Dall'Autoparco nuovi veleni su Tonino

Borrelli: per ora nessun avviso ma mi avvalgo della facoltà di non rispondere Il procuratore capo Tarquini: con Cardino un incontro profìcuo, dobbiamo lavorare in pool Dall'Autoparco nuovi veleni su Tonino E Brescia indaga sulle dichiarazioni di un pentito BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO Alle 20 e 10 due Croma bianche con lampeggiante blu entrano a palazzo di giustizia di ritorno da Sarzana. Il procuratore capo Giancarlo Tarquini, che ha guidato la delegazione dei pm bresciani alla riunione con il magistrato spezzino Alberto Cardino, è di poche parole: «E' stato un incontro proficuo». Poi accenna alla necessità di lavorare in pool per la «suddivisione del caso che stiamo trattando». Vero. Perché qui a Brescia, ogni giorno che passa, l'inchiesta Di Pietro 2 si arricchisce di nuovi capitoli, di nuovi filoni d'indagine. L'ultimo arriva pochi giorni fa da Bologna, dove per l'inchiesta sulla Uno Bianca è finita una delle tranche dell'indagine sull'Autoparco della mafia di via Salomone. E' l'autoparco di Giovanni Salesi, dei veleni sui magistrati di Milano, quello su cui indagava il Gico di Firenze. Il rapporto, oltre 200 pagine, datato 1995, porta la firma di Giuseppe Autuori, il comandante dei Gico di Firenze, trasferito lunedì scorso a Bologna. Il contenuto è esplosivo. Tornano nuovamente in ballo le accuse di un pentito che punta il dito sui magistrati di Milano, si accendono nuovi sospetti sulle «coperture giudiziarie di cui godevano a Milano» i frequentatori dell'Autoparco. Nomi - si sa - ne sono girati parecchi in questi anni. Tra loro i magistrati più impegnati contro la criminalità organizzata, da Francesco Di Maggio ad Alberto Nobili, da Armando Spataro e Piercamillo Davigo. Più Antonio Di Pietro, commissario di polizia al 4° distretto, prima di diventare pubblico ministero. Un'indagine su Nobili era già stata aperta a Brescia, ma era finita con l'archiviazione nel giugno '94. Adesso l'arrivo del nuovo fascicolo, affidato a Silvio Bonfigli, che fa ri- partire le indagini al palazzo di giustizia di via Moretto. «E' necessario lavorare in pool», ripete il procuratore capo Tarquini. Sul suo tavolo ci sono altre indagini. C'è quella che arriva da La Spezia - carte e iscrizione nel registro degli indagati per concussione e corruzione - su Antonio Di Pietro. La vicenda - che ha portato alle dimissioni da ministro dell'ex magistrato che nega ogni sospetto - è quella nata dall'intercettazione telefonica di «Chicchi» Pacini Battatglia. Che al suo amico Marcello Petrelli, diceva: «Quei due mi hanno sbancato...». L'altro dei «due» è l'avvocato Giuseppe Lucibello, amico di Di Pietro, pure lui nel registro degli indagati, prima a la Spezia, adesso qui a Brescia. Ma le inchieste al palazzo di giustizia di via Moretto che toccano magistrati - o ex - di Milano non sono finite qui. Ce n'è una che riguarda il pool quasi al completo - Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D'Ambrosio, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e l'ex gip ora al Csm Italo Ghitti - più Antonio Di Pietro, all'epoca ancora magistrato. L'iscrizione del pool nel registro degli indagati per abuso d'uffico nasce da una segnalazione del gip romano Maurizio Pacioni, giudice preliminare nell'inchiesta Intermetro. Che il 4 novembre ha scritto ai suoi colleghi di Brescia, chiedendo di verificare l'esistenza di «reati perseguibili d'ufficio a carico di magistrati appartenenti alla procura della Repubblica di Milano». La vicenda riguarda l'archiviazione chiesta dai pm e accolta dal gip Ghitti - da qui la loro iscrizione a modello 21 - sulla cessione di un appartamento a Roma in via Buozzi - valore 2 miliardi e 400 milioni - da Ugo Montevecchi della Fiat Impresit, impegnata negli appalti per la metropolitana di Roma, a Gv rgio Moschetti, parlamentare de. L'appartamento sarebbe poi finito a Filippo Dinacci, figlio del capo degli ispettori ministeriali Ugo Dinacci, che però precisa: «Quell'appartamento mi venne proposto da Moschetti che era mio cliente, ma poi decisi di lasciar perdere». Nell'esposto denuncia il gip di Roma Pacioni ricorda che l'indagine venne aperta a Milano il 7 giugno '93 e chiusa un anno dopo, con l'archiviazione. Secondo il gip di Roma, Milano non aveva alcun titolo per indagare, né per archiviare. Visto che tutti gli atti di Intermetro finiranno poi a Roma per competenza. Di più. Davanti al pm romano Francesco Misiani, successivamente, il top manager della Fiat Ugo Montevecchi denuncia di essere stato costretto a dare l'appartamento a Moschetti, dietro la minaccia di tagliar fuori l'azienda da tutti gli appalti per la metropolitana della capitale. Misiani chiede informazioni ai suoi colleghi del pool, ma non ottiene risposte. Fino al 4 novembre di quest'anno. Quando il gip Pacioni decide di segnalare il caso alla procura di Brescia. Fabio Potetti Borrelli: per ora nessun avviso ma mi avvalgo della facoltà di non rispondere Il sostituto procuratore milanese Piercamillo Davigo A destra: il procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini