«Processate i mandanti» di Francesco La Licata

Cominciato il processo contro «i macellai» di Cosa Nostra per i mortali attentati di via dei Georgofìli, Roma e Milano «Processate i mandanti» Cominciato il processo contro «i macellai» di Cosa Nostra per i mortali attentati di via dei Georgofìli, Roma e Milano Firenze, rabbia dei parenti delle vittime FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Decine di occhi, curiosi e penetranti, si insinuano tra le sbarre delle gabbie dove siedono quelli che magistratura e pentiti hanno ormai «bollato» come i macellai di Cosa nostra. Occhi di «piccoli cittadini» vanno ad incrociare lo sguardo dei «signori delle stragi»: da una parte i familiari (una cinquantina) di quanti hanno perso la vita a Roma, Firenze e Milano, nel delirio assassino del 1993; dall'altra Totò Riina, Bagarella, i Graviano e la manovalanza che si occupò di trasportare, piazzare e far esplodere il tritolo per comando della «cupola» in quel periodo «smarrita» per la perdita dei vecchi referenti politici e quindi alla ricerca di nuovi «amici». Se non fosse per la presenza di questi «piccoli cittadini», accorsi per invocare giustizia - unico risarcimento possìbile per chi non intende commercializzare gli affetti perduti - eppure sereni e composti malgrado il dolore ancora intatto, non fosse per questa piccola folla, il processo alla strategia stragista di Cosa nostra sarebbe stata pura ritualità. I! solito Riina, più distratto del solito, lo sguardo di pietra di Leoluca Bagarella, l'esordio degli imputati, diciamo, minori, un po' spaesati a confronto del «padrino» che delle aule di giustizia ha fatto il solo contatto con l'esterno. C'è persino il tradizionale imputato in barella che bisognerà accertare se in grado di intendere e volere. Un film già visto. Una moviola che si ripete ormai aU'infinito. Anche l'ansia di giustizia delle parti civili, finisce per essere un remake. C'è Teresa Fiume, che rappresenta i Nencioni (padre madre e due bambine, Nadia e Caterina) morti in via dei Georgofìli insieme col giovane Dario Capolicchio, ricordato ieri in aula da Giovanna Maggiani, madre della fidanzata. Ci sono i parenti di Carlo La Catena, uno dei tre vigili del fuoco rimasti sull'asfalto di via Palestra a Milano. C'è uno dei pompieri sopravvissuti. Invocano «verità e giustizia», ma le loro richieste sembrano riprese di peso da scene di anni fa, quando si aprivano i «grandi processi» della strategia della tensione ma dentro le gabbie non c'erano le menti perverse che avevano seminato lutti e sangue. E non è, quindi, casuale che anche ieri, nell'aula di Santa Verdiana a suo tempo pensata per una provvisoria emergenza terroristica, si sia dato inizio ad un processo contro il terrorismo mafioso, ultima «trovata» della moderna centrale eversiva. Ed anche ieri, dunque, i familiari delle vittime hanno gridato il loro sdegno per l'assenza nelle gabbie dei mandanti. «Ma quale mafia - dice Teresa Fiume - e Cosa nostra. Certo, questi sono i manovali, ma non mi vengano a dire che tutto finisce qui. La storia ci ha insegnato che non è così». «Il tritolo - incalza Giovanna Maggiani - ha sempre coperto indicibile colpe dello Stato. Ogni volta che hanno avuto qualcosa da seppellire lorsignori hanno fatto ricorso alle stragi. Non è certo una novità, questa, per il nostro Paese». Anche Rita La Catena, porta ancora il lutto «stretto», prima ricorda il suo Carlo «morto per fare il suo dovere, cioè dare soccorso», ma poi si abbandona all'amara considerazione: «Ma dove sono gli altri? Quelli che hanno manovrato dal buio?». Simbolo e sintesi di ieri mattina, l'ammissione tra le parti civili dell'«Unione di tutte le associazioni dei familiari vittime per stragi». Dice nulla che tale organizzazione racchiuda praticamente la storia recente d'Italia, da piazza Fontana, a Bologna, ad Ustica ed ora anche Roma, Firenze e Milano? Dice nulla che i dirigenti annuncino un libro che si chiamerà «Il terrorismo e le sue maschere»? Il processo ha preso il via, lentamente. Appaiono stanchi i penalisti, tranne qualcuno come l'avv. Passagnoli di Firenze che nell'apatia generale si aggiudica addirittura la difesa d'ufficio di Bernardo Provenzano, attuale «consigliere delegato» di Cosa nostra, in sostituzione di Totò Riina, come tutti sanno, momentaneamente «impedito». Appaiono stremati gli imputati che, con la loro presenza, devono giustificare le lamentele «per i troppi pro¬ cessi» e la conseguente richiesta di tempo che, però, giocherebbe in favore delle scarcerazioni per decorrenza dei termini. Calmo e pacato il presidente della corte d'assise, Armando Sechi. Immobile la giuria popolare. In sordina anche l'esordio dei pm Gabriele Chelazzi e Giuseppe Nicolosi, sorretti dalla presenza di Pierluigi Vigna, ancora per poco procuratore di Firenze. E' stato proprio lui a dare assicurazioni sul fatto che «questo processo rappresenta un primo gradino di un'indagine che la procura di Firenze dovrà continuare». Poi indica nel giudice Fleury, accanto a lui, l'uomo che dovrà occuparsi di questo. Ma da lontano, mentre si dibatte sulla «competenza territoriale», nodo che verrà sciolto oggi, Giovanna Maggiani gli risponde: «Vigna è come il maestro che, in quarta elementare, accetta la promozione e abbandona i suoi alunni». Francesco La Licata «Portate in aula chi ha manovrato in questi anni nel buio» Leoluca Bagarella in aula, all'apertura del processo per la stagione delle bombe, il periodo a cavallo tra maggio e giugno del '93