Il partito dei frenatori scommette sui ritardi di Massimo Giannini

Il partito dei frenatori scommette sui ritardi LA GUERRA DELLE CESSIONI Il partito dei frenatori scommette sui ritardi SROMA E l'avesse sentito parlare al telefono l'altro ieri, poco prima di partire per New York, Thomas Harris gli avrebbe dedicato un capitolo nel Silenzio degli innocenti, all'intramontabile Biagione Agnes. Che si lamentava, di queste voci che lo vogliono finito: «Corvi, sono solo corvi che gracchiano, perché ci immaginano in agonia, ma si sbagliano...». Se invece Giuseppe Prezzolini avesse visto Carlo De Benedetti quasi all'alba dello stesso giorno, l'avrebbe assoldato subito nel suo partito degli «apoti». Perché l'Ingegnere, appena uscito da una serie di incontri nei Palazzi romani, era tra quelli che non l'hanno bevuta per niente, la promessa della privatizzazione della nuova SuperStet nell'autunno del '97. «Scommetto una bottiglia di Barolo che entro fine anno il governo non ce la farà...», pare sia stato il suo fosco vaticinio. Tra queste due immagini, Agnes che resiste, e De Benedetti che fiuta l'aria e sente odore di palude, si riassume oggi il «caso Stet». Dopo l'importante svolta «tecnica» di lunedì scorso a Bruxelles, con l'annuncio congiunto di Ciampi e Van Miert sulla maxi-fusione Stet-Telecom, come era prevedibile si acuiscono le irrisolte frizioni politiche sulla privatizzazione. Il governo ci mette del suo, con un bel po' di improvvisazione. Prendete il caso Tim, deflagrato ieri pomeriggio alla Camera, con un ministro delle Poste autorevolissimo come Maccanico che annuncia il probabile coinvolgimento nell'operazione anche del colosso dei telefonini Tim, il sottosegretario Micheli che lo smentisce mezz'ora dopo, e un altro sottosegretario, Lauria, che a fine serata tenta l'impossibile, provando a rimettere insieme i cocci con un comunicato che, invece di chiarimenti, gronda di imbarazzi. Un bel quadretto, che ai piani alti di Telecom Italia, dov'è arroccato Francesco Chirichigno, ieri sera veniva descritto così: «Qui dalla fusione si passa alla confusione...». Ma comunque, al di là di qualche tributo da pagare al dilettantismo della compagine, il partito degli «apoti» alla Do Benedetti si fa forte di una percezione più grave, ma reale: non si vede ancora una determinazione sufficiente a vincere tutte le resistenze e ad andare alla stretta finale sulla cessione Stet. Il problema è politico, ovviamente, ed è poi la solita Rifondazione comunista: ieri ci ha pensato Nerio Nesi a rilanciare il vecchio ukase susloviano: «Noi non cambiamo idea, nelle telecomunicazioni lo Stato non deve scendere sotto il 51%». E' stato un modo di applicare anche alle privatizzazioni la regola che il leader Fausto Bertinotti ha già teorizzato sulla Finanziaria: «Siamo al gioco dell'oca, per fare un passo avanti ne dobbiamo fare due indietro...». E allora: l'altro ieri Rifondazione aveva fatto un passo avanti, applaudendo la fusione Stet-Telecom. Ieri, tanto per rimescolare i dadi, ne ha fatti due indietro, richiedendo che la maggioranza della SuperStet resti in mano pubblica. Diversivi tattici, ma inquadrati in una strategia precisa per i postcomunisti: accrescere il proprio «potere di coalizione», educare il governo alla logica del ricatto, tenere sulla graticola D'Alema. Solito schema di gioco, insomma, che vale per il Dpef come per le privatizzazioni. Sulle quali Prodi resta fermo un altro turno, mentre il Ghino di Oxford taglia un traguardo intermedio. «In fondo - ripete in questi giorni Bertinotti, tra una "vasca" e l'altra in Transatlantico - per la Stet abbiamo ottenuto quello che volevamo: è stata rinviata la vendita prevista per febbraio/marzo, che era diventata un capestro. Questo ci consente di convincere il governo ad indicare un percorso più chiaro per i prossimi mesi. Perché si ricordi, noi non siamo contro le privatizzazioni tout court, pensi alla nostra linea sui Monopoli, ma chiediamo che prima di vendere il governo si dia una politica industriale, che faccia come il Miti in Giappone, e soprattutto che lo Stato mantenga saldo il suo presidio nei settori