« Gardini mi avrebbe salvato »

Duro attacco al pool di Milano «Pensano soltanto al potere» « Gardini mi avrebbe salvato » Cusani a San Vittore: ma io almeno non fuggo A DETENUTO E MILANO NTRA a San Vittore dalla stessa porta da dove era uscito tre anni fa, dopo 5 mesi di carcere. In mano ha un sacchetto di plastica bianca, sulla spalla una grande borsa blu con dentro un pezzo di vita che si porta dietro alle sbarre, sesto raggio, piano terra, cella da dividere con altri detenuti. Inizia così - ore 13 e 43 - la seconda vita da detenuto di Sergio Cusani, il finanziere che fu braccio destro di Raul Gardini e che due sere fa la Cassazione ha deciso che debba tornare in carcere, a scontare una condanna a 4 anni per la vicenda Eni-Sai. «Ma non chiamatemi vittima. Io non sono né vinto né sconfitto definitivamente», ripete Cusani, al mattino, quando si ferma a parlare coi giornalisti a palazzo di giustizia. Dove arriva alle 10 e tutti lo notano mentre si aggira col suo borsone a tracolla per cercare di accelerare le pratiche della carcerazione. «Perché non si può più aspettare, perché lui non è un trampoliere che può vivere a metà, su una gamba sola», spiega Giuliano Spazzali, il suo avvocato. E allora in carcere, dall'ingresso sul retro, via Vico. Con gli agenti di custodia che gli stringono le mani, gli sorridono quasi lo aspettassero. «Voglio andare a San Vittore perché è il carcere della mia città. E poi perché ci sono già stato...», ripete rassegnato Cusani. E annuncia che a fine novembre uscirà un'agenda rossa - «Rossa perché è il colore della copertina», dice - nata proprio all'interno del vecchio carcere di piazza Filangeri. Una cosa sola Sergio Cusani ci tiene a dirla con forza, mentre fuma una dietro l'altra sigarette leggere: «Io non c'entro niente in questa vicenda di Eni-Sai, non sono colpevole. Quando ho fatto qualcosa l'ho detto. E in carcere entro con le spalle diritte». «Se non si fosse suicidato Gardini io non avrei avu¬ to nè carcere nè mi sarebbe stata sequestrata una lira, perchè Gardini avrebbe ricondotto esattamente il mio ruolo nei suoi limiti. Si sarebbe preso lui le responsabilità, come era giusto in quanto capo del gruppo». Cusani promette di voler rivolgersi alla Corte europea a Strasburgo, ma poi, dalle parole del finanziere che Antonio Di Pietro ha cercato di demolire in diretta tv, esce tutta la rabbia contro il pool: «Siamo alla giustizia da Medioevo. La procura ha applicato provvedimenti atipici di grazia e non di giustizia». E poi Cusani rivendica la sua scelta: quella di non essere scappato, di non aver fatto il latitante. «Le mie strade sono diverse da quelle di Bettino Craxi», dice. Oggi. Lui che un tempo era considerato in odor di Garofano, dopo quelle prime esperienze politiche, in testa ai cortei del movimento studentesco ai tempi della Eocconi. Esperienze lontane, ma non del tutto dimenticate. Almeno stando alle parole di Cusani, manette, carcere e da ieri ancora San Vittore. «Ho ritrovato valori che avevo trascurato», dice mentre beve l'acqua minerale che gli porta via la sete e la fatica. «L'ho detto anche a chi mi interrogava: con il passato ho chiuso, questa botta mi ha cambiato. Ho chiuso senza aver ricevuto l'attestato di ravvedimento della procura», spiega Cusani. E quanta fatica gli devono costare queste parole. Lui che negli anni d'oro era sempre accanto a Raul Gardini, morto suicida il 23 luglio '93, lo stesso giorno in cui per Cusani - la prima volta - si aprono le porte di San Vittore. «Sono state morti inutili, non sono servite né a loro né ad altri. La verità non interessa a nessuno, è chiusa nei cassetti dei magistrati. A loro interessa solo la legittimazione del loro potere, sempre e comunque», risponde Cusani, velenoso come non mai. A chi gli chiede se non teme che vada in giudicato anche l'altra sentenza, quella del processo Enimont per cui è già stato condannato anche in appello a sei anni di carcere, ampliando così la sua detenzione, Sergio Cusani risponde con una battuta: «Per me si sono inventati la disconnessione e non la continuazione dei reati, e quindi delle pene». Poi, borsa blu a tracolla, due libri, uno di Giorgio Agamben, l'altro di Friederich Durrenmatt dal titolo «11 giudice e il suo boia», Sergio Cusani saluta, e si infila dietro al portone di ferro del carcere di San Vittore. Fabio Potetti Duro attacco al pool di Milano «Pensano soltanto al potere» Sergio Cusani con i bagagli a Palazzo di Giustizia

Luoghi citati: Milano, Strasburgo