Nel fortino dei disperati «Non lasciamo la chiesa»

Milano: trattative inutili, i 59 extracomunitari hanno rifiutato di trasferirsi in un centro comunale Milano: trattative inutili, i 59 extracomunitari hanno rifiutato di trasferirsi in un centro comunale Nel fortino dei disperati «Non lasciamo la chiesa» MILANO. Un'altra notte al freddo di San Bernardino. Le luci fioche delle candele (elettriche! che restano accese, attorno all'altare, a illuminare appena appena i volti lunghi e stanchi dei cinquantanove disperati, marocchini, tunisini, algerini, qualche albanese, tutti immigrati, tutti con regolare permesso di soggiorno, tutti senza casa. C'è chi dorme sdraiato su una panca, coperto da un vecchio sacco a pelo portato li non si sa da chi. E c'è chi guarda fisso nella penombra, solo, gli occhi lucidi di chi ha un passato duro alle spalle, un presente che non consente illusioni, un futuro ancor più incerto. Lasat, Yuri, Kaled, Amad, per la seconda notte occupanti in una chiesa cattolica. Sono tutti lì a pregare Aliali davanti a un Gesù morto tra le braccia di una Madonna. Occupanti, dicono, per disperazione: «Non sapevano dove andare, dove dormire, dove ripararci dalla pioggia», raccontano. E se il racconto è di parte, come non ascoltarli? Il senso, per loro, è chiaro: avevano una casa, una vecchia palazzina di periferia, in via Pitteri, di propietà del Pio Albergo Trivulzio - quelle di Mario Chiesa, per chi non lo ricordasse - per cinque anni hanno abitato e dormito con poche lire («Gratis», è la denuncia del sindaco Marco Formentini), due giorni fa la polizia li ha sfrattati: il Pio Albergo rivoleva i locali per farne un centro d'assistenza per l'infanzia, la ghinta leghista dai, dai e dai («dopo aver proposto mille soluzioni, tutte rifiutate», fanno sapere dall'assessorato all'assistenzal ha spedito la polizia. E loro sono finiti in una chiesa del centro, a due passi dalla vecchia Statale, chiesa famosa per essere stata (nel '600, ai tempi della pestilenza descritta dal Manzoni) il cimitero degli appestati e per essere (oggi) uno dei luoghi meno frequentati, per via di quelle leggende at- torno ai crani e alle tibie che fanno mostra di sé nell'ossario, dai milanesi. Tutti e 59 lì, con la forza e la testardaggine di clu ha nulla da perdere e tutto da guadagnare dall'eco di un'occupazione che vuol somigliare a quella, troppo famosa, dell'agosto scorso a Parigi. Lo dicono e lo ripetono Lasat, Yuri, Kaled, Amad: «Siamo qtii, in chiesa, come i nostri fratelli di Parigi». E con loro gli altri disperati, chissà perché convinti - loro che un documento almeno ce l'hanno - di essere come quei 200 «sans-papìers», senza documenti, parigini cacciati dalla polizia assieme ai bimbi, alle donne incinte, alla gente che solidarizzava con loro dalla chiesa di Saint-Bernard. Saint-Bemard-Parigi. San Bernardino alle ossa-Milano. Stesso nome, stesso santo. Storie diverse. Già, perché se la disperazione degli immigrati extracomunitari è la medesima, a Milano come a Parigi, diversa, molto diversa è la situazione. «Guai a tracciare un simile parallelismo», mette in guardia un po' tutto lo schieramento della solidarietà, dalle Acli alla Caritas, dalla sinistra moderata ai sindacati. Da Antonio Panzeri, segretario generale della Cgil milanese, a don Virginio Colmegna, direttore della Caritas ambrosiana, tutti d'accordo nell'evitare preoccupanti enfatizzazioni. «Non servono a nessuno se non a chi vuole radicalizzare la situazione», ripetono alle Acli. E i riferimenti sono diretti: da una parte la Lega e il sindaco Formentini che da sempre perseguono la linea della chiusura dei centri di accoglienza, non a caso i primi a esultare per lo sgombero della casa di via Pitteri («C'è un limite alla prevaricazione e alla mancanza di rispetto per le regole di una città e dei suoi