuramento di Ippocrate in sintonia con il Villaggio Globale». Ma senza gli umanitari e i media, chi sarebbe testimone delle grandi tragedie contemporanee? Discettino pure gli intellettuali e facciano il loro lavoro critico. I politici facciano il loro. Io faccio il mio, assieme agli operatori umanitari, sul terreno. E continuerò a gridare in difesa dei valori della persona, convinta come sono che salvare vite umane non sia un fatto marginale. Non ne faccio un vanto: è il mandato che mi è stato affidato e che intendo svolgere applicando le convenzioni vigenti sul diritto umanitario internazionale. Emma Bonino commissaria europea per gli Aiuti Umanitari Risponde Barbara Spinelli: Nel mio articolo non mettevo in causa tanto l'azione di Emma Bonino, quanto la politica del governo francese e del Vaticano durante la crisi dello Zaire: politica assai solerte per quanto riguarda l'intervento degli occidentali, ma che si ostina a tacere su un genocidio - quello perpe- trato nel '94 dalle milizie hutu sulle popolazioni tutsi - nel quale furono assai grandi sia le responsabilità di Parigi, sia le responsabilità delle alte gerarchie cattoliche in Ruanda. Le associazioni umanitarie presenti in Zaire si son ben guardate dal denunciare l'ambiguità estrema di tale politica, come si son guar¬ date dal denunciare le aggressioni subite dalle popolazioni tutsi nello Zaire, e la dittatura esercitata dai miliziani hutu sui campi profughi. Forse in passato i militanti dell'umanitario hanno denunciato la «cultura dell'impunità» - come ricorda Emma Bonino - ma non si sono battuti perché i caporali dei campi venissero disarmati, e separati dai profughi. Nell'emergenza delle ultime settimane si sono poi concentrati su altre cose: hanno preferito criticare genericamente il non intervento degli occidentali, e soprattutto la strategia americana che non senza ragione - secondo il mio parere - ha atteso che i campi venissero infine liberati dai tutsi. Il rientro dei profughi hutu in Ruanda ha chiarito i veri rapporti di forza dentro i campi dello Zaire, e il terrore che in essi regnava prima che le milizie Interahamwe hutu venissero sgominate militarmente. Le semplificazioni non sono dunque mie, ma di chi dimentica le connessioni storiche degli eventi, di chi ignora certe somiglianze evidenti tra la storia di Israele e quella del genocidio ruandese, e di chi trascura inoltre i rapporti non sempre facili, armonici, tra tutsi del Ruanda e tutsi del Burundi. Ben vengano dunque gli aiuti umanitari e gli interventi occidentali, purché non insistano a perpetuare l'esistenza dei campi profughi come hanno fatto per anni (il 99,9 per cento degli aiuti occidentali al Ruanda è andato al mantenimento dei campi in questione) e si concentrino piuttosto sulle strutture atte a facilitare il ritorno degli hutu in Ruanda. Ben vengano i soccorsi, se contribuiranno a consolidare la democrazia e l'integrazione etnica in Ruanda, se permetteranno la consegna dei responsabili del genocidio alla giustizia internazionale, se rafforzeranno finanziariamente il Tribunale di Arusha sui crimini contro l'umanità. Se aiuteranno una buona volta le nazioni africane a smettere l'abito degli assistiti e a prendere finalmente in mano il proprio destino. Cosa che hanno dimostrato di voler fare e di saper fare, da quando i profughi hanno cominciato - da qualche giorno - a tornare a casa. «Ritirarsi, Bixio? Ma dove?» Comprendo pienamente e condivido ciò che ha scritto un lettore di Catania (La Stampa del 14 novembre) in quanto mi sembra molto utile il patriottismo italiano in questi tempi in cui si pària e si scrive di «secessione». Ottimo l'accenno a Garibaldi; tuttavia, stando a certe fonti storiche, può meritare una piccola modificazione che nulla toglie alla grandezza dell'epopea dei Mille. Pare che l'Eroe dei due Mondi abbia, almeno inizialmente, risposto a Nino Bixio che consigliava un ripiegamento: «Ritirarsi, Bixio? Ma dove?». Dopo può aver pronunciato la famosa frase sul fare l'Italia o perire. dott. Teresio Raineri Pinerolo Traduzioni arbitrarie da inglese e francese In un brillante articolo a firma di Carla Cardano, su Tuttoscienze di mercoledì 13 novembre, trovo la denuncia di alcune arbitrarie traduzioni dall'inglese (per es., «silicone» da silicon che significa «silicio»; «mitrogeno» da mitrigen che significa «azoto»), e ne traggo motivo per segnalare altrettanto arbitrarie e usuali traduzioni dal francese: per es.: «legge-quadro da loi-cadre («legge-cornice»), «cortina di ferro» da rideau de fer («saracinesca»); «caschi blu» da casque bleus («elmi blu»); e l'elenco potrebbe continuare. Marco Boscarelli Piacenza Napolitano: i miei versamenti Irpeff La Stampa di sabato 16 novembre ha pubblicato a pagina 2 i redditi dei ministri non parlamentari relativi all'anno di imposta 1995, specificando l'imponibile dichiarato e l'Irpef pagata. Poiché per quanto mi riguarda viene pubblicato l'imponibile dichiarato, ma non l'Irpef pagata, gradirei che venisse specificato che l'Irpef da me versata ammonta a L. 104 milioni 567 mila lire, come risulta dalla documentazione presentata a norma di legge. Giorgio Napolitano, Roma ministro dell'Interno