strategici». L'impressione, cioè, è che Bertinotti non tirerà la corda fino a romperla, almeno sulle vendite di Stato. Ma ne farà oggetto di oneroso mercanteggiamento politico con il governo, ben consapevole del fatto che Prodi (terrorizzato dal fantasma delle larghe intese) a sua volta starà al gioco e accetterà lo «scambio». Quindi - al di là degli aspetti tecnici che ancora il governo non ha chiarito sulle modalità di fusione tra Stet e Telecom, sul destino delle altre controllate tipo Tim, sulla successiva privatizzazione della nuova società e infine sul destino dell'Iri - nei prossimi mesi assisteremo al perpetuarsi dell'onnai collaudato gioco dell'oca tra Rifondazione e governo, su tutti i fronti aperti dell'affare Stet. Intanto sul disegno di legge sull'Authority, dove i tentativi affannosi che Maccanico sta facendo per strappare il compromesso al Polo sulla parte tv del provvedimento rischiano di essere frustrati dal filibustering bertinottiano. Poi sulla nuova legge che il governo dovrà varare - come ha confermato ieri anche il ministro dell'Industria Bersani - per rendere possibile il passaggio delle azioni Stet direttamente dall'Iri al Tesoro. E poi infine sulla golden share, che con buona pace della linea liberista voluta dal commissario europeo Mario Monti, Rifondazione vuole in- vece pesante. Anzi pesantissima. «Questa estate - raccontava in questi giorni il senatore progressista Franco Debenedetti - Ciampi mi ha spiegato uno dei diktat di Bertinotti: secondo lui deve essere scritto nella golden share che la telefonia mobile di Tim non potrà essere ceduta...». E' solo un esempio, che però anticipa il probabilissimo tira e molla dei prossimi mesi. Anche perché il governo, nonostante l'importante blitz di Bruxelles, continua a tenere le sue carte coperte, forse perché le sta ancora sfilando lui stesso. Questo non aiuta, innervosisce i mercati (vedi la pessima reazione della Borsa di ieri alla gaffe interministeriale sulla Tini). E soprattutto, appesantisce il clima di incertezza politica su tutta l'operazione. Che impensierirà pure il partito degli «apoti», ma della quale invece non si duole un altro «partito», quello dei boiardi, che le privatizzazioni non le beve per la ragione opposta. Anzi, superato lo choc dell'annuncio a sorpresa di Ciampi, i manager pubblici cominciano a fare virtù dell'incertezza. Prendete il più importante, e ingombrante, di costoro, quell'Eroestone Pascale che si vorrebbe in disgrazia presso Prodi, snobbato da Ciampi, nel mirino di D'Alema: nel suo viavai con Milano, l'amministratore delegato della Stet in questi giorni ricorda un aneddoto che gli è caro: «Sapete quando entrai nelle telecomunicazioni di Stato? Negli Anni 50, avevo poco più di 20 anni, e indovinate su cosa mi misero a lavorare? Sul problema dello spezzatino telefonico...». Come dire, se ne discute da 40 anni, volete che mi preoccupino i prossimi mesi? Anche perché la procedura per arrivare alla fusione prima, alla privatizzazione poi, sarà tecnicamente assai lunga. Lo sa bene lo stesso Agnes, inossidabile navigatore delle PpSs, tutt'altro che in disanno: «E' vero, l'annuncio di Ciampi ci ha colpito, non ne sapevamo niente noi, non ne sapeva niente Tiri. Comunque è un'operazione che durerà ancora molti mesi, tra la scelta dei periti, i concambi, la fusione, il rinnovo di tutti i eda, noi siamo pure quotati a Wall Street. E poi l'avete sentito Prodi da Vespa? "I vertici Stet, ha detto, li ho già rinnovati sei mesi fa". Anche le frasi di D'Alema al Mondo sono state forzate. La privatizzazione seive, ma ci vorrà tempo». Nel frattempo? Nel frattempo tutti, frenatori politici e grands coìnmis resistenti, faranno il loro gioco dell'Oca al tavolo delle privatizzazioni. Alla faccia di Van Miert, che un «big» del pianeta Iri, ancora ieri sera, definiva la «nostra bestia nera». In realtà, e a ragione, forse un «apota» anche lui. Massimo Giannini De Benedetti: «Prodi non ce la farà entro fine '97. Mi gioco una bottiglia di Barolo» Tra i manager pubblici circola una battuta «Qui dalla fusione si va alla confusione»

Luoghi citati: Barolo, Bruxelles, Giappone, Milano, New York, Oxford