«L'antidoto alla fame si chiama democrazia» di Luigi Grassia

1MPHHI1 1MPHHI1 IL TEORICO INDIANO DELLO SVILUPPO «L'antidoto alla fame si chiama democrazia» AROMA MARTYA Sen è fra i massimi esperti mondiali di problemi dello sviluppo. Nato in India, insegna a Harvard dove ha una doppia cattedra di economia e filosofia morale. Professor Sen, sembra che la fame ai nostri giorni sia legata più a situazioni locali di caos politico tipo Zaire che a problemi di produzione. Sarebbe corretto dire che la denutrizione, globalmente, è in regresso? «Sul lungo termine e ragionando in termini planetari, è vero, la fame non sta vincendo. E' difficile calcolare quante persone siano denutrite nel mondo. Ma vaiie stime indipendenti le danno in lieve diminuzione. Io sono un nemico di certo pessimismo di maniera, che porta troppi a dire "va tutto male, non c'è niente da fare". E' un errore di atteggiamento che induce alla rassegnazione, e un errore di fatto». Quindi l'obiettivo del meeting della Fao - dimezzare la fame nel mondo nell'arco di una generazione - non è la solita utopia? «Assolutamente no. E' un programma realistico, se si adottano le corrette politiche». Lei divenne famoso tanti anni fa per i suoi studi sulle grandi carestie nel suo Paese. Allora India era sinonimo di fame. Adesso è sempre un Paese povero, ma in forte sviluppo e le carestie sono solo un ricordo. Un esempio e una speranza per il resto del Terzo Mondo? «L'India non ha più conosciuto morie di massa per fame da quando è indipendente. Le carestie sono facili da prevenire, purché le autorità siano pronte a muoversi. Se non ci sono difficoltà supplementari, come una guerra civile che impedisce di comprare cibo fuori area, è solo un problema di potere di acqui- sto da integrare. Per esempio quando ci fu un grave deficit aumentare nel Maharashtra nel 1973, il governo indiano assunse in quello Stato, tutti in una volta, 6 milioni di contadini rimasti senza raccolto a causa delle siccità. Furono impiegati per qualche mese nella costruzione di strade, pozzi e altre infrastrutture. Le paghe erano bassissime, ma la fame fu evitata. Cose del genere facevano anche gli inglesi, ma allora non c'era una gran pressione politica per realizzarle. Da quando invece l'India si è ritrovata indipendente e democratica, i vari governi hanno sentito la pressione di un'opinione pubblica che non potevano ignorare, se volevano vincere le elezioni successive. Perciò si può dire che l'India ha sconfitto la fame grazie alla democrazia». Questo per quel che riguardale emergenze. Ma quanto alla fame come problema strutturale? «Negli ultimi venti o trent'anni la produzione agricola prò capite è aumentata in India di un terzo. Il risultato è dovuto soprattutto alla cosiddetta "rivoluzione verde": l'introduzione di nuove varietà, l'irrigazione e il massiccio impiego di fertilizzanti e antiparassitari con adeguati investimenti finanziari. Una indicazione basilare anche per gli altri Paesi in via di sviluppo. Ma aumentare la produzione non basta. Se la denutrizione deriva da un deficit di reddito, non solo di cibo, per combatterla bisogna anche favorire lo sviluppo economico generale: industria e servizi inclusi, per accrescere la ricchezza complessiva. E soprattutto fare in modo che i benefici di questo sviluppo siano largamente condivisi e non si concentrino in poche mani». Gli ecologisti denunciano che la rivoluzione verde è costata un prezzo troppo alto in termini di inquina¬ mento. E dicono che comunque la crescita della produzione agricola non può continuare all'infinito. .'Fertilizzanti e antiparassitari inquinano, ma meno delle attività industriali. Insomma sono un problema ma non certo il problema numero uno. E la maggior parte dei suoli ha ancora un ampio margine di incremento della produttività. Il pianeta potrebbe arrivare a nutrire anche 13 o 14 miliardi di abitanti». Secondo lei una rapida crescita demografica non è di ostacolo allo sviluppo? «E' innegabile che lo sia. Ma non va presa in considerazione come elemento isolato. Agire su questa sola leva non è efficace. La riduzione delle nascite si ottiene con lo sviluppo delle persone, diffondendo l'istruzione di base e la consapevolezza sulle questioni della salute, e promuovendo i diritti delle donne». Questo sembrerebbe richiedere, per lo meno, che le autorità religiose non facciano attiva opposizione non si dice alla propaganda, ma alla mera informazione sulle pratiche anticoncezionali. Lei che ne pensa? «Non sono un teologo. Le autorità religiose decidono quello che decidono, e io non commento». Luigi Grassia L'economista Sen «Solo la pressione degli elettori spinge i governi ad agire» «Con la "rivoluzione verde" il pianeta può nutrire 13 o 14 miliardi di abitanti»

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