cittadini»), dall'altra i centri sociali, il Leonkavallo, la sinistra rivoluzionaria. Un nuovo braccio di ferro Lega-sinistra che, nonostante i tentativi di mediazione di molti, dalla Caritas a Rifondazione, per ora sembra senza sbocchi: seconda notte di occupazione dopo l'incontro tra assessore all'Assistenza e tuia delegazione dei 59 finito con la disponibilità dichiarata dal Comune ad accogliere temporaneamente, in attesa di una soluzione a più lungo termine, i disperati di San Bernardino o nell'antico dormitorio di via¬ le Ortles o nella sede della protezione civile di via Barzaghi. «Vogliamo ima casa, anche da ristrutturare, ma un tetto vero, non un posto letto dalle 7 di sera alle 7 di mattina». Arriva dopo una giornata convulsa il no all'ultima mediazione. I 59 si riuniscono in assemblea nell'angolo a destra dell'altare, proprio sotto il pulpito di legno. C'è da decidere. Accettare l'offerta del Comune, un posto in via Ortles o in via Barzaghi, o tener duro? «Se ce ne andiamo via, se accettiamo queste proposte temporanee tra qualche settimana o tra qualche mese ci ritroveremo per strada», urla Mordi, un omone grande con in testa un cappello di lana blu e bianca. Quasi piange. Lui era venuto a Milano sei anni fa dal Marocco passando dalla Francia, in cerca di la- voro, di un futuro per lui e per i fratelli. «Ho trovato - racconta - un lavoro da muratore, poi uno da imbianchino, poi un altro da cameriere, settecento, a volte un milione al mese, ero contento, poi ho trovato una stanza in via Pitteri e adesso come faccio a dire a casa che dormo in un letto a castello?». Ha la sua dignità, Mordi. Fuori quelli della sinistra rivoluzionaria, del Leonkavallo, del partito umanista stendono i loro striscioni e improvvisano un comizio in piazza: li seguono in pochi, colpa della pioggia forse, ma anche disinteresse, noia, apatia, irritazione di chi da lontano commenta: «Ma cosa vogliono? Lo sanno, loro, che cosa accadrebbe se uno di noi andasse a occupare una moschea?». No, non è Parigi, Milano. Là c'era la solidarietà, attrici e registi pronti a mobilitarsi, un intero quartiere al fianco dei «sans papiers». Ma qui? Qui poco o nulla. Il tam tam delle radio, l'eco sui giornali, la rabbia dei senza casa nostrani. «Io ho lo sfratto il 23 gennaio, mia moglie Luisa è incinta di otto mesi e non ho un lavoro fisso, ho fatto tutte le richieste possibili ma nessuno finora mi ha risposto», spiega Mario, 30 anni, accorso subito in San Bernardino: «Sono qui per vedere come va a finire, se danno una casa a questi, poi voglio vedere se a me non la danno». Divisioni che covano, nemmeno tanto latenti. E intanto la seconda notte di occupazione si consuma, tra poche speranze. Nella tensione di monsignor Alessandro Mezzanotti, rettore di San Bernardino alle Ossa: «Occupare una chiesa - dice sconsolato - è un atto che qualsiasi società civile deve rifiutare come metodo di pressione...». E nell'ottimismo ecumenico di don Colmegna della Caritas: «Speriamo che la notte porti consiglio». Armando Zeni «Siamo qui, davanti a un altare, come hanno fatto ad agosto i fratelli di Parigi» I centri sociali sostengono la protesta e vanno all'attacco della giunta leghista C'è rabbia fra molti milanesi: «Anche noi siamo sfrattati, ma non facciamo occupazioni» «Non sapevamo dove andare. Siamo in regola e vogliamo una vera casa» IMMIGRATI SENZA UN TETTO PERMESSI DI SOGGIORNO POSTI DISPONIBILI NEI CENTRI DI ACCOGLIENZA MILAN0 34.519 84-0,2% TORINO 10.500 315-3% GEN0VA 2.750 63-2,2% VENEZIA 900 18-2% BOLOGNA 3500 630-18% FIRENZE 6500 215-3,3% ROMA 46.100 550-1,1% NAP0LI 8000 0-0% BARI 4000 0-0% PALERMO 4200 25-0,5% T0TALE 120.969 1900-1,5% Fonle: Osservatono di Milano II sindaco di Milano Marco Formentini. A sinistra, tre extracomunitarì nella chiesa milanese di San Bernardino alle Ossa