Craxi, se torna dovrà andare in carcere di Paolo Colonnello

Eni-Sai: definitive le condanne anche per Citaristi e Ligresti. All'ex premier 5 anni e mezzo Craxi, se torna dovrà andare in carcere Eni-Sai: definitive le condanne anche per Citaristi e Ligresti. All'ex premier 5 anni e mezzo Assolti l'ex ambasciatore Petrignani e Sbisà MILANO. Craxi, Cusani, Citaristi, Ligresti, Grotti, Sernia, Molino: per loro si spalancano le porte del carcere. Non tutti ci entreranno, chi per l'età, chi per la latitanza. Ma da ieri, anche l'ultima, esile speranza è svanita, polverizzata da una decisione irrevocabile della sesta sezione della Corte di Cassazione che, dopo 5 ore di camera di consiglio, alle 20,10 ha confermato, nella sostanza, l'impianto accusatorio della procura milanese per il processo Eni-Sai e quindi la sentenza d'appello con la quale gli imputati erano stati condannati. La Suprema Corte ha spazzato anche la questione procedurale cui si era aggrappata la difesa di Bettino Craxi chiedendo la ricusazione del giudice Renato Caccamo che aveva condannato in secondo grado l'ex leader socialista. E ha rigettato i ricorsi di tutti gli altri imputati, mandando assolti soltanto il civilista Giuseppe Sbisà e l'ex ambasciatore Rinaldo Petrignani, il primo originariamente accusato di avere studiato i termini legali dell'operazione Eni-Sai, il secondo di aver fatto da intermediario tra i due gruppi e la banca d'affari americana Salomon Brothers. Queste, dunque, le pene definitive: Bettino Craxi e Severino Citaristi, 5 anni e 6 mesi; Sergio Cusani, 4 anni; il broker napoletano e stimato professore di estimo del Politecnico Aldo Molino, 3 anni e mezzo; gli ex dirigenti dell'Eni Alberto Grotti e Antonio Sernia, 4 anni e 6 mesi; l'ex presidente della Padana Assicurazioni (controllata Eni) Marcello Di Giovanni, 4 anni; l'amministratore delegato della Sai Fausto Rapisarda, 3 anni e 5 mesi e l'ex presidente della stessa società, ovvero Salvatore Ligresti, 2 anni e 4 mesi. Due anni e 4 mesi vennero inflitti anche a Sbisà e Petrignano, le cui posizioni però sono state annullate senza rinvio. Per gli imputati, tutti inquisiti anche in altri procedimenti, risulta praticamente impossibile l'affidamento ai servizi sociali. Lo spettro del carcere diventa realtà, anche se i tempi tlarnppn trasferimenti verranno stabiliti dalla velocità con la quale gli atti verranno trasmessi aUa procura milanese che dovrà poi fare eseguire i provvedimenti. Si tratta di una sentenza di svolta per «Mani Pulite», che colpisce definitivamente alcuni dei principali esponenti di quello che magistrati milanesi avedefinito sistema tangenche potrebbe avere ripercussioni a catena su vano «il delle ti» e chieste tuttora in corso: condannando gli ex manager dell'Eni, i giudici della Suprema Corte hanno riconosciuto implicitamente il loro ruolo di pubblici ufficiali e dunque conclamato il rischio condanna per chi ha avuto che fare con loro. Si sgombera così il campo da future eccezioni, come nel processo EniMontedison, cominciato ieri mattina, oppure d'inchieste ancora in corso, come quella spezzina che presto potrebbe generare una nuova indagine a tappeto sull'ente petrolifero. Ma si tratta anche di una decisione significativa per i risvolti polemici che l'inchiesta Eni-Sai suscitò nell'opinione pubblica, allorquando, nel luglio del '93, Gabriele Cagliari, considerato uno dei principali imputati, si tolse la vita soffocandosi nel carcere di San Vittore. L'affare Eni-Sai era un progetto che 5 anni fa avrebbe dovuto garantire alla Sai di Salvatore Ligresti la copertura assicurativa di 140 mila dipendenti Eni, grazie alla costituzione di una società mista pubblicoprivata, con l'ente guidato all'epoca dal socialista Cagliari. Un'operazione da 500 miliardi all'anno, svanita per «colpa» dell'inchiesta Mani Pu¬ lite. Secondo l'accusa, sostenuta dal pm Fabio De Pasquale, che ieri non ha voluto rilasciare alcun commento, a quell'epoca Ligresti aveva già versato, o comunque promesso, una tangente di 17 miliardi al «mediatore» dell'affare Aldo Molino, da distribuire tra de e psi (tramite Cusani, che per il disturbo si sarebbe tenuto un miliardo) per ottenere 0 via libera al progetto. Che fine abbiano fatto davvero tutti quei soldi, nessuno è riuscito a ricostruirlo con esattezza. Quel che è certo è che la società che avrebbe dovuto nascere dalla joint-venture, la Padana Vita, sarebbe stata costituita da un 40% Eni, un 40% Sai e un 20% Salomon Brothers, che però segretamente si sarebbe impegnata a rivendere subito dopo la propria quota a Ligresti. Una «truffa» in perfetto stile Enimont. A svelarne i contorni, dopo l'arresto, nella calda estate del '93, fu lo stesso ingegner Ligresti. E la conferma arrivò da Cagliari il giorno prima di morire: fece mettere a verbale che era stato Craxi a comunicargli il via libera all'operazione anche da parte della de. Paolo Colonnello

Luoghi citati: Cagliari, Milano