Il cavallo che Leonardo sognava

Il cavallo che Leonardo sognava Il cavallo che Leonardo sognava Un progetto ora realizzato in America ALLA Ime del 1400 Lodovico il Moro aveva iniziato la raccolta di una grossa quantità di bronzo che doveva servire per un grande monumento equestre a Francesco Sforza commissionato a Leonardo da Vinci. Purtroppo, per le complicazioni politiche legate alla discesa di Carlo Vili in Italia, quel bronzo venne usato per fare cannoni; e del monumento non si parlò più. Per Leonardo che aveva già allestito il «modello» del cavallo, ossia il simulacro in creta e stucco dal quale ricavare la «forma» in terra refrattaria entro cui versare il metallo liquido - si trattò, forse, del più cocente rammarico della sua laboriosissima esistenza. Egli si era adattato di buon grado a progettare nuovi metodi per la fusione delle artiglierie, delle campane e di oggetti ornamentali; ma aveva la dichiarata ambizione di cimentarsi in opere di grande difficoltà tecnica e di notevole rilievo artistico. In un'epoca in cui gli artefici delle statue in bronzo avevano nomi come Donatello, Pollaiolo, Ghiberti - e con un maestro che era Andrea Verrocchio - ci sembra comprensibile che egli volesse essere non un seguace ma un innovatore. Si era preparato, dunque, con la sistematica razionalità dello scienziato, iniziando dallo studio dell'anatomia equina; aveva dedicato molto tempo ad analizzare le proprietà dei metalli e dei combustibili; aveva progettato nuovi forni; aveva consultato esperti come Francesco Martini e Giuliano Sangallo, dai quali - come testimonia il Vasari - «parlando esso Leonardo del getto che far voleva del suo cavallo, n'ebbe buonissimi documenti». Il riferimento al cavallo si deve al fatto che la fusione del destriero era l'impresa più difficile; tanto più in quanto le dimensioni del «getto» (oltre 7 metri di altezza) non avevano precedenti. I punti-chiave della fusione erano le parti periferiche - testa, collo e zampe - essendo difficile fare scorrere il metallo in zone sottili senza interruzioni di flusso per solidificazione prematura. Per questo spesso si preferiva fondere i cavalli in più parti che venivano poi saldate insieme (è il caso dei cavalli di San Marco, a Venezia). Ma gli artisti di vaglia tendevano a fare un «getto» unico, fondendo a parte la sola coda. La riuscita di queste opere era tanto significativa da riverberarsi sul nome stesso dell'esecutore, come avvenne, ad esempio, per «Niccolò del Cavallo» (Niccolò di Giovanni Baroncelli) e per «Alessandro del Cavallo» (Alessandro Leopardi che, morto il Verrocchio, portò a termine la statua del Colleoni). Leonardo elaborò una serie di progetti, in particolare per il posizionamento della «forma». Nel codice di Madrid II si legge: «Adj 20 de decembre 1493 conchiudo gettare il cavallo senza coda ed a giacere»; ma in altri appunti la «forma» era prevista rovesciata, con le zampe in alto. Di fatto, la posizione era di basilare importanza per la riuscita del «getto», così come determinanti erano il numero e la posizione dei forni. Nella soluzione del cavallo coricato, erano previsti tre forni: uno davanti al petto, uno a fianco della groppa, uno dietro le natiche. Con il cavallo rovesciato, un forno andava messo vicino alla testa, uno all'attacco della coda, due lungo i fianchi. Uno dei problemi più difficili era quello di ottenere, nei vari forni, la stessa giusta temperatu-

Persone citate: Alessandro Leopardi, Andrea Verrocchio, Colleoni, Francesco Martini, Francesco Sforza, Ghiberti, Giovanni Baroncelli, Giuliano Sangallo, Leonardo Da Vinci, Vasari

Luoghi citati: America, Italia, Madrid, Venezia