Sfruttato il re del Grand Hotel

Il commendatore aveva cominciato la carriera come sguattero al Waldorf Astoria DA PADRONE A OSPITE Rimini: Pietro Arpesella, 89 anni, costretto a lasciare la gestione dell'albergo Sfruttato il re del Grand Hotel 77 tribunale insedia un custode giudiziario ALLE otto in punto il commendator Pietro Arpesella, di anni 89, si è vestito per andare a combattere. Fedele alla linea, ha indossato il doppiopetto color nocciola che lo vegliava dal servo muto, camicia chiara, cravatta a fiori. Ai piedi, scarpe di coccodrillo. Si è spruzzato un'aureola di acqua di Colonia, ha ripristinato l'arcata metallica dei capelli che sfida le leggi della fisica c dell'età, inforcato le lenti che gli raccontano il mondo e via: all'assalto, giù per gli scaloni del Grand Hotel di Rimini con passo marziale e pensieri pugnaci. Due ore dopo già batteva in 1 itirata, ma strategica, dichiarando, come si conviene, ch'era perduta la battaglia, ma non la guerra; riparando nella sua stanza personale nella quale, da oggi, potrebbe essere considerato un comune cliente e richiesto di pagare il conto, lui che da oltre 40 anni custodisce le chiavi del Grand Hotel e i segreti delle sue stanze. Sconfitto, almeno per un giorno, da un atto giudiziario di sequestro, sventolato dal giudiziario custode, geometra Gatti Ilario da Brescia, in nome e per conto del vero nemico di Arpesella: l'industriale Facchi Andrea, origini bresciane e residenza a San Marino, di anni 80. E allora questa vicenda che i più raccontano come una disfida finanziaria, con scalate societarie, quote azionarie che passano di mano, consigli d'amministrazione che deliberano, collegi sindacali che comprovano, tribunali che prendono atto e ribadiscono, istituti di credito che appoggiano, rivela la sua vera natura: è una gerontomachia, un duello all'ultimo sospiro, la resa dei conti tra due uomini della stessa generazione, uno dei quali si è adeguato ai modi di quelle successive, mentre l'altro ha scelto quelle precedenti. Il fatto che tutto questo accada nel presente è un puro incidente della storia, gabbata dalla letteratura, giacché di personaggi letterari, assai più che reali, si tratta. Per narrare di Andrea Facchi ci vorrebbe Aldo Busi, che forse l'ha già fatto in «Vita standard di un venditore provvisorio di collant», raccontando il prototipo di un industriale lombardo nel quale Facchi può ben riconoscersi, con la sua fabbrica di cosmetici (Innoxa), le sue acquisizioni in Riviera (dove, da ultimo, ha comprato una villa del '700), il suo progetto di prendersi anche il Grand Hotel e inserirlo in una catena di cliniche contro l'invecchiamento, dorate vasche dove immergere uomini ai quali restino più milioni che giorni, cospargendoli di dolci olii e salate illusioni. Con i suoi modi che qualcuno abituato alla gestione Arpesella ha già definito «soavi come carta vetrata». Per raccontare il commendatore, invece, non c'è bisogno di uno scrittore. Basta che chiunque l'abbia conosciuto ti si sieda davanti. Tu gli chiedi: ma chi è questo Arpesella? E lui ti legge il romanzo: il commendatore è nato a Romito, che lui definisce «il paese più brutto della Liguria», anche se a pochi minuti c'è il golfo del Tigullio «che ti apre il cuore come un profumo». Da lì vedeva il mare e siccome da bambino prendeva tutto quel che vedeva, un giorno ha preso anche il mare: si è imbarcato come mozzo su una nave e via verso l'America. Quando è sbarcato ha fatto lo sguattero al Waldorf Astoria. Un giorno disse al cuoco, mentre raschiava un tegame: «Vedrai, verrà il tempo che me ne compro uno anch'io». Di tegami, credeva il cuoco. Di grandi alberghi, pensava Arpesella. Poi tomo indietro sul transatalantico, ingaggiato nell'orchestrina, alla Berlusconi. Approdò e andò a fare il ballerino nei night intorno a Bologna, poi l'agricoltore nelle piane di Mantova. Il mare lo riprese durante la guerra, quando salvò due generali inglesi e un gruppo di ebrei trasportandoli su una barca lungo l'Adriatico. Poi decise di fermarsi, in Romagna. Cominciò comprando l'Hotel Mediterraneo a Riccione e firn, nel 1963, staccando un assegno da un milione di dollari per avere le chiavi del Grand Hotel, dove già alloggiava. Passò la notte, racconta, ballando, nei saloni vuoti, ma vedendo ai ta¬ voli i fantasmi di tutti quelli che si erano seduti: dal Duca degli Abruzzi al Gran Visir, da Enrico Caruso a Guglielmo Marconi. Vedendo, «nelle terrazze inondate dalla luce dove lo scontento e l'inquietudine si placano nel fox-trot», gli spettri di tutte le donne che avevano volteggiato lì, condannate dal giornale della curia perché mettevano allo scoperto «lo stretto di Messina»; togliendo per l'ultimo ballo Farah Diba dalle braccia del play-boy Ivo Del Bianco, ormai promesso sposo di un'impiegata delle poste. Da quel momento, ogni felicità e ogni amarezza hanno abitato per lui lì dentro. Il giorno dell'82 in cui dovette cedere a Cultrera, tenendo però la gestione; quello dell'87 in cui suo figlio Marco, coperto di debiti, si sparò (e anche allora, prima di uscire dalla stanza per vederlo, si mise doppiopetto e cravatta); la primavera del '90 in cui pensò di lasciare la mano a Attilio Monti, lui pure al tramonto e andarsene a cercare la luce in Tibet, salvo poi tornare deluso da un viaggio di prova, dopo aver scoperto che «a Katmandu la verità è un esercizio, non una folgorazione come speravo»; l'estate del '93 in cui agonizzò Federico Fellini che a lui solo, al mattino, confidava i sogni della notte. E adesso il commendatore dovrebbe lasciare il Grand Hotel o rimanerci da ospite pagante che combatte l'invecchiamento. Lui assicura che, invece, combatterà Facchi. La storia dirà se questo involucro rococò è un teatrino di ombre galanti o una serra di garofani appassiti. Gabriele Romagnoli Il commendatore aveva cominciato la carriera come sguattero al Waldorf Astoria In quelle stanze ha ospitato vip di tutto il mondo e vissuto drammi personali ddcunpEtvg Pietro Arpesella e II Grand Hotel di Rimini in un disegno di Fellini, che per anni soggiornò nell'albergo L'hotel e due dei tanti ospiti famosi: Lady D. e Caruso