«Torno a San Vittore, sarà lunga»

«In realtà non mi aspettavo una conferma così c'erano elementi importanti... Ma troverò il modo di ricostruire qualcosa dentro... si vive male, ma si vive anche lì» «Torno a San Vittore, sarà lunga» Cusani: Spaventato? E chi non lo sarebbe L'IMPUTATO SIMBOLO n rr ' a SMILANO ONO venuto solo a salutare per evitarvi una lunga attesa al freddo e all'umidità». Sorride Sergio Cusani davanti a telecamere accese e taccuini aperti. Sorride malgrado la decisione della Cassazione che gli riapre, dopo tre anni, le porte di un carcere, da condannato «definitivo» per la vicenda Eni-Sai. Dietro alla apparente serenità di Sergio Cusani c'è il terremoto di una vita, giocata in pochi secondi. Il tempo necessario ai giudici togati per dire: che Cusani è colpevole, che la sentenza della corte d'appello era giusta, che lui quindi - deve tornare in carcere. «Io in carcere ci sono già stato, per 5 mesi. Adesso sarà diverso, sarà più lungo», spiega, rassegnato, l'ex militante del movimento studentesco arrivato ai salotti buoni della finanza, prima quella milanese, poi accanto a Raul Gardini, l'uomo che sognava il matrimonio tra Eni e Montedison e che poi - travolto da Mani pulite - si è sparato nella sua abitazione milanese, a palazzo Belgioioso. Proprio lo stesso giorno di tre anni fa - era il 23 luglio - in cui Sergio Cusani varcava per la prima volta il portone di ferro e legno del carcere di San Vittore. Dove dovrà ritornare. «Se sono spaventato? Chi non lo sarebbe...», sussurra lui davanti al portone della casa di via Ceradini, Milano Est, dove abita al quarto piano. «Chi non lo sarebbe...», ed è l'unico momento di cedimento in una giornata passata accanto ai figli, in cui a tutti sarebbero saltati i nervi, ma a lui no. 0 non lo dà a vedere, per non dare nemmeno un briciolo di soddisfazione a quei magistrati milanesi che hanno cercato di piegarlo in ogni modo. E lui niente. A costo di passare 5 mesi in cella, sesto raggio, lato B, primo piano. (Adesso sarà diverso, sarà più lunga. Ma troverò il modo di ricostruire qualcosa... So come si vive in carcere, so che si vive male, ma si vive anche lì dentro», ed è la speranza che si apre ancora una volta, malgrado tutto, contro tutti. «Bisogna provare lo stesso a costruire qualcosa anche in galera. Credo di poterlo fare, di poter essere utile a qualcuno». Nemmeno una parola per i magistrati milanesi. Nemmeno un'accusa ai giudici della Cassazione che in poche ore, un pomeriggio appena, hanno deciso che l'imputato Cusani Sergio deve tornare in carcere ad espiare la pena. Eppure sono tante le cose che vorrebbe dire. E che trapelano appena: «In realtà non mi aspettavo una conferma così, su tutto... C'erano elementi in punto di diritto importanti...». Farà dichiarazioni «a freddo» solo oggi, Sergio Cusani. Lo promette: «Con i miei avvocati, alle 9, mi presenterò a palazzo di giustizia. Per seguire tutto l'iter della vicenda». Prima, molto prima, per una notte intera sarà ancora accanto ai suoi figli. A Luca, che ha 23 anni e che ha imparato presto a seguire le cose di giustizia di suo padre. E ad Alessandro, il più piccolo che è adottato, con cui Sergio Cusani passa il pomeriggio a giocare, sereno come una volta. Fino alle 20 e 10. Quando i suoi avvocati, Giuliano Spazzali e Giuseppe Bianchi, lo avvisano che non c'è più nulla da fare. Non è una decisione a sorpresa. Agli amici che per tutto il giorno lo chiamano a casa, superando il filtro di quella segreteria telefonica, Cusani ripete: «Sono pronto, sono tranquillo, so benissimo quale sarà la mia sorte». (Anche i miei figli sono preparati, gli ho spiegato cosa stava succedendo e anche loro sono pronti», dice Sergio Cusani. Che ha avuto tre anni per spiegare che la sua vita aveva preso una strada diversa, che aveva deciso di non scappare e continuare a lavorare. Prima il carcere, poi la condanna al processo che era una costola di Enimont ma che ha preso il suo nome. Quello - per capire - in cui Di Pietro sfoggiò tutta la sua preparazione ipertecnologica e arrivò a definire Sergio Cusani «tre volte traditore». Poi c'era stato il secondo arresto per questa storia di Eni-Sai, i beni seqestrati, i 20 miliardi e passa risarciti, la sua collezione di quadri importanti, ma tutti venati da tonalità cupe, messa all'asta. E ora si riparte dal carcere. Dove - come dice - Sergio Cusani spera di poter fare qualcosa. Come la prima volta, quando aiutò anche economicamente alcuni detenuti in difficoltà, quando era considerato da tutti un detenuto modello perfettamente integrato, anche se non sapeva rinunciare ai golfini di cachemire che indossa anche adesso, ultima notte a casa. Giacca scura, camicia e cravatta, Sergio Cusani sembra parlare di cose che non lo toccano nemmeno, tanto cerca di apparire calmo. Sorride, saluta, stringe mani ringraziando i giornalisti a cui al mattino a palazzo di giustizia - udienza preliminare per i fondi neri Eni aveva annunciato che sarebbe rimasto ad attendere la sentenza accanto ai suoi figli. Un pomeriggio a casa, rotto solo per pochi minuti dall'assedio dei giornalisti. Da cui si congeda così: «Per adesso voglio solo salutare e augurarvi una buona notte». Fabio Potetti «In realtà non mi aspettavo una conferma così c'erano elementi importanti... Ma troverò il modo di ricostruire qualcosa dentro... si vive male, ma si vive anche lì» candosi nel carcere di SanL'affare Eni-Sai era un pro5 anni fa avrebbe dovuto galla Sai di Salvatore Ligrepertura assicurativa di 140pendenti Eni, grazie alla cone di una società mista pprivata, con l'ente guidato dal socialista Cagliari. Un'one da 500 miliardi all'annoper «colpa» dell'inchiesta M

Luoghi citati: Cagliari, Milano